venerdì 31 gennaio 2014

Francesco Maria Mariotti: La democrazia è conflitto

Oggi (ieri, orami, a essere precisi), Enrico Mentana ha detto durante il suo telegiornale che alla Camera non si erano mai viste scene come quelle che hanno posto in essere i cosiddetti "grilllini". Questa sera si è anche saputo dell'occupazione dell'aula della prima commissione, con impedimento al lavoro dei parlamentari. L'atteggiamento dei deputati grillini è sicuramente eccessivo e discutibile, e ci sono gli strumenti regolamentari per eventualmene punire i deputati che hanno esagerato; personalmente sono lontano anni luce da quel movimento, e rimango dell'idea che la stabilità sia un valore primario - oggi - per l'Italia, e in questo senso appoggio - pur con molti dubbi - il governo Letta. Detto ciò, non è il caso di alzare eccessivamente i toni, nel giudicare e reagire alle "prepotenze" del movimento grillino. Credo che tutti ricordiamo scene "pesanti" in Parlamento; fa parte delle dinamiche anche dure che possono esserci fra maggioranza e opposizione. C'è comunque una cosa che una qualsiasi maggioranza democratica non può fare: pretendere di dettare alla minoranza come deve fare la minoranza, come deve fare opposizione. Non può. Anche se la minoranza utilizza metodi e stile discutibili. Certo, devono esserci regole - come quella oggi richiamata dalla Presidente Boldrini - con le quali riuscire a sbloccare l'impasse parlamentare; certo, come si dice spesso, la nostra deve essere una democrazia "che decide", e quindi a un certo punto "meccanismi - tagliola" sono inevitabili. Però - soprattutto in un momento storico come quello attuale, e ancor più in una fase delicata come quella in cui si dicute di nuove norme elettorali - non ci si può scandalizzare se una forza politica che ha sempre detto di fare opposizione dura la fa poi realmente. Altrimenti - al di là delle migliori intenzioni - si rischia di assomigliare a quei leader politici che dicono alle opposizioni: "Lasciateci lavorare", "Non disturbate il manovratore", e via così dicendo... No, spiacente. Democrazia è conflitto, anche nelle sedi del dibattito (anzi, forse deve esserlo soprattutto lì, anche per "evitare" e "assorbire", diciamo così, il conflitto fra i cittadini...). Meglio non dimenticarlo. Francesco Maria ps: sul problema delle "quote" di Banca d'Italia alcuni articoli di approfondimento (...) L’assetto azionario della Banca va però rivisto, per almeno tre ragioni. In primo luogo, i processi di concentrazione avvenuti negli ultimi anni hanno accresciuto la percentuale del capitale della Banca detenuta dai gruppi bancari di maggiori dimensioni. Ciò non ha creato problemi di sostanza, grazie alle norme che limitano i diritti dei partecipanti, ma è necessario evitare la possibile (erronea) percezione che la Banca possa essere influenzata dai suoi maggiori azionisti. In secondo luogo, occorre evitare che si dispieghino gli effetti negativi della legge n. 262 del 2005, mai attuata, che contempla un possibile trasferimento allo Stato della proprietà del capitale della Banca. L’equilibrio che per anni ha assicurato l’indipendenza dell’Istituto, preservandone la capacità di resistere alle pressioni politiche, non va alterato. In terzo luogo, è necessario modificare le norme che disciplinano la struttura proprietaria per chiarire che i partecipanti non hanno diritti economici sulla parte delle riserve della Banca riveniente dal signoraggio, poiché quest’ultimo deriva esclusivamente dall’esercizio di una funzione pubblica (l’emissione di banconote) attribuita per legge alla banca centrale.(...) Il modo più ovvio per ridurre la concentrazione dei partecipanti al capitale della Banca consiste nell’introduzione di un limite massimo alla percentuale di quote detenibili da ciascun soggetto, ampliando al tempo stesso la base azionaria. A tal fine, le quote dovrebbero essere facilmente trasferibili e in grado di attrarre potenziali acquirenti (investitori istituzionali con un orizzonte di lungo periodo). Per raggiungere questi obiettivi è necessario: i) calcolare il valore corrente delle quote della Banca; ii) aumentare il valore del capitale della Banca (al momento puramente simbolico), trasferendo una parte di riserve a capitale; iii) attribuire ai partecipanti un flusso futuro di dividendi, il cui valore attuale netto sia pari al valore corrente stimato delle azioni della Banca (ponendo contemporaneamente fine a ogni eventuale pretesa sulle riserve statutarie); iv) fissare un limite massimo alla quota di capitale detenibile da una singola istituzione o gruppo, stabilendo un intervallo temporale entro il quale cedere obbligatoriamente le quote eccedenti.(...) http://www.bancaditalia.it/media/notizie/aggiornam_quote_capitale_BdI/Valore_quote_capitale_BI.pdf http://www.mef.gov.it/ufficio-stampa/comunicati/2014/comunicato_0027.html La rivalutazione delle quote della Banca d'Italia continua a essere uno dei punti più spinosi per Il Tesoro. Una mossa che permetterà agli istituti di credito italiani di avere una posizione migliore rispetto a quella odierna nella prossima Asset Quality Review della Banca centrale europea. Potranno infatti avere più capitale a disposizione per affrontare la sorta di due diligence che sarà condotta nei prossimi dodici mesi. Allo stesso tempo, potranno godere di agevolazioni, come quelle sui dividendi. Un atteggiamento, quello tenuto dal Tesoro, che però continua a impensierire sia Commissione europea sia Bce, che stanno studiando le possibili implicazioni della misura. Mario Draghi ha spiegato oggi 5 dicembre che il consiglio direttivo della Bce non ha ancora stilato un parere in merito, mentre il Senato ha dato disco verde al decreto nonostante la bocciatura di ieri da parte della commissione Affari costituzionali. http://www.linkiesta.it/Bankitalia-quote-rischi Quello che il governo propone è che il valore nominale di queste quote sia rivalutato. Dagli attuali 156 mila euro a un valore che oscilla fra i 5 e i 7 miliardi. Fatta la rivalutazione, le banche potrebbero iscrivere a bilancio il valore rivalutato delle quote generando quindi una plusvalenza finanziaria complessiva che andrebbe dai 4 ai 6 miliardi. Plusvalenza che sarà tassata come una normale plusvalenza finanziaria. Meccanismo semplice e redditizio: con un tratto di penna il governo potrebbe alla fine recuperare circa 1-1.5 miliardi (il gettito derivante dall’imposta sulla plusvalenza), utilissimi a far quadrare i conti. Assumere una rivalutazione compresa fra i 5 e i 7 miliardi non è ipotesi di scuola. Il comitato di esperti nominati dal governo per portare avanti la rivalutazione - esperti di indubbia caratura accademica se vi compare il rettore della Bocconi Andrea Sironi insieme a Franco Gallo e Luca Papademos (qui il link al rapporto) - ha individuato tale forchetta come valore congruo per le quote di Banca d’Italia. A prima vista potrebbe sembrare che saranno gli istituti di credito a pagare per le promesse del governo di larghe intese. Non è così purtroppo. http://www.linkiesta.it/rivalutazione-quote-banca-italia A giorni la commissione di esperti incaricati di valutare il patrimonio di Banca d’Italiaconsegnerà il suo rapporto al governatore Ignazio Visco. Ma i principali protagonisti della cosiddetta Cabina di Regia hanno già fatto i loro calcoli e contano su questa operazione per finanziare nuove spese o riduzioni di tasse senza coperture. Vediamo prima di cosa si tratta e poi perché è un’operazione molto pericolosa, in cui le banche che detengono quote di Banca d’Italia e il Governo possono colludere ai danni dei contribuenti. Le banche italiane che un tempo facevano parte del settore pubblico allargato detengono ancora il 94,33 per cento del capitale di Banca d’Italia. Solo il 5 per cento è proprietà di enti pubblici come Inps e Inail. È un retaggio del passato, che risale all’epoca delle banche d’interesse nazionale. Per quanto non abbiano mai consentito a queste banche, poi divenute private, la benché minima possibilità di incidere sugli indirizzi di vigilanza, né su qualsiasi altro aspetto dell’attività della Banca d’Italia, sarebbe opportuno, prima o poi, trasferire le quote ad enti pubblici oppure a una fondazione creata ad hoc, come in Francia. Del resto è lo stesso statuto di via Nazionale a contemplare che la Banca debba essere di proprietà pubblica. Ed è difficilmente immaginabile una banca nazionale posseduta da soggetti privati stranieri, quali sono già alcuni istituti bancari che detengono le quote e, presumibilmente, altri ancora lo saranno alla luce dei processi di aggregazione in atto a livello continentale dopo la crisi. Ma a che prezzo si può organizzare il trasferimento? http://www.lavoce.info/banca-ditalia-e-il-mistero-delle-quote/

PERCHE’ LA SINISTRA: COMPLIMENTI A RENZI :CHAPEAU di Felice Besostri del Gruppo di Volpedo

PERCHE’ LA SINISTRA: COMPLIMENTI A RENZI :CHAPEAU di Felice Besostri del Gruppo di Volpedo

mercoledì 29 gennaio 2014

Lorenzo Borla: Un'ipotesi

Per capire meglio il nostro Renzi, mi chiedo se non sarebbe utile fare un ragionamento: rovesciare la prospettiva e passare dal nostro angolo di visuale a quello suo, di Matteo Renzi (inaudito! scandaloso!). Matteo Renzi vuole diventare presidente del Consiglio: lo ha dichiarato esplicitamente da tempo, dai tempi delle primarie con Bersani. E’ una aspirazione legittima per qualsiasi politico, ma in questa forma è politicamente non corretta, non si conforma alle paludate abitudini, specie democristiane: si fa ma non si dice (pensiamo che Andreotti accettò la candidatura a presidente della Repubblica propostagli da Cirino Pomicino con un : o così almeno vuole la leggenda). Renzi si propone di raggiungere il suo obiettivo con tre strumenti: primo un linguaggio semplice e accessibile (se noi sottoponessimo il blog del Rosselli a un camionista, ci metterebbe un microsecondo per mandarci… a quel Paese). In questo è simile a Berlusconi, con una differenza: Berlusconi parla un italiano semplice ma artefatto per apparire tale; per Renzi è il linguaggio spontaneo della strada e in questo è avvantaggiato. Il politichese parlato dalla sinistra, invece, segna il distacco dal popolo: non c’è poi da stupirsi che la cultura voti a sinistra, ma la pancia del Paese dal ’94 in poi voti Berlusconi (e più di recente Grillo). Il secondo strumento di Renzi è la trasmissione di energia e ottimismo (a leggere certi piagnistei frutto di un lugubre e ponderato pessimismo a metà strada fra Leopardi e Kierkegaard, vien da scappare nell’isola di Samoa, lo so perché ci sono stato prima del turismo di massa, almeno lì si sta un pochino più allegri). Il terzo strumento per raggiungere il suo scopo è la concretezza: ci sono cose da fare, da realizzare, da condurre in porto. La legge elettorale non sarebbe fra queste: ma Renzi si è trovato, per circostanze temporali, davanti a due strade obbligate. La prima è la segreteria del Partito: non poteva aspettare, a pena di logoramento, le prossime elezioni. Il secondo passaggio obbligato era la legge elettorale: era quella più fattibile per le vie brevi, e dalla forte valenza simbolica. Quindi si può capire come per Renzi sia importante che una legge elettorale venga approvata al più presto almeno dalla Camera, perché su questo si gioca la credibilità, avendo intorno tante iene pronte a saltargli addosso a cominciare dagli umiliati e offesi del suo partito. Meno importante è quale legge elettorale, entro certi limiti. Mentre tutta la politica e la cultura è in armi proprio su questo problema, per Renzi è solo un passo del suo cammino politico. E’ giusto? E’ sbagliato? Vale la pena di riversare fiumi di inchiostro e di preoccupazioni, tirare in ballo Molotov/Ribbentrop, se non Mussolini e Hitler, il cesarismo, la deriva autoritaria, la minaccia alla democrazia e chi più ne ha più ne metta? Renzi è spiccio, sbrigativo, decisionista; vuole ottenere risultati e per giunta in fretta. Si può capire che chi ha guazzato nella palude per tanti anni, sempre pagato (bene) da noi, senza arrivare a risultati, lo detesti. Insomma, Renzi, dove sono le buone maniere? Il bon ton, il rispetto per le convenzioni, l’esprimersi cardinalizio e circonvoluto, dove sono le pratiche corporative per cui le sera ci si insulta in televisione e il mattino si fa colazione assieme, alla faccia dei fessi che pagano? 2070 miliardi di debito pubblico e i poveri che aumentano, dovrebbero scoraggiare spiritosaggini. Cari saluti. Lorenzo

PD: LE PROSSIME PRIMARIE PER IL SEGRETARIO REGIONALE. ATTENTI A NON SCIUPARE | Walter Marossi | ArcipelagoMilano

PD: LE PROSSIME PRIMARIE PER IL SEGRETARIO REGIONALE. ATTENTI A NON SCIUPARE | Walter Marossi | ArcipelagoMilano

UNA VICENDA MILANESE. C’È UN NUOVO CERBA? | Sergio Vicario | ArcipelagoMilano

UNA VICENDA MILANESE. C’È UN NUOVO CERBA? | Sergio Vicario | ArcipelagoMilano

Porcellum e Italicum: ugualmente disuguali - micromega-online - micromega

Porcellum e Italicum: ugualmente disuguali - micromega-online - micromega

martedì 28 gennaio 2014

Aldo Penna: La legge elettorale non si mangia

A un anno dalle elezioni e a poche settimane dal pronunciamento della Corte Costituzionale che impedisce l'utilizzazione del Porcellum per le prossime scadenze, il circo politico dibatte solo di legge elettorale. Mentre il paese affonda tra tassi di disoccupazione altissimi, chiusure a migliaia di attività economiche, sfondamento del miliardo di ore per la cassa integrazione, crollo dei consumi, il Parlamento più pagato d'Europa, i parlamentari più numerosi al mondo, se si esclude l'Assemblea Nazionale Cinese, discutono di legge elettorale. Perché questa fretta? Se davvero alcuni capi politici hanno a cuore le sorti dell'Italia dovrebbero mettere in calendario un franco dibattito per la legge elettorale e occuparsi di un paese in caduta libera. Tre delle ultime cinque legislature si sono interrotte anticipatamente, durata media 720 giorni. Qualcuno pensa sia necessario battere il record repubblicano e votare a Maggio o Aprile? Nel 1993 ventinove milioni di italiani demolirono il proporzionale delle multi preferenze e delle rissosità, per l'uninominale all'inglese. Il legislatore, allenato a tradire il mandato popolare, aggiunse un recupero proporzionale e iniettò nella politica italiana il virus della lista bloccata. Nel 2005 il centrodestra varò una riforma che, rinnegando ogni spirito referendario, consentì di riempire con amici, parenti, avvocati, commercialisti, analisti, dentisti, segretarie personali dei leader piccoli e grandi di destra e sinistra, le liste di Camera e Senato. Nella storia italiana ogni volta che si è profilata una legge truffaldina, le opposizioni hanno lottato anche a rischio della vita. Così fu per la legge Acerbo del 1923 che garantiva i due terzi dei seggi alla lista che superava il 25%, o per la legge truffa del 1953 che assicurava il 65% dei seggi alla coalizione che avesse superato il 50%. Per il Porcellum non si udì un solo lamento, una sola protesta vera. La tossina autoritaria e centralista era penetrata così a fondo da corrompere tutti. Il Bastardellum o Porcellinum ha le stesse caratteristiche della legge che si vorrebbe riformare. L'insistenza e le minacce per farla approvare subito è una spia pericolosa delle intenzioni dei suoi sponsor: nel 1953 la legge truffa fu approvata a febbraio e si votò ad Aprile, il Porcellum fu approvato tre mesi prima del voto e la stessa legge Acerbo fu votata nel novembre nel 1923 e applicata quattro mesi dopo. Approvare adesso il Bastardellum avrebbe una sola conseguenza: il voto entro questo semestre. E' questo che vuole il sistema mediatico, ammaliato dalla magia della nuova legge da oscurare i drammi di una nazione che scivola rapidamente indietro in tutte le classifiche mondiali? E' questo che vogliono i parlamentari appena eletti, seppur con una legge manipolatrice e feudale? E' questo che vuole il sistema economico distrutto da anni di austerità per i soliti fessi e di mantenimento dei privilegi per i soliti noti? In piena sindrome veltroniana si possono fare patti mefistofelici, guardarsi allo specchio e vedersi immacolati, ma il gioco arriva sempre alla fine e, al pari di Dorian Gray, il volto raffigurato nel quadro e, per ora nascosto a tutti, registra implacabilmente ogni cosa. Aldo Penna

Con la crisi è aumentata la diseguaglianza nella distribuzione dei redditi e della ricchezza - Associazione "Nuova Economia Nuova Società"

Con la crisi è aumentata la diseguaglianza nella distribuzione dei redditi e della ricchezza - Associazione "Nuova Economia Nuova Società"

Tutti i nodi del collegio | Tommaso Nannicini

Tutti i nodi del collegio | Tommaso Nannicini

Stefano Rodotà: I paletti della Costituzione

I paletti della Costituzione Il testo della nuova legge elettorale non rispetta la più importante delle indicazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale, quella riguardante le forzature maggioritarie che svuotano di significato la rappresentanza Lo leggo dopo _____ di STEFANO RODOTA' Poiché si è voluto definirla una “svolta storica”, la vicenda della nuova legge elettorale e di alcune riforme costituzionali non dovrebbe essere soggetta a diktat, chiusa nel campo ristretto di una politica che non sembra disponibile a misurarsi con tutte le implicazioni di scelte particolarmente impegnative. Si corrono così tutti i rischi legati all’inadeguatezza di testi frettolosamente confezionati e ancor più frettolosamente adottati. Ma vi è pure una sorta di ironia delle cose politico-istituzionali, che ha trasformato un aggressivo “rottamatore” in un prudente “restauratore” di uno degli assi portanti di un sistema di cui pure aveva denunciato tutti i limiti. Questo è un risultato politico ormai acquisito, e che non può essere sottovalutato, quale che sia l’esito finale del processo di riforma. Dalle parti più diverse, e con argomenti che non possono essere ignorati, si è soprattutto messo in evidenza come il testo della nuova legge elettorale, già all’esame della Camera dei deputati, non rispetti la più importante delle indicazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale — quella riguardante le forzature maggioritarie che svuotano di significato la rappresentanza, dunque la stessa democrazia parlamentare. È preoccupante, allora, che non venga affrontata con la dovuta serietà e consapevolezza una questione che è della massima rilevanza politica. Sembra quasi che, spinti dal bisogno di ottenere comunque un risultato in tempi brevi, si sia deciso di correre un pericolosissimo azzardo costituzionale. Che cosa accadrebbe, infatti, se una legge elettorale freschissima di approvazione dovesse, come la precedente, essere portata davanti alla Corte costituzionale per un suo contrasto proprio con quanto i giudici della Consulta hanno appena stabilito? Non sfugge a nessuno la gravità della situazione che si determinerebbe, con effetto immediato di delegittimazione del nuovo sistema elettorale, mentre proprio l’accento mille volte posto sulla “stabilità” ha qui una più profonda ragion d’essere. Abbiamo bisogno di una legge elettorale davvero “blindata” di fronte ai rischi della incostituzionalità, come passaggio indispensabile per la stabilità complessiva del sistema e per il recupero della fiducia dei cittadini. Ben consapevoli di questo rischio, di cui tutti dovrebbero seriamente preoccuparsi, un gruppo di giuristi ha prospettato l’eventualità di un intervento del Presidente della Repubblica, non nella forma di una indiretta “moral suasion”, ma attraverso un rinvio alle Camere di una legge fortemente sospetta di incostituzionalità. Siamo ormai giunti ad un punto di fragilità del sistema nel suo insieme per cui ogni uso congiunturale delle istituzioni, ogni loro manipolazione con l’ottica del brevissimo periodo, può avviare una spirale distruttiva. Al di là dei conflitti intorno a singole questioni, e delle ricorrenti strumentalizzazioni, vi è dunque un nodo politico che deve essere sciolto. Non riprodurrò qui tutti gli specifici argomenti che danno solido fondamento alla critica del testo sanzionato dall’accordo tra Berlusconi e Renzi, alcuni dei quali hanno una così forte evidenza da far sospettare che, scrivendo quel testo, si sia voluto tenere sullo sfondo la sentenza della Corte costituzionale, per inadeguatezza di lettura o per deliberata intenzione di non attribuire a questa decisione tutto il peso che le spetta nella definizione della politica costituzionale. Si manifesta così una inquietante idea di “autonomia del politico”, di una discrezionalità legislativa sciolta da ogni vincolo, che contrasta in radice con il punto fondamentale della decisione della Corte dove si stabilisce che nel nostro sistema non vi sono zone franche, sottratte al controllo di costituzionalità. Questa forma di controllo è inseparabile dal costituzionalismo democratico e, invece di stimolare spiriti di rivincita o occasioni di conflitto, dovrebbe indurre a quella “leale collaborazione” tra le istituzioni mancata in questi anni e che rappresenta una delle cause della crisi che stiamo vivendo. Ma, proprio nel momento in cui la politica sembra voler sprigionare la sua forza residua, manifesta una volta di più le sue debolezze. Non si può certo negare che l’inadeguatezza degli strumenti istituzionali abbia contribuito ad impoverire la politica o a distorcerla deliberatamente. L’esempio più clamoroso è sicuramente la legge elettorale appena dichiarata incostituzionale, approvata con l’esplicito obiettivo di azzoppare la coalizione guidata da Romano Prodi (e che l’opposizione, colpevolmente, non contrastò in maniera adeguata). Ma oggi si racconta una storia che non ha alcun riscontro nei fatti, enfatizzando la necessità di far sì che, come accadrebbe negli altri paesi, la sera stessa delle elezioni si conoscerebbe il nome di un vincitore, libero da ogni ipotesi di larghe intese e destinato poi a governare senza inciampi nei cinque anni successivi. Favole istituzionali, come dimostrano l’esempio tedesco, con le sue larghissime intese e i due mesi di negoziato sul comune programma di governo; l’esempio inglese, che proprio in occasione delle ultime elezioni vedeva possibile una coalizione diversa da quella che ha dato vita all’attuale governo; quello francese, con la possibile coabitazione tra maggioranze diverse, una che investe il Presidente della Repubblica e un’altra che compone l’Assemblea nazionale; lo stesso caso degli Stati Uniti, dove il potere presidenziale non si traduce nella possibilità di andare avanti senza problemi nel corso del suo mandato, come dimostra il conflitto duro con il Congresso che ha radicalmente ostacolato significative iniziative di Obama e ha condizionato pesantemente l’approvazione del bilancio. In quei paesi non ci si rifugia dietro presunte inadeguatezze delle istituzioni, perché si è ben consapevoli che vi sono questioni che possono e debbono essere risolte con la forza e la responsabilità della politica. Se non si torna alla consapevolezza dei doveri della politica, anche alcune necessarie riforme costituzionali finiranno nel nostro paese con l’essere inefficaci. O seconderanno derive pericolose, come quelle legate alla convinzione che solo la concentrazione del potere può farci uscire dalle difficoltà presenti. Vi sono segni premonitori che non possono essere trascurati. Il passaggio ad una democrazia d’investitura, quella appunto riassunta nello slogan “la sera delle elezioni conosceremo nome del Presidente del consiglio e composizione della maggioranza”, incide sulla posizione del Presidente della Repubblica e getta un’ombra sul ruolo del Parlamento, depurato dal bicameralismo perfetto in forme di cui ancora non conosciamo i dettagli, ma pure funzionalizzato in maniera prevalente alla attuazione del programma ministeriale. Dopo aver dovuto riconoscere che una serie di pretese di revisione costituzionale erano divenute improponibili, alla fine di questo nuovo iter riformatore scopriremo che il cammino è stato ripreso proprio in questa direzione, con una sostanziale modifica della stessa forma di governo?

Francesco Somaini: Il mito dell'art. 49

Parliamo sempre del mitico articolo 49 della Costituzione. Ma l'articolo 49 è vago. Esso non contiene delle indicazioni su come devono o dovrebbero funzionare dei partiti seri, ma si limita ad una mera enunciazione di principio : in modo tra l'altro anche piuttosto blando (perchè i costituenti furono su questo punto volutamente reticenti). Rileggiamolo infatti questo benedetto articolo 49: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". Sono parole piuttosto anodine, e tra l'altro anche ambigue: perchè a ben vedere esse nemmeno dicono esattamente che i partiti devono essere davvero democratici al proprio interno, ma solo che i cittadini concorrono liberamente attraverso i partiti a determinare con metodo democratico la politica nazionale. Nel funzionamento generale del sistema (se ne potrebbe dedurre) vige certamente la democrazia, e i rapporti tra partiti si regolano sulla base del metodo democratico. Ma poi, dentro i partiti, ognuno si regola come meglio crede. Dire dunque che bisogna tornare all'articolo 49 non significa davvero gran che. Perchè non è che lì ci sia già un dispositivo di norme bell'e pronte su come dovrebbero funzionare i partiti (per cui si tratterebbe solo di applicare una legge non attuata) No: in quell'articolo c'è soltanto la formulazione vaga di un'idea e nulla più. La verità è che dall'articolo 49, sarebbe poi dovuta discendere una legge ordinaria sui partiti politici, che ne regolasse per bene il funzionamento, e che prevedesse sanzioni per le violazioni della democrazia interna. Ma quella legge nessuno, nella storia dell'Italia repubblicana, l'ha mai voluta fare. Non lo vollero i costituenti (che venendo dall'esperienza del Fascismo, potevano anche comprensibilmente esitare ad immaginare lo Stato che mette il naso nella vita dei partiti appena rinati). E non lo vollero tutti quelli che sono venuti dopo (per motivi, in genere, assai meno nobili di quelli dei "Padri"). E noi crediamo forse che adesso una legge sui partiti la possa o la voglia scrivere il Parlamento attuale? C'è forse qualcuno che si illude davvero di questo? Ve lo immaginate come potrebbe essere questa ipotetica legge Renzi-Verdini-Casaleggio? La verità, purtroppo, è che nemmeno l'art. 49 potrà davvero risolvere i nostri problemi di deficit clamoroso e crescente di democrazia. Nè potrà restituire ai cittadini la possibilità di scegliere davvero da chi farsi rappresentare... La domanda di vera democrazia dovrà dunque levarsi necessariamente dal basso, costringendo a cedere chi vi si oppone. E allora la prima cosa da fare, più che invocare inutilmente l'art. 49, dovrà necessariamente essere quella di non votare per i partiti che lavorano per comprimere (anziché per estendere) gli spazi di democrazia. Fanno l'"Italicum"? Propongono un parlamento col 100 % di nominati, con premio "di minoranza", e con sbarramento per "asfaltare" chi non si piega ai diktat del più forte? Benissimo. L'unica soluzione - nell'attesa che la Corte ci venga a dire che questa legge è altrettanto incostituzionale del "Porcellum" appena invalidato - è quella di far scoppiare loro il giocattolo in mano. E la prima cosa è non votare per nessuno di coloro che faranno passare una legge del genere. Altrimenti, se li votiamo, non ci dobbiamo lamentare... Un saluto, Francesco Somaini

domenica 26 gennaio 2014

Accumulazione finanziaria e declino del lavoro | Sviluppo Felice

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Camusso: la politica riscopra la parola uguaglianza - Rassegna.it

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La Ricerca, l’Europa e la revisione contabile dei bilanci

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Liberiamoci dal Pil

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Milano secondo me | Milano Città  Metropolitana

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I “paletti” della Corte costituzionale sulla legge elettorale

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Più welfare per crescere?

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Titanic Europa?

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Compleanno dolceamaro per la socialdemocrazia austriaca : Istituto di Politica

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L’Egitto ha una nuova Carta. La restaurazione prevale sulla rivoluzione : Istituto di Politica

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I limiti di Renzi : Istituto di Politica

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Che succede in Argentina? - Gennaro Carotenuto

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La retorica della “casta” | FONDAZIONE NENNI BLOG

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Barbara Spinelli: «Sel da sola sarebbe un suicidio. Né può usare Tsipras come un tram» - Eddyburg.it

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Paolo Soldini: Schulz vuole rifare l'Europa

Martin Schulz vuole diventare presidente della Commissione europea. Diciamo che si sapeva, perché la sua candidatura è nota da tempo e verrà formalizzata nei prossimi giorni dalla Spd e il 1° marzo nel congresso del partito dei socialisti e democratici europei che è stato convocato a Roma, nonostante qualche dichiarato mal di pancia degli esponenti meno «socialisti» (per così dire) del Pd. Quel che non si sapeva, e che il presidente del Parlamento europeo ha detto in una lunga intervista alla Süddeutsche Zeitung, è perché. Insomma: qual è il suo programma. L’obiettivo è ambizioso: «L’Unione europea deve cambiare del tutto», dice Schulz. Deve essere rinnovata «da capo a piedi» per adeguarsi ai tempi duri presenti e a quelli ancor più duri che l’aspettano, alle prese non solo con una pesantissima sfida economica mondiale, ma anche sotto pressione per quanto riguarda l’ambiente. Dentro l’Eurozona ci sono «estreme diseguaglianze economiche», un tasso di disoccupazione giovanile micidiale e Paesi nei quali la debolezza della crescita sfiora già la deflazione. Secondo il presidente dell’Europarlamento il progetto per uscire da questa crisi deve articolarsi su tre punti. Tre sfide La prima sfida è rappresentata dalla paura diffusa tra i cittadini che la loro identità nazionale venga sostituita dall’Europa. «Noi dobbiamo dire a queste persone che nessuno vuole portar via la loro identità. Anch’io da giovane pensavo che stavamo facendo gli Stati Uniti d’Europa – ammette Schulz – ma dopo vent’anni di Parlamento europeo so che gli stati nazionali restano e che “va bene così”». La seconda sfida è la necessità di definire quel che può essere fatto a livello nazionale, regionale e locale meglio che a Bruxelles. «Il mio primo atto, se sarò presidente – annuncia il futuro candidato – non sarà di chiedere ai commissari se c’è qualcosa di cui ancora non si sono impicciati. Chiederò che cambino proprio il modo di considerare i loro compiti. Oggi come oggi mi pare che nella Commissione Ue ci siano, estremizzando un po’, due scuole di pensiero: quella “che non si dà pace finché non è stato privatizzato l’ultimo cimitero comunale” e quella di chi non smette di agitarsi finché in Europa non si instaura “un ordinamento sepolcrale unitario”». La terza sfida è il corollario della seconda: «agli Stati nazionali vorrei dire: avete fatto l’Europa perché eravate coscienti che ci sono compiti che i singoli stati da soli non possono adempiere. E allora dotate le istituzioni europee della forza e degli strumenti necessari perché possano fare quello per cui sono state create». Schulz ricorda ai suoi interlocutori che le prossime elezioni europee saranno le prime in cui, dando seguito a una norma del Trattato di Lisbona, verranno indicati dagli elettori i possibili presidenti della Commissione. Si tratta di una novità importantissima. Non è obbligatorio, ma tutte le grandi famiglie politiche europee sembrano orientate a presentare un candidato per la presidenza. Le sinistre lo hanno già fatto, i liberali lo faranno tra qualche settimana, i popolari si sono dati appuntamento all’inizio di marzo e tra i socialisti e democratici pare a questo punto scontato che a correre sarà lui, Martin Schulz. Ma con quali chances? Quanto è conosciuto l’attuale presidente del Parlamento europeo nell’opinione pubblica dell’Unione? «Abbastanza», risponde lui, e non solo in Germania ma anche in altri Paesi. E all’intervistatore che chiede quali risponde «l’Italia, per esempio». Certo una parte di questa notorietà italiana si deve ad una delle peggiori gaffe di Silvio Berlusconi che in piena assemblea a Strasburgo gli diede del kapò, ma, sostiene lui, «sono abbastanza conosciuto anche in Francia e in Spagna». Rispetto ai candidati che potranno mettere in campo le altre famiglie politiche europee è vero che Schulz appare, al momento, quello che ha più chance. I sondaggi dicono che socialisti e popolari combatteranno testa a testa e lui pensa di poter contare «su una maggioranza che mi presenti come candidato alla presidenza della Commissione» e questo, pare di capire, anche nel caso che il partito dei socialisti e democratici non prevalga sui popolari. C’è da ricordare, a questo proposito, che il candidato delle sinistre Alexis Tsipras non ha escluso di appoggiarlo.

Appello dei giuristi contro il porcellum bis

Non ripristinate il Porcellum Italicum Appello dei giuristi La proposta di riforma elettorale depositata alla Camera a seguito dell’accordo tra il segretario del Partito Democratico Matteo Renzi e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi consiste sostanzialmente, con pochi correttivi, in una riformulazione della vecchia legge elettorale – il cosiddetto “Porcellum” – e presenta perciò vizi analoghi a quelli che di questa hanno motivato la dichiarazione di incostituzionalità ad opera della recente sentenza della Corte costituzionale n.1 del 2014. Questi vizi, afferma la sentenza, erano essenzialmente due. Il primo consisteva nella lesione dell’uguaglianza del voto e della rappresentanza politica determinata, in contrasto con gli articoli 1, 3, 48 e 67 della Costituzione, dall’enorme premio di maggioranza – il 55% per cento dei seggi della Camera – assegnato, pur in assenza di una soglia minima di suffragi, alla lista che avesse raggiunto la maggioranza relativa. La proposta di riforma introduce una soglia minima, ma stabilendola nella misura del 35% dei votanti e attribuendo alla lista che la raggiunge il premio del 53% dei seggi rende insopportabilmente vistosa la lesione dell’uguaglianza dei voti e del principio di rappresentanza lamentata dalla Corte: il voto del 35% degli elettori, traducendosi nel 53% dei seggi, verrebbe infatti a valere più del doppio del voto del restante 65% degli elettori determinando, secondo le parole della Corte, “un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente” e compromettendo la “funzione rappresentativa dell’Assemblea”. Senza contare che, in presenza di tre schieramenti politici ciascuno dei quali può raggiungere la soglia del 35%, le elezioni si trasformerebbero in una roulette. Il secondo profilo di illegittimità della vecchia legge consisteva nella mancata previsione delle preferenze, la quale, afferma la sentenza, rendeva il voto “sostanzialmente indiretto” e privava i cittadini del diritto di “incidere sull’elezione dei propri rappresentanti”. Questo medesimo vizio è presente anche nell’attuale proposta di riforma, nella quale parimenti sono escluse le preferenze, pur prevedendosi liste assai più corte. La designazione dei rappresentanti è perciò nuovamente riconsegnata alle segreterie dei partiti. Viene così ripristinato lo scandalo del “Parlamento di nominati”; e poiché le nomine, ove non avvengano attraverso consultazioni primarie imposte a tutti e tassativamente regolate dalla legge, saranno decise dai vertici dei partiti, le elezioni rischieranno di trasformarsi in una competizione tra capi e infine nell’investitura popolare del capo vincente. C’è poi un altro fattore che aggrava i due vizi suddetti, compromettendo ulteriormente l’uguaglianza del voto e la rappresentatività del sistema politico, ben più di quanto non faccia la stessa legge appena dichiarata incostituzionale. La proposta di riforma prevede un innalzamento a più del doppio delle soglie di sbarramento: mentre la vecchia legge, per questa parte tuttora in vigore, richiede per l’accesso alla rappresentanza parlamentare almeno il 2% alle liste coalizzate e almeno il 4% a quelle non coalizzate, l’attuale proposta richiede il 5% alle liste coalizzate, l’8% alle liste non coalizzate e il 12% alle coalizioni. Tutto questo comporterà la probabile scomparsa dal Parlamento di tutte le forze minori, di centro, di sinistra e di destra e la rappresentanza delle sole tre forze maggiori affidata a gruppi parlamentari composti interamente da persone fedeli ai loro capi. Insomma questa proposta di riforma consiste in una riedizione del porcellum, che da essa è sotto taluni aspetti – la fissazione di una quota minima per il premio di maggioranza e le liste corte – migliorato, ma sotto altri – le soglie di sbarramento, enormemente più alte – peggiorato. L’abilità del segretario del Partito democratico è consistita, in breve, nell’essere riuscito a far accettare alla destra più o meno la vecchia legge elettorale da essa stessa varata nel 2005 e oggi dichiarata incostituzionale. Di fronte all’incredibile pervicacia con cui il sistema politico sta tentando di riprodurre con poche varianti lo stesso sistema elettorale che la Corte ha appena annullato perché in contrasto con tutti i principi della democrazia rappresentativa, i sottoscritti esprimono il loro sconcerto e la loro protesta. Contro la pretesa che l’accordo da cui è nata la proposta non sia emendabile in Parlamento, ricordano il divieto del mandato imperativo stabilito dall’art.67 della Costituzione e la responsabilità politica che, su una questione decisiva per il futuro della nostra democrazia, ciascun parlamentare si assumerà con il voto. E segnalano la concreta possibilità – nella speranza che una simile prospettiva possa ricondurre alla ragione le maggiori forze politiche – che una simile riedizione palesemente illegittima della vecchia legge possa provocare in tempi più o meno lunghi una nuova pronuncia di illegittimità da parte della Corte costituzionale e, ancor prima, un rinvio della legge alle Camere da parte del Presidente della Repubblica onde sollecitare, in base all’art.74 Cost., una nuova deliberazione, con un messaggio motivato dai medesimi vizi contestati al Porcellum dalla sentenza della Corte costituzionale. Con conseguente, ulteriore discredito del nostro già screditato ceto politico. Roma, 25 gennaio 2014 Gaetano Azzariti, Mauro Barberis, Francesco Bilancia Michelangelo Bovero, Ernesto Bettinelli, Paolo Caretti, Lorenza Carlassare, Giovanni Cocco, Claudio De Fiores, Mario Dogliani, , Gianni Ferrara, Luigi Ferrajoli, Angela Musumeci, Alessandro Pace, Stefano Rodotà, Luigi Ventura, Massimo Villone, Ermanno Vitale. Pietro Adami, Felice Besostri, Anna Falcone Antonello Falomi, Domenico Gallo, Giovanni Incorvati, Raniero La Valle, Roberto La Macchia, Fabio Marcelli, Valentina Pazè, Paolo Solimeno, Carlo Smuraglia Per aderire inviare una mail a: perlademocraziacostituzionale@gmail.com

PERCHE’ LA SINISTRA: IL GIOCO DELLE TRE CARTE di Felice Besostri (del Gruppo di Volpedo, senatore DS nella XIII legislatura è uno degli avvocati che ha sostenuto l’incostituzionalità della legge 270/2005 in Corte di Cassazione e Corte Costituzionale)

PERCHE’ LA SINISTRA: IL GIOCO DELLE TRE CARTE di Felice Besostri (del Gruppo di Volpedo, senatore DS nella XIII legislatura è uno degli avvocati che ha sostenuto l’incostituzionalità della legge 270/2005 in Corte di Cassazione e Corte Costituzionale)

venerdì 24 gennaio 2014

Luciano Belli Paci: Non lo fo per piacer mio

L'intervista di D'Alimonte (il suggeritore di Renzi sulle questioni elettorali) sulla Repubblica di ieri mi ha ricordato il motto "non lo fo per piacer mio, ma per far piacere a Dio". Riporto alcune risposte del professore: Giovanni Sartori sostiene che la vostra proposta è peggio della legge truffa del 1953. Dice che è un "pastrocchium". (...) Anch'io, come lui, avrei preferito un sistema basato sui collegi uninominali e sul doppio turno. Ma ci siamo trovati di fronte alla netta ostilità di Berlusconi". Lui è convinto che al secondo turno molti dei suoi elettori non vadano a votare La soglia che avete fissato per il premio, 35 per cento, secondo molti è troppo bassa per giustificare il premio di maggioranza. "Non siamo riusciti ad alzarla. Evidentemente Berlusconi spera di vincere al primo turno, evitando il ballottaggio. [sulle preferenze] Ma perché non uscire da questo vicolo cieco adottando i collegi uninominali proporzionali del vecchio Senato, che sarebbero perfettamente compatibili con il meccanismo adottato? "Berlusconi non vuol saperne. Perché vuole controllare lui chi verrà eletto, mentre con i collegi proporzionali non potrebbe farlo, perché i risultati sarebbero difficilmente prevedibili". Sulle prime, leggendo queste frasi, uno potrebbe pensare: ma guarda che fesso questo Renzi, ha concesso a Berlusconi tutto quello che voleva ! Poi, riflettendo meglio, si arriva a capire che su ciascuno di questi punti il segretario del PD lo ha fatto "per piacer suo". Sono i soliti ladri di Pisa ! Invece è il caso di segnalare che Pippo Civati si distingue ancora una volta con proposte di grande buon senso: http://www.repubblica.it/politica/2014/01/23/news/elettorale_proposte_civati -76743765/ Bene, anche se finisce sempre per apparire un alibi consolatorio per tutti quelli che soffrono soffrono, ma restano comunque lì ... avvinti ai ladri di Pisa. Luciano Belli Paci

Ordoliberalism, Neoliberalism And Economics - Social Europe Journal

Ordoliberalism, Neoliberalism And Economics - Social Europe Journal

La social-démocratie des années 2000 - Notes - Publications - Fondation Jean-Jaurès

La social-démocratie des années 2000 - Notes - Publications - Fondation Jean-Jaurès

giovedì 23 gennaio 2014

Voti, premi, preferenze e ricatti - Associazione "Nuova Economia Nuova Società"

Voti, premi, preferenze e ricatti - Associazione "Nuova Economia Nuova Società"

Salvatore Salzano: Il socialismo divide la sinistra?

Cari compagni, vorrei condividere con voi una riflessione. Poco fa su facebook ho letto un commento, di uno di sinistra (?), che diceva "la parola Socialista oggi rischia di dividere la sinistra". Mi è venuta istintiva la necessità di rispondere, di getto, senza pensarci su, e gli ho scritto questo che vi allego, però, dopo avergli risposto, mi sono fermato a riflettere su quante scorie ci siano da rimuovere se vogliamo riunire la sinistra. Comunque: questa è la mia personale risposta in 90 secondi (con tutti i limiti del caso e della fretta): Divisivo? Guarda che lo spirito del Socialismo, storicamente parlando, deriva dritto dritto dall'Illuminismo, che è la prima volta che, nella storia, si pone in discussione in modo ampio e sistematico, il potere assoluto che relegava al ruolo di reietti milioni di persone. Non a caso di li a poco abbiamo la rivoluzione Francese, che con le sue tre bellissime parole ha sintetizzato la svolta: Libertà, Uguaglianza, Fratellanza. Da li, per tutto l'800, sono fiorite ottime analisi e il seme è gemogliato tantissimo: dagli Utopisti a Marx. Il Socialismo è tutto in quel filone di pensiero. Poi nel '900 le tragedie di due guerre mondiali, l'esperienza dell'URSS, la guerra fredda, hanno posto il pensiero socialista di fronte a tante contraddizioni che spesso sono state affrontate in modo diverso. Ad esempio l'esperienza comunista, ha deciso che la variabile "Libertà" fosse meno importante delle altre, e ha messo il partito al centro dell'agire politico. Abbiamo visto cosa è successo. Per non parlare poi di Tony Blair e della terza via, altro disastroso esperimento. Poi il crollo del muro e le sfide del nuovo millennio ci hanno costretto a ragionare su nuove problematiche: globalizzazione, limiti ambientali, strapotere della finanza, etc etc....... e quindi oggi, tutto quel filone di persone che vogliono riconoscersi in ideali di giustizia, libertà, lotta allo sfruttamento....... è dalla radice del Socialismo che devono ripartire, ovviamente meditando sugli errori commessi, ma ricordando sempre che Socialismo è il superamento di questo ordine economico, nel rispetto della dignità e della libertà degli individui, per un mondo più giusto. Se questo significa dividere la sinistra, dimmi tu con cosa la teniamo insieme, con la colla Vinavil??????

PERCHE’ LA SINISTRA: ATTUALITA’: L’IMPORTANZA DEI SISTEMI ELETTORALI di Franco Astengo

PERCHE’ LA SINISTRA: ATTUALITA’: L’IMPORTANZA DEI SISTEMI ELETTORALI di Franco Astengo

Livio Ghersi: Tre questioni per valutare Renzi

Tre questioni per valutare Renzi. E' possibile condurre un ragionamento spassionato, "sine ira et studio", sul Segretario del PD Matteo Renzi e sull'iniziativa da lui assunta in materia di riforma della legge elettorale? Provo ad indicare tre questioni sulle quali sarebbe opportuno che l'attenzione dei cittadini si soffermasse. 1) Della politica ridotta ad abilità tattica. Il vigente articolo 83 del Testo Unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati richiede per l'accesso alla rappresentanza: per le liste collegate in una coalizione, il requisito di aver conseguito sul piano nazionale almeno il due per cento dei voti validi espressi; per le liste non collegate (ossia per quelle che si presentano autonomamente, fuori da coalizioni costituite), il requisito di aver conseguito sul piano nazionale almeno il quattro per cento dei voti validi espressi. L'accordo di riforma elettorale, comunicato dal Segretario del PD Renzi durante la Direzione del Partito tenutasi lunedì 20 gennaio, eleva le predette soglie, rispettivamente: al cinque per cento per le liste collegate in una coalizione; all'otto per cento per le liste non collegate. Com'è possibile che una proposta di modifica di questa entità venga accettata (quindi votata nei due Rami del Parlamento) dagli aderenti a partiti che sanno in partenza di non poter raggiungere le soglie di sbarramento indicate? Intendo partititi sia di centrodestra, sia di centrosinistra. L'unico partito indifferente è il Movimento Cinque Stelle, fresco come un quarto di pollo dall'alto della percentuale del 25,56 per cento conseguita nelle elezioni per la Camera del 24 febbraio 2013. Ecco una prova dell'indubbia abilità tattica di Renzi, il quale, dopo aver seminato il panico, anche fra i partiti che sostengono il Governo Letta, facendo trapelare la notizia di voler andare verso un modello spagnolo debitamente corretto dal duo D'Alimonte - Verdini, ha poi improvvisamente tirato fuori, come coniglio dal cappello, un secondo turno eventuale per assegnare il premio di maggioranza. In questo secondo turno — ecco la novità — i partiti coalizzati avrebbero una quota parte dei seggi del premio di maggioranza, anche se al primo fossero stati esclusi dall'assegnazione di seggi per non aver superato la soglia di sbarramento. E' bastato questo per ottenere un mezzo sì anche da parte del Nuovo Centro destra di Alfano. Con il passare del tempo, i partiti cosiddetti minori hanno però cominciato a riflettere: che succede se non si va al secondo turno, perché immediatamente una coalizione raggiunge e supera la quota del 35 % del totale dei voti validi, che costituisce la condizione che sarebbe fissata per fare scattare il premio in seggi? Succede che questi partiti risulterebbero gabbati: pure quelli che hanno concorso a far vincere la coalizione, resterebbero esclusi dalla rappresentanza in forza del meccanismo della soglia di sbarramento. Noi poveri mortali pensiamo che l'approvazione di una legge elettorale, ossia delle regole del gioco democratico, debba essere qualcosa di qualitativamente diverso da una partita di poker. Sostenere che la causa prima dell'ingovernabilità italiana vada individuata nel fatto che in Parlamento siano rappresentati anche cinque o sei partiti che raccolgono un consenso inferiore all'otto per cento sul piano nazionale, significa mentire sapendo di farlo. E' una teoria cara a Berlusconi, la quale non diventa vera perché molto ripetuta. Il cosiddetto potere di ricatto dei partiti minori ha avuto effetti molto meno dirompenti delle frizioni interne ai partiti maggiori. I quali spesso sono uniti soltanto da accordi di spartizione del potere e non hanno alcun cemento ideale o politico-programmatico che realmente li tenga insieme. In ogni caso delle due, l'una: o la soglia di sbarramento è giusta in sé e razionalmente dimensionata, ed allora deve valere sempre per tutte le liste, indifferentemente dalla circostanza che si tratti di primo o secondo turno di votazioni, e a prescindere che si tratti di liste coalizzate o non coalizzate; ovvero la soglia di sbarramento diventa un'arma, uno strumento di pressione, che i due partiti maggioritari (Partito Democratico e Forza Italia) utilizzerebbero per ricattare i partiti potenziali alleati, minacciandoli di escluderli dal vincolo di coalizione, quindi dalla possibilità di ottenere rappresentanza parlamentare. 2) Della "vocazione maggioritaria" del Partito Democratico. L'espressione "vocazione maggioritaria" è stata molto utilizzata da quello che, storicamente, è stato il primo Segretario del PD: Walter Veltroni. L'abbiamo sentito, nella riunione della Direzione del 20 gennaio, dare il proprio convinto sostegno a Renzi. C'è, infatti, una continuità logica, oltre che politica, tra i due. Provo a tradurre per i non iniziati alle segrete cose della politica. Il modello bipolare (ma i suoi fautori preferirebbero bipartitico), è quello secondo cui la dialettica politica, inclusa quella parlamentare, dovrebbe ricondursi a due soli soggetti. L'uno che incarni una posizione di centrodestra; l'altro che incarni una posizione di centrosinistra. I due soggetti dovrebbero ora alternarsi nel governo del Paese, ora convergere per supreme ragioni di solidarietà nazionale, sempre comunque rispettandosi e trattandosi reciprocamente con garbo ed eleganza: essendo tutti e due convinti di essere l'Élite, di incarnare la governabilità ragionevole. Oltre queste colonne d'Ercole ci sono soltanto demagoghi antisistema. In questa logica non sono tanto importanti i contenuti (ad esempio ci si dice di "centrosinistra" perché si avverte l'esigenza di una maggiore equità sociale e, quindi, in concreto, si vogliono i provvedimenti A, B, C, e si è contro i provvedimenti D, E, F), quanto l'occupare una delle due posizioni strategiche nell'impianto bipolare. Vocazione maggioritaria significa, in altre parole, trarre una rendita parassitaria dall'occupare una determinata posizione nello schieramento politico. Come conseguenza pratica della predetta concezione, il Segretario che ha vinto le elezioni primarie ha diritto di parlare a nome, non soltanto dei cittadini che hanno votato per lui (1.895 mila), ma anche di quelli che hanno votato altri due candidati programmaticamente alternativi a lui (910 mila). Il Segretario che ha vinto le elezioni primarie non ha soltanto il diritto di proporre, come riterrebbe un sempliciotto genuinamente democratico, ma ha acquisito il diritto di comandare: lui detta la linea; chiunque altro può soltanto entusiasticamente dire di sì, oppure è meglio che se ne vada fuori dal Partito. La questione delle liste bloccate è un tassello fondamentale di questa concezione: il Segretario onnipotente deve avere l'ultima parola nella compilazione delle liste elettorali. I dissidenti si regolino. Per tornare alla proposta di riforma della legge elettorale, Renzi ha scoperto che Berlusconi non vuole né i collegi uninominali, né le preferenze per candidati nelle liste circoscrizionali. Qui bisogna aggiungere che Berlusconi è coerente, perché la legge n. 270/2005 era una sua creatura e perché per lui la sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2014 è stata poco più che un tentativo di disturbare il manovratore. Osservare la lettera e lo spirito di quella sentenza della Corte, quindi, è l'ultima delle sue preoccupazioni. Il povero Renzi, invece, per il bene superiore della Patria che chiede una nuova legge elettorale maggioritaria, si adatta, suo malgrado, al Diktat di Forza Italia. Il massimo che si possa ottenere è liste corte: bloccate e senza preferenze, va da sé. Ma la cosa più incredibile è che il Segretario del PD teorizzi che il pacchetto di riforme non si può discutere. Il Parlamento ha soltanto la libertà di approvarlo, o di non approvarlo, così come ha il dovere di fare in fretta. Cosa ci vorrà mai ad approvare una legge elettorale? Noi poveri mortali sappiamo almeno una cosa: che la legge elettorale è una costruzione delicatissima, dove tutto si deve tenere logicamente. Di conseguenza, la fretta è cattiva consigliera. Tanto più quando si passerà alle riforme costituzionali. 3) Della spregiudicatezza in politica. Pier Luigi Bersani — al quale faccio i più sinceri auguri di completa guarigione — era meno bravo di Renzi, era più conservatore, laddove Renzi sarebbe il giovane innovatore? Secondo me Bersani ha soltanto preso in considerazione più compatibilità politiche di quante Renzi sia disposto a farsi carico. Inclusa l'esigenza di non entrare in rotta di collisione con il Presidente della Repubblica, prima e dopo la sua rielezione. Incluso il senso del dovere, elementare per chi rivesta il ruolo di Segretario, di tenere unito il Partito Democratico, senza aver fretta di mettere alcuno alla porta. Di tutto questo sembra che il giovane rampante, semplicemente, se ne freghi. Non traggo le conclusioni, perché voglio che le traggano i lettori. Palermo, 22 gennaio 2014 Livio Ghersi

ALBA | Massimo Villone: “La Consulta disattesa”

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mercoledì 22 gennaio 2014

Il miracolo di Renzi, il Nazareno: il Castellum (come salvare la Casta e suicidarsi) - micromega-online - micromega

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Renzi-Berlusconi, la fiaba moderna della grande trattativa - micromega-online - micromega

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Legge elettorale:autore ricorso Consulta scrive a Renzi via Fb | Felice Besostri

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Luciano Belli Paci: Dopo l'Italicum

Il mio personale pentalogo di qualche giorno fa mi è tornato utile per l’esame della proposta Renzi-Berlusconi. In effetti quando l’ho scritto prevedevo che la proposta in cantiere avrebbe trasgredito una buona parte dei “comandamenti” da me suggeriti, invece hanno fatto l’en plein: complimenti ! Penso che se vanno avanti su questa strada ci sarà ancora molto lavoro per la Corte Costituzionale. Non solo perché i due profili di incostituzionalità già accertati con la sentenza n° 1/2014 (premio di maggioranza irragionevole e liste bloccate) vengono palesemente riproposti con impudenza, ma anche perché vi sono due ulteriori ragioni di illegittimità costituzionale che la Corte non ha esaminato e che invece, a mio modesto parere, sono gravissimi sia nel porcellum sia nella Renzi-Berlusconi: la manomissione del sistema delle istituzioni di garanzia e le soglie di accesso differenziate. Sul primo punto mi limito a dire che la Costituzione vigente presuppone, se non una legge proporzionale, quantomeno un sistema elettorale che non consegni in modo automatico o quasi ad una minoranza (la maggiore delle minoranze) i numeri per eleggere, oltre al governo, anche il presidente della repubblica e, con esso, la maggioranza della corte costituzionale. Una legge elettorale che assegna ad una forza che ha solo il 35 % ben 340 deputati su 1020 “grandi elettori” fa sì che anche solo con una minoranza sia dei senatori (per esempio 145 su 320, compresi senatori a vita) sia dei rappresentanti delle regioni (per esempio 30 su 70) si raggiunga il quorum necessario per eleggere il presidente della repubblica alla quarta votazione (511). Ma questo esito sarebbe palesemente eversivo dell’intero sistema, che ruota tutto sul perno di un presidente che non è leader della contingente maggioranza di governo (anche perché dura 7 anni) bensì ha funzioni di garanzia. Se non si modifica la Costituzione, per esempio prevedendo un quorum dei 2/3 non solo per le prime tre votazioni ma fisso, oppure introducendo l’elezione diretta del presidente ed eliminando quindi il ruolo di garanzia, qualunque ampio premio elettorale che non sia meramente rafforzativo di una maggioranza reale (come era la vituperata legge truffa) ha effetti devastanti. Sul secondo punto osservo che le soglie di accesso differenziate violano manifestamente il principio di uguaglianza del voto. Nella proposta Renzi-Berlusconi, a quanto si è letto, le soglie sono meno variopinte di quelle previste dal porcellum (20, 10, 8, 4, 2 e 0 per cento !), ma sono comunque diverse tra loro: 12 % per le coalizioni, 8 % per le liste non apparentate, 5 % per le liste coalizzate. La Costituzione consente che tra l’elettore A e l’elettore B, che hanno votato per due diversi partiti ciascuno dei quali ha conseguito 1.500.000 voti, uno sia rappresentato perché quel partito ha fatto un’alleanza e l’altro no ? A me non pare. Un’ultima considerazione. Anche i cittadini, nel loro piccolo, s’incazzano. Inoltre, come è noto, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. In un sistema tripolare (si rassegnino !), se nessuno arrivasse al 35 % e se al ballottaggio andasse il M5S non è difficile prevedere che al secondo turno vincerebbe a mani basse proprio il partito di Grillo. Perfino io, che detesto cordialmente il comico genovese, Casaleggio ed loro accoliti … sarei tentato in un simile frangente di ricordare a lorsignori la storia dei pifferi di montagna. Luciano Belli Paci

Comunicato Rete socialista

RETE SOCIALISTA – SOCIALISMO EUROPEO La sentenza 1/2014 della Corte Costituzionale indica un nuovo inizio per la politica italiana. Questa sentenza pone fine all’epoca di una democrazia a responsabilità limitata durata un ventennio, durante la quale i cittadini sono stati vittime di un progressivo svuotamento di democrazia all’interno delle Istituzioni dello Stato Italiano, dai Consigli Comunali, Provinciali e Regionali al Parlamento. La legge 270/2005, meglio nota come la “porcata” di Calderoli è stata di grande utilità per un regime profondamente antidemocratico, perché ha consentito a ristrette oligarchie di nominare 945 parlamentari. Il ricorso Besostri, Bozzi e Tani ha avviato la fine di una fase oscura per la Democrazia Italiana, dobbiamo essere grati a loro per aver portato avanti, con il sostegno del Gruppo di Volpedo, una battaglia giusta e dobbiamo essere grati alla Corte Costituzionale che ha accolto le eccezioni di incostituzionalità formulando una sentenza che pone tre chiari cardini per le future leggi elettorali: 1- i cittadini debbono poter conoscere i candidati; 2- il singolo cittadino deve poter esprimere la propria preferenza per almeno un candidato e/o candidata conosciuti; 3- un premio di maggioranza abnorme distorce il criterio della rappresentanza democratica. La sentenza apre un dibattito politico dal quale Rete Socialista non intende sottrarsi, occorre ribadire, a chi non si rassegna, che non sarà più possibile, in nome di una presunta “governabilità”, distorcere i sistemi democratici a proprio uso e consumo, d’ora in poi dovrà tornare a prevalere il principio della RAPPRESENTANZA DEMOCRATICA. Parafrasando “la fattoria degli animali” di Orwell non sarà più possibile scrivere una legge per la quale “tutti gli animali sono uguali ma qualcuno è più uguale degli altri”, si dovrà tornare al vecchio sistema di una testa un voto, e comunque c’è una legge immediatamente applicabile: senza nessun premio di maggioranza, con voto di preferenza, con le soglie di accesso e la possibilità di coalizioni di liste. Invece di perdere tempo con fantasiose riforme elettorali nazionali, si dovrebbe porre rimedio subito alla legge elettorale europea che non è più legittima alla luce dell’entrata in vigore, il 1° dicembre 2009, del Trattato di Lisbona e della Carta dei diritti fondamentali nell’Unione Europea, oltre che essere palesemente in contrasto con l’art. 3 della Costituzione Italiana e per le minoranze linguistiche con la legge 482 del 1999. Qualcuno dirà che i socialisti di Rete Socialista- Socialismo Europeo sono dei PROPORZIONALISTI, ebbene sì siamo in sostanza dei proporzionalisti, non lo riteniamo un insulto bensì un merito, il merito di coloro che da soli hanno saputo condurre una battaglia contro i poteri forti, in coerenza con i dettami della Costituzione Repubblicana. Un’ultima informazione per tutti coloro che vorrebbero tornare al bipolarismo coatto (con l’ispanico, con il Mattarellum con premio di maggioranza o con qualsiasi sistema non consono alla sentenza della Consulta), Rete Socialista- Socialismo Europeo vigilerà attentamente ed invita sin d’ora coloro che condividono la nostra proposta politica, istituzionale ed elettorale, a sostenerla in Parlamento, per

lunedì 20 gennaio 2014

La profonda sintonia | idadominijanni

La profonda sintonia | idadominijanni

Vittorio Melandri: I bari

Grazie al compagno Felice Besostri e al gruppo di cittadini che con l’avv. Aldo Bozzi sono riusciti nell’impresa di portare dinnanzi alla Corte Costituzionale l’incostituzionalità della legge elettorale N. 270/2005, la “porcata” è stata cancellata dalla sentenza N. 1/2014 che porta con se la decisione presa dalla Consulta il 4 dicembre 2013. Speravo ardentemente di sbagliare ma si sta avverando la mia previsione, e in queste ore, con la vigliacca e pavida complicità del PD, in tema di legge elettorale, si sta disegnando uno scenario ben peggiore di quello ipotizzato con la più nera delle fantasie. La classe politica più incostituzionale che mai sia esistita in Italia, messa con le spalle al muro appunto dal gruppo di cittadini milanesi guidati dall’Avv. Aldo Bozzi, che sono riusciti tramite un pronunciamento della Cassazione a portare la “porcata” al giudizio della Corte Costituzionale, sta sì lavorando per superare l’incostituzionalità della legge, ma con una toppa che rende la legge di fatto analoga a quella cancellata, al solo scopo di aggirare il pronunciamento della Corte. Insomma ancora una volta, una classe politica infame, individua il suo nemico, nel “popolo sovrano”, e si comporta di conseguenza. Quanto alla “legalità” del Parlamento in esercizio, inevitabilmente ribadita dalla stessa Corte, in ragione del fatto che non può esserci discontinuità nella vita dello Stato, è una legalità illegittima, e quanto sia anche una legittimità illegale, si coglie nei profili dei giocatori bari che si sono dati convegno al Nazareno. Non a caso assistiti (entrambi) da quel Gianni Letta che resta la melliflua anima più nera di tutte le “Repubbliche italiane”. vittorio melandri

Francesco Maria Mariotti: Le trappole della retorica politica

Oggi sul tavolo della politica - e quindi sul "nostro" tavolo, perché la politica siamo anche noi, ci piaccia o meno - c'è la riforma elettorale. Argomento in realtà non molto importante, soprattutto se non viene accompagnato a riforme che stabilizzino realmente i governi (e che difficilmente si trovano nella legge che regola il voto; penso per esempio a sistemi di sfiducia costruttiva o regole per la formazione dei gruppi parlamentari) o che diano realmente poteri forti al premier e al governo (comunque nulla a che vedere con la "cosmesi" del presidenzialismo, secondo me). La discussione sulle proposte che stanno girando è inoltre viziata dal fatto che ci siamo incastrati - oserei dire che ci siamo autointrappolati - su una questione mal posta ("permetteteci di scegliere il nostro rappresentante"), che in realtà non è così importante, e che rischia di "obbligarci" a giudicare negativamente scelte che non sono forse così strane (Stefano Ceccanti, costituzionalista, in queste ore sta ricordando come l'anomalia - nello scenario europeo - siano le preferenze, non le liste bloccate, già in uso in altri paesi). Da questo caso forse si capisce che in politica è necessario agire con cautela anche nei momenti polemici, indirizzando correttamente il cosa e il come della critica (a volte soprattutto il come, evitando sempre toni apocalittici). Troppo spesso una critica mal posta prima (penso per esempio alla critica generalizzata alla Bossi-Fini sull'immigrazione, mescolata - temo impropriamente - alla questione della punibilità penale dell'immigrazione clandestina) rischia di far apparire i compromessi inevitabili del poi tutti inaccettabili. Forse ho speso troppe parole; andiamo dunque alle questioni veramente importanti: It's the economy, stupid... E quindi, anche in vista delle prossime scadenze elettorali per l'Europa, mi permetto di segnalare argomenti di riflessione soprattutto economica di cui trovate estratti sul mio blog. A proposito di Europa e di retorica della politica: interessante articolo sul Fiscal Compact, che forse non è quella mostruosità draconiana che sembra essere passata nell'immaginario; tema su cui è il caso di tornare in futuro per approfondire ulteriormente. A proposito di semplificazioni: funzionano le ricette del Fondo Monetario Internazionale? Forse sono troppo astratte? Un bell'articolo di Fabrizio Goria sui paesi che in Europa le hanno adottate e che si stanno riprendendo. Cosa fare contro la disoccupazione? Alcuni articoli - in particolare un paio del centro studi Nomisma - per tentare di trovare strumenti con cui reagire; sicuramente non basterà la ripresa e non saranno necessariamente utili gli ennesimi correttivi sul piano del diritto del lavoro. Come leggere il periodo attuale? Ci sarà un ritorno della mano pubblica nell'economia? un articolo molto interessante di Stefano Cingolani per provare a fare un punto della situazione. In ultimo tento di presentare con il richiamo di un paio di articoli la figura di Stanley Fisher, keynesiano anomalo e pragmatico, che avrà un ruolo importante nella FED, a fianco del nuovo Governatore, Janet Yellen. E poi naturalmente articoli su Libia, Medio Oriente, e resto del mondo... Scusate la lunghezza della mail, e buona lettura Francesco Maria Mariotti

domenica 19 gennaio 2014

Verso il congresso, Sel deciderà cosa fare da grande? | Gli Altri Online

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SALARIO MINIMO IN EUROPA - T.Ferigo - confronto tra cinque paesi - | Sindacalmente

SALARIO MINIMO IN EUROPA - T.Ferigo - confronto tra cinque paesi - | Sindacalmente

Tutto quel che (non) ci ha insegnato la crisi / capitali / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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A cosa serve la cogestione? / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Quale futuro per l'Europa? / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Rappresentanza, il direttivo Cgil approva l'accordo - Rassegna.it

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PES Women President says that the EU must ensure women's free choice to sexual and reproductive rights | PES

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“Formazione e lavoro: i danesi fan così”

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Alessandro Roncaglia sulla crisi

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L’Italia anello debole della Fiat? | Economia e Politica

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Il Sud ferma il treno del Nord. Massimo Cacciari e altri luoghi comuni | Economia e Politica

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Network Socialismo Europeo: l’Europa della cooperazione contro la crisi | La Prima Pietra

Network Socialismo Europeo: l’Europa della cooperazione contro la crisi | La Prima Pietra

Aldo Penna: La storia si ripete

LA STORIA SI RIPETE: NEL GENNAIO 2008 A PALAZZO CHIGI C'ERA PRODI E VELTRONI SCALPITAVA PER SOSTITUIRLO. OGGI A PALAZZO CHIGI C'E' LETTA, E RENZI NON VUOLE ASPETTARE Le somiglianze tra la parabola veltroniana iniziata, per quello che qui ci riguarda, a ottobre del 2007 e finita nella disastrosa sconfitta del 2008, sembra stia per essere ripercorsa, forse inconsapevolmente dal suo successore attuale:Matteo Renzi. Il 4 novembre 2007 Veltroni, sindaco di Roma e plebiscitato segretario con il 75% dei voti nomina una segreteria "innovativa": 7 uomini e 9 donne. E Renzi, sindaco di Firenze, ed eletto segretario con quasi il 70% dei voti nel suo percorso emulativo nomina anche lui una segreteria simile: 5 uomini e 7 donne. La prima preoccupazione di Veltroni fu la legge elettorale, l'attuale preoccupazione di Renzi è la legge elettorale, ieri per modificare il Porcellum, oggi per varare una legge che sostituisca il Porcellum. A novembre 2007 sedeva a Palazzo Chigi, Romano Prodi. Nello stesso Palazzo a distanza di sei anni siede un altro leader democratico: Enrico Letta. Se Walter scalpitava, Renzi si è lanciato al galoppo sfrenato. Cambiare Palazzo e domicilio è un imperativo e si usano tutte le leve possibili per provocare la crisi di governo. Veltroni impaurì i partiti minori con proposte di sbarramento che li avrebbero esclusi. L'attuale segretario del Pd si scopre per le coppie di fatto, per lo ius soli, (allo scopo di provocare il crollo nervoso del NCD) e infine si incontra con Berlusconi con il probabile effetto di far cadere Letta, magari in tempo utile per votare a maggio. Anche Veltroni incontrando Berlusconi si preoccupò di rassicurare gli scettici: "Senza Berlusconi non si può fare una riforma, tanta gente mi dice di stare attento, io sto attento ma questo non significa rimettersi a fare quella cosa che al momento strapperebbe tanti applausi". E Renzi: "non possiamo non considerare quello che dice Forza Italia sulle regole, Sulle regole io discuto tutti i giorni anche con Forza Italia. Il secondo partito italiano lo lasciamo da parte? Non lo consideriamo per la legge elettorale?" A quanti temevano che l'attivismo veltroniano fosse pericoloso per il governo, Walter rispondeva: "Stiamo dando prova di senso di responsabilità, di generosità. Ma il sistema va cambiato e quello che si deve cercare di fare va fatto con questo Parlamento". E Renzi in questi giorni: "non si rischia nessuna rottura. Ma guardiamo la realtà: la popolarità del governo è ai minimi, non ci sono più le larghe intese, né l'emergenza finanziaria. Se uno mi chiede cosa ho fatto da sindaco in questi undici mesi, so cosa rispondere, se mi chiedono cosa ha fatto il governo in questi undici mesi faccio più fatica. Bisogna governare il Paese. io voglio dare una mano a Enrico". Sul lavoro Veltroni si era inventato una "preoccupazione" per i salari: "E' una priorità, un problema urgente da risolvere perché lo vogliono gli italiani. Le sollecitazioni dei sindacati sono giuste. Non si può aspettare fino a giugno. Forze politiche e governo devono concentrarsi sui problemi reali della gente, a cominciare dal rafforzamento del potere d'acquisto delle famiglie". Renzi qui sembra meno partecipe: il lancio del job act e qualche proposta poi abbandonata per il solito giro di valzer tra i Palazzi. Forse se Renzi guardasse al passato e alle analogie tra il suo baldanzoso percorso e il disastro di Veltroni si muoverebbe con modi diversi e differenti obiettivi: per esempio divenire il campione della difesa dei deboli, di chi è senza lavoro, di chi non riesce ad arrivare a fine mese. Ma si sa a queste obiezioni Renzi forse risponderebbe: il lavoro di chi? Aldo Penna

Elio Veltri: La finanza, farina del diavolo?

La finanza: Farina del diavolo? Aldo Cazzullo, su Sette scrive che la “ finanza non è il diavolo, va regolata, non demonizzata perchè ci consente di mantenere un alto tenore di vita”. Affermazioni giustissime ma contraddette dai fatti negli anni della crisi devastante che decine di milioni di europei hanno pagato a caro prezzo. Nel corso di essa è diventato più evanescente il rapporto tra finanza ed economia legale e più stretto quello con l'economia illegale e criminale; è aumentata la quota di finanza ed economia criminale in Italia e nel mondo; è aumentata la quantità di denaro sporco riciclato; è aumentata la percentuale di capitali esportati illegalmente e imboscati nei paradisi fiscali; è aumentata a dismisura la quantità di denaro prodotto dal nulla e messo sui mercati dalle banche e sono contestualmente aumentati i rischi di fallimento di molte banche, salvate dagli interventi finanziari degli Stati. La sola Unione Europea negli anni 2007-2012 ha messo a disposizione delle banche che rischiavano di andare a gambe per aria, 4600 miliardi di euro. Questo perchè, come scrivono Masciandaro e Pansa: “la farina del diavolo non diventa sempre crusca”(La farina del diavolo-Baldini-Castoldi-2000). E' vero: la finanza è utile se non diventa anarchica e non comanda la politica; se viene regolata e controllata e non viene creata dal nulla senza regole. E soprattutto se viene messa al servizio dell'economia reale e non la distrugge e con essa milioni di posti di lavoro. Esattamente quanto è successo negli anni della crisi terribile crisi che stiamo vivendo, peggiore di quella del 1929, come già nel 2003 aveva scritto Paolo Sylos Labini, inascoltato, perchè senza casacche. Allora, in America, epicentro della crisi, fu varata la legge Glass- Steagall che obbligava le banche a separare le attività di deposito da quelle speculative; lo Stato, nell'ambito del New Deal creò circa 15 milioni di posti di lavoro, soprattutto nel settore delle infrastrutture( strade, porti, scuole ecc) e le banche non erano piene di derivati, titoli spazzatura, che il più delle volte hanno determinato le condizioni per il loro fallimento. I problemi che riguardano la cosiddetta finanziarizzazione dell'economia e la necessità di contenerla attraverso riforme radicali nazionali ed europee , in Italia non trovano molto spazio nell'informazione, soprattutto televisiva. Personalmente ho parlato con alcuni dei giornalisti più accreditati, ma il teatrino li seduce e prevale sulle cose serie. Le cose non vanno certo meglio nella politica, nel Governo e nel Parlamento. Eppure, l'abbiamo detto e scritto tante volte, l'Italia, insieme alla Grecia, è il paese dell'Unione che ha la maggior quota di economia sommersa, criminale, di esportazione di capitali, di riciclaggio di denaro sporco e di evasione fiscale. Ricordo che dato: in Francia, una ricerca ha stimato in 600 miliardi i capitali esportati all'estero illegalmente dai cittadini francesi e imboscati. Quanti sono i soldi esportati illegalmente dagli italiani? Nessuno se ne occupa. Ma certamente non di meno, perchè la nostra evasione fiscale da lavoro nero, esportazione di capitali, riciclaggio e corruzione è maggiore di quella francese. Eppure, la legge anti-corruzione, approvata con dieci anni di ritardo rispetto agli altri paesi, sulla quale tornerò, è chiusa nei cassetti e del tutto inapplicata. I Problemi che la crisi in tutta Europa ha messo in evidenza riguardano: Il rapporto centuplicato tra la quantità di denaro circolante sotto ogni forma( titoli, azioni, obbligazioni, derivati ecc) e l'economia reale: beni e servizi; Un sistema bancario che negli anni ha visto prevalere accorpamenti e fusioni di banche, diventate tanto grandi e potenti da essere incontrollabili e minacciose al monito “ too big to fail” e cioè, come dire:” state attenti che siamo troppo grandi per fallire, perchè il nostro fallimento si tirerebbe dietro l'intero paese con la vita di milioni di cittadini”; Una montagna di titoli spazzatura nascosti nelle banche, nei ministeri, negli enti locali e nelle aziende. Titoli di cui molti acquirenti ignorano volutamente i rischi o non li conoscono per mancanza di informazione, con danni potenziali gravissimi per le loro comunità o per gli azionisti. L'Europa, nella prossima legislatura, o vara le riforme necessarie ad evitare il ripetersi di crisi devastanti come quella che stiamo vivendo o salta. E non solo la moneta unica. Salta l'assetto istituzionale e politico, si disgrega, ritorna a prima di Carlo Magno, e diventa terra di conquista delle grandi potenze mondiali, con conseguenze drammatiche per il futuro di intere generazioni. Cito alcune delle riforme indispensabili, che altri paesi stanno almeno discutendo e che solo in Italia non hanno cittadinanza nell'informazione e nelle istituzioni perchè si preferisce parlare di Renzi, di Letta e degli altri. 1) Riforma del sistema bancario che preveda il ridimensionamento delle megabanche al fine di favorire una vigilanza effettiva; riforma dello Statuto della BCE che consenta di finanziare i governi e non solo le banche e obbligo per le stesse di mettere a disposizione una parte dei finanziamenti ricevuti a tassi bassissimi, dell'economia reale e delle imprese; 2) Riforma dei mercati finanziari, controllo della quantità di capitali e di tutta la finanza strutturata( derivati) con garanzie di informazioni fornite agli acquirenti; 3) Controllo della cosiddetta finanza ombra e vigilanza Ricordo che in America sulla crisi e sulle conseguenze drammatiche per milioni di persone, indotte, con metodi discutibili, a contrarre mutui per comprare la casa, finanziati dalle banche con debiti, pur sapendo che i cittadini non avrebbero potuti pagarli, hanno indagato due commissioni di inchiesta del Congresso. Nel Regno Unito, in Germania e in Francia, alcune proposte di riforma sono arrivate in Parlamento e sono in discussione. In Italia i problemi riguardanti la tirannia della finanza sulla politica e sulle istituzioni, non è stata nemmeno presa in considerazione. Ma i senatori, quando si sono svegliati, una porcheria l'hanno fatta e hanno bocciato( su intervento delle banche?) un emendamento alla legge di Stabilità( art.16) presentato dalla senatrice Bignami, che chiedeva garanzie e trasparenza sui derivati. Per il resto, nessuno se ne occupa. Se non qualche studioso come Luciano Gallino che ha pubblicato “Il colpo di stato di banche e governi”, molto documentato e che consiglio, del tutto ignorato dalle reti televisive. Ma in Italia è successa una cosa ancora più grave sollevata sul Corriere della Sera da Milena Gabanelli: la Consob, autorità di controllo dei mercati e delle società quotate, con notevoli poteri, ha esautorato il servizio tecnico interno, che potrebbe controllare e far sapere al governo e alla pubblica opinione quante centinaia di miliardi di titoli spazzatura hanno in pancia il ministero dell'economia, i comuni e le regioni e per quali ragioni si sono consumate operazioni truffaldine in aziende pubbliche come la Telecom e Alitalia. Forse ha ragione l'economista di Harvard, Shoana Zuboff, la quale ha scritto :” la crisi economica ha dimostrato che la banalità del male occultata in un modello di attività economica ampiamente accettato può mettere a rischio il mondo intero e i suoi abitanti. Pertanto costituisce un crimine economico contro l'umanità”.( Bloomberg Business Week- 20 marzo,2009) Per questo noi rivendichiamo i nostri valori socialisti e lavoriamo per la costruzione di una grande forza che si richiama a quella storia, in Italia e in Europa. Elio Veltri

sabato 18 gennaio 2014

La falsa parabola del costo del lavoro italiano | Insight

La falsa parabola del costo del lavoro italiano | Insight

The fake globalization of Mr Marchionne’s Fiat | Insight

The fake globalization of Mr Marchionne’s Fiat | Insight

Gim Cassano: Imbroglio elettorale

L’IMBROGLIO ELETTORALE. Le motivazioni della sentenza con la quale la Corte Costituzionale ha “bocciato” il Porcellum si prestano a due ordini di valutazioni: quello strettamente giuridico-costituzionale, e quello culturale e politico. Attenendomi ovviamente al secondo aspetto, le motivazioni della sentenza costituiscono un chiaro atto di accusa nei confronti delle forze politiche (ed in modo particolare, nei confronti delle maggiori), per il modo col quale queste, negli ultimi decenni, hanno messo mano alle diverse leggi elettorali che si sono succedute nel tempo. E, a ben vedere, costituiscono al tempo stesso una diffida a cambiare strada ed a evitare di continuare a sviluppare l’arte di imbrogliare gli italiani imponendo loro costruzioni barocche e condizionate prioritariamente dall’aspirazione di ciascuno a trarre dalla legge elettorale il massimo vantaggio, o il minimo svantaggio. Le motivazioni della sentenza muovono da una semplicissima considerazione: quella che, se il concetto di governabilità è insito nei principii logici sui quali si fonda la Costituzione, risultando quindi meritevole di tutela, e se quindi l’ordinamento che alla Costituzione fa seguito non può disattendere la necessità che il Paese sia governato, tale concetto non può essere esteso in modo irragionevole sino al punto di violare i fondamenti-cardine di qualsiasi democrazia: quello della rappresentanza e quello della libera scelta dei cittadini-elettori nella selezione dei propri rappresentanti. Tale affermazione è rilevantissima: essa conferisce sostanza giuridica a ragionamenti e considerazioni politiche e culturali che molti di noi hanno sviluppato in questi anni, e va dato pieno merito a chi, ad iniziare da Felice Besostri e da Aldo Bozzi ha operato con costanza e determinazione perché tali considerazioni si traducessero in una sentenza che riafferma quanto dovrebbe essere ovvio, oltreche etimologicamente insito nel termine: che cioè la democrazia non si fonda sull’intermediazione di caste che presumono arbitrariamente di rappresentare il popolo, ma sul popolo stesso, attraverso un mandato che questo direttamente conferisce. Il fatto che per affermar ciò che è ovvio sia stata necessaria una lunga battaglia in termini di diritto, condotta in nome dei principii fondamentali della nostra Costituzione e nonostante lo scetticismo e l’indifferenza delle forze politiche testimonia quanto sia profondo il deficit di democrazia del nostro sistema politico. Ma il fatto di esservi alla fine riusciti, indica anche come l’impianto della nostra Costituzione sia attuale e tutt’altro che da considerare unicamente come il risultato di una situazione storico-culturale oramai lontana nel tempo. Detto ciò, le motivazioni della sentenza della Consulta aprono la strada a conseguenze giuridiche ed a conseguenze politiche attorno alle quali necessariamente si svilupperà la discussione circa il nuovo sistema elettorale. Ma, a questo punto, occorre fare attenzione: la sentenza doveva limitarsi ad affermare l’inviolabilità di un principio generale, come ha fatto, ed a riscontrarne o meno la violazione nella normativa attuale. Essa non si è pronunziata, né poteva farlo, per un sistema elettorale piuttosto che per un altro, il che resta competenza del Parlamento, ed il fatto che essa non abbia precluso la strada, in via di principio, alle tre alternative lanciate da Renzi non significa che esse siano di per sé le uniche conformi alla Costituzione. Qualsiasi sistema elettorale che non violi il principio generale espresso dalla Corte è infatti in via di principio compatibile con l’impianto costituzionale; e, quale che sia il sistema elettorale si intende proporre, è necessario che nel suo effettivo realizzarsi venga rispettato il principio generale che la Corte ha sancito: verifica cui, quindi, anche le tre alternative proposte dal PD, devono venir sottoposte. Il che è compito politico, nel momento in cui è chiaro a tutti che, a suon di clausole, distinguo, quote, soglie, diventa più che possibile, pure in una legge elettorale a prima vista rispettosa dei principii che la Corte Costituzionale ha sancito, far rientrare dalla finestra quel che la Consulta ha buttato fuori dalla porta. E non mi sembra infondata l’opinione che proprio in questa direzione ci si stia muovendo: Difatti, se si esaminano nel concreto e nel dettaglio le tre alternative fatte proprie dal PD (Sindaco d’Italia, pseudo sistema spagnolo, Mattarellum rivisitato), si scopre che tutte e tre, esattamente come il Porcellum, prevedono l’abbinamento del premio di maggioranza, che dovrebbe assicurare la governabilità a soglie minime di ingresso determinate esplicitamente o di fatto. Infatti: • Nel caso del “sistema dei sindaci”, basato su un doppio turno di coalizione, verrebbe previsto da un lato un premio di maggioranza (sino al 60%) alla coalizione vincitrice, ed una soglia di ingresso del 5% (ma, si badi bene, non riferendosi alla coalizione, bensì alla singola formazione politica). • Nel cosiddetto “sistema spagnolo”, fondato su piccole circoscrizioni di 4-5 parlamentari ciascuna, verrebbe previsto un premio di maggioranza del 15%, ed una soglia di ingresso del 5%, che verrebbe ad aggiungersi a quella del 20% automaticamente determinata dal fatto che per ottenere un rappresentante in una circoscrizione, occorrerebbe ottenere almeno 1/5 dei voti in quella circoscrizione. • Infine, nella rivisitazione del Mattarellum, oltre a quelli determinati dai 475 collegi uninominali, i restanti 155 seggi, verrebbero attribuiti per i 3/5 (92 seggi) come premio di maggioranza, ed i residuali 63 seggi verrebbero lasciati come premio di consolazion a tutte le formazioni minori. Il che è come dire che una quota di elettorato pari probabilmente al 20-25% degli aventi diritto vedrebbe più che dimezzata la propria rappresentanza. E’ evidente che, con tali proposte, ben pochi sarebbero in ogni caso i progressi rispetto al Porcellum. La questione diventa ancor più grave, se si considera la questione lapalissiana che, quale che sia il sistema elettorale, chi non è candidato, non sarà mai eletto. E tutti questi sistemi sono tali da lasciare ancora un eccessivo spazio agli apparati di partito nello stabilire le candidature: ci ricordiamo, ai tempi del Mattarellum, i famigerati “tavoli” dei due poli, nei quali alcuni signori per ogni polo censivano i collegi in categorie di certezza, e li attribuivano stechiometricamente alle diverse forze politiche? E, ove si pensi al sistema “spagnolo”, chi e come stabilirà i 4-5 nomi per ogni circoscrizione? Se il Porcellum era tale che circa l’80% dei futuri deputati era già eletto (cioè nominato) all’atto del deposito delle liste, nella migliore delle ipotesi, l’uno o l’altro di questi sistemi, farà scendere tale percentuale attorno al 50-60%. Il che, francamente, sembra ancora un po’ troppo. E poi, non si riesce a capire per quale ragione, una volta che un premio di maggioranza abbia assicurata la cosiddetta governabilità, a questo debbano ulteriormente aggiungersi le soglie di sbarramento nei confronti delle formazioni minori. In effetti, l’esperienza dell’ultimo ventennio ha dimostrato che i premi di maggioranza non assicurano affatto la governabilità: non sono tanto i “nanetti” di Sartori a creare complicazioni, ma piuttosto l’inconsistenza politica di partiti-contenitore che, avendo per obbiettivo primario la propria perpetuazione, finiscono per l’essere di fatto incapaci di produrre effettivi indirizzi politici percepibili e misurabili dagli elettori. Viene meno così la capacità di guida politica di coalizioni che, a questo punto, sono tenute insieme, finchè dura, solo dal reciproco interesse. E quella di falciare i cespugli diventa così una necessità, non della governabilità, ma del perdurare di un sistema politico incapace di produrre classe dirigente, e capacissimo invece di produrre ed autoriprodurre caste di potere. Che questa interpretazione sia più che fondata è dimostrato dalla legge elettorale per le Europee, con la quale, tra pochi mesi, andremo a votare. Lanciata in primis dal PD, fu approvata frettolosamente a ridosso delle elezioni europee del 2009, dopo che le politiche del 2008 avevano prodotto, grazie al PD, la sconfitta del centrosinistra e la fuoriuscita dei socialisti e dell’intera sinistra dal Parlamento, ed invece assicurato la sopravvivenza di IdV. Qui non era, e non è, in gioco alcuna questione di governabilità. Il principio della rappresentanza politica dei cittadini-elettori dovrebbe quindi valere in via assoluta, senza alcun correttivo dettato dalla necessità di assicurare maggioranze: gli eletti al Parlamento Europeo rappresentano i cittadini degli Stati-membri, le loro convinzioni, i loro interessi. Eppure, è stata fissata una soglia del 4% per accedere alla ripartizione dei seggi. E’ come dire che chi non rappresenti 2,4 milioni di cittadini, o 1,5 milioni di elettori, non ha diritto a rappresentarli: come dire che un corpo di cittadini di dimensioni ben superiori a quelle di non pochi Paesi-membri non abbia il diritto di essere rappresentato, senza che ve ne sia alcuna plausibile motivazione, se non quella delle forze politiche maggiori di escludere la possibilità di sopravvivere delle formazioni minori. Come io scrissi a quei tempi, una volta falciati i cespugli con il Porcellum e con l’applicazione che il PD ne aveva fatto, occorreva un buon diserbo per impedire che questi potessero riaffiorare. Ora, se è vero che non esiste un sistema elettorale perfetto, e che abbiamo democrazie ben più salde della nostra che operano con sistemi elettorali diversissimi, è anche vero che la tipologia del sistema elettorale non è l’unico aspetto a determinare i caratteri del sistema politico. Altrettanto importanti, a tal fine, sono le norme che codificano l’accesso all’elettorato passivo (presentazione liste e candidature, raccolta firme, etc.) e le modalità di svolgimento delle campagne elettorali (utilizzo, costo, e ripartizione, degli spazi di comunicazione). E, altrettanto importanti, come già si è detto, sono le condizioni in cui si svolge la vita interna dei partiti politici. Quindi, il principio generale che la Corte Costituzionale ha affermato nelle motivazioni della sua recente sentenza, perché sia reso effettivo, deve essere valutato in termini politici e concreti, tenendo conto dell’intero quadro che regola la questione della selezione della rappresentanza, e quindi: legge elettorale, diritti di accesso all’elettorato passivo, vita interna dei partiti. Nel nostro Paese, i partiti maggiori hanno eretto ad ulteriore difesa da eventuali nuovi intrusi un muro di norme sulla presentazione di candidature e liste sovente contraddittorie, e facilmente eludibili da chi disponga di apparati adeguati (vedi i casi della Regione Piemonte, della Lombardia, del Lazio), e la democrazia interna dei partiti è quella che tutti conosciamo. In tali condizioni, è evidente quanto risulti difficile la candidatura, e difatto preclusa la candidatura in posizioni di eleggibilità a chi sia sgradito agli apparati, ed è evidente quanto risulti difficile per una ipotetica nuova formazione il presentarsi in tutte le circoscrizioni o in tutti i collegi. Di conseguenza, quale che sia il sistema elettorale scelto, a meno che non si tratti di un proporzionale puro con preferenza, o che preveda al più il minimo indispensabile di premio di maggioranza, e senza alcuna soglia di sbarramento, le effettive possibilità di libera scelta e di diritto ad esser rappresentati per i cittadini risultano comunque fortemente limitate e compresse. A ben vedere, il vizio dell’ingovernabilità, che è stato attribuito alla tanto vituperata legge elettorale della Prima Repubblica, è dipeso più dalle questioni interne al partito allora stabilmente di governo, che dalla presenza dei partiti minori, e men che mai dalla presenza di un forte partito di opposizione. Su questi problemi, le forze politiche farebbero bene a domandarsi seriamente se non sia il caso di cominciare ad avviare una riflessione, anziché continuare a cercare la via demagogica di cercare di utilizzare la giusta indignazione dei cittadini per ridurre gli spazi di rappresentanza. Ed i cittadini farebbero bene a non cadere nella trappola della falsa corrispondenza che si tende a propinar loro: quella che il ripristino dell’efficienza e la riduzione dei costi della politica richiedano la riduzione degli spazi di rapprentatività politica. L’esercizio della democrazia ha un costo, e si fonda su procedimenti complessi che richiedono la compresenza di poteri in grado di bilanciarsi e, se necessario, di contrapporsi; ma tale costo, e tale complessità, in una democrazia che operi riuscendo a definire adeguatamente indirizzi politici ed economici, ed a selezionare una adeguata classe dirigente, risultano di gran lunga inferiori, dal punto di vista dell’interesse generale di un Paese, e non di quello di singole caste, a quelli di qualsiasi altro sistema.

Livio Ghersi: Mal di Spagna

Mal di Spagna Il "Corriere della Sera" ci informa che il professor Roberto D'Alimonte, in qualità di esperto del segretario del PD Renzi, ha incontrato il senatore di Forza Italia Denis Verdini, per valutare una possibile intesa sulla riforma della legge elettorale (si veda nell'edizione del 17 gennaio 2014 l'articolo a firma Dino Martirano, a pagina 2). Il professor D'Alimonte tiene a farci sapere che il senatore Verdini «è molto preparato, addirittura appassionato della materia». D'Alimonte, si sa, è una vestale del sistema maggioritario; ha lungamente tuonato contro la Corte Costituzionale che si è permessa di intervenire per dichiarare la parziale illegittimità costituzionale della legge n. 270/2005. Di conseguenza, quando il Segretario del Partito Democratico si fa supportare da D'Alimonte ha già fatto una scelta; che non è innocente, né indolore. Nella riunione della Direzione del PD tenutasi il 16 gennaio, Renzi ha ribadito che vuole una legge elettorale che comunque preveda un premio di maggioranza. Questo — ha precisato — non è pregiudizialmente escluso dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 2014. Vero, ma bisogna vedere come il premio si inserisce nel complesso della legge elettorale. Delle tre proposte che il Segretario del PD ha preso in considerazione, quella che più piace a Forza Italia è il modello definito simil spagnolo (anche se la Spagna è solo un pretesto). Si tratterebbe di ripartire il territorio nazionale in 118 circoscrizioni piccole; piccole nel senso che in ciascuna sarebbero assegnati quattro seggi, o, al massimo, cinque. La circostanza che queste circoscrizioni siano piccole, secondo Renzi, risolverebbe brillantemente uno dei due problemi che hanno determinato la declaratoria di illegittimità costituzionale della legge n. 270/2005: le liste bloccate, che non consentono agli elettori di scegliere i propri rappresentanti. Infatti, nella sentenza della Corte si legge che il meccanismo introdotto dal Legislatore del 2005 non era comparabile «con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l'effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l'effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali)»; si veda il punto 5 delle Considerazioni in diritto. Sì, però, così, caro Renzi, anche con il nuovo sistema proposto nessuno dei 630 deputati sarebbe davvero scelto dagli elettori. E' vera scelta quella che si compie nei collegi uninominali; oltre tutto, mentre nelle elezioni del 1994, del 1996 e del 2001, la contesa era fra centrodestra e centrosinistra, quindi si poteva prevedere chi avrebbe vinto nelle zone geografiche tradizionalmente rosse, o tradizionalmente azzurre (o verdi, o nere), oggi la presenza di probabili candidature competitive espresse da un terzo raggruppamento (il Movimento Cinque stelle) renderebbe la partita incertissima in ogni collegio. Poiché il sistema simil spagnolo non prevede collegi uninominali, ma liste concorrenti in circoscrizioni, bisogna aggiungere, per amore di verità, che proprio le piccole circoscrizioni sarebbero in teoria le più adatte a consentire la possibilità che gli elettori esprimano preferenze per i candidati. L'unica seria controindicazione per le preferenze, infatti, è che incentivano i candidati ad investire più denaro nelle campagne elettorali per essere eletti. Tale, inconveniente, tuttavia si manifesta in modo più pressante quando le circoscrizioni sono territorialmente molto vaste: più ampia è la circoscrizione, più bisogna spendere per farsi conoscere. Invece, in circoscrizioni che in media corrispondono ad una popolazione di cinquecentomila abitanti, quali sono le 118 proposte, non ci sarebbe bisogno di spendere in modo esagerato. Tutte le altre obiezioni che solitamente si muovono contro il criterio delle preferenze sono, a mio avviso, viziate da una logica antidemocratica e illiberale. Penso, in particolare, all'obiezione che, forti del consenso ottenuto dagli elettori, i parlamentari sarebbero meno controllabili dalle Segreterie dei partiti di appartenenza. E' esattamente quanto personalmente auspico, posto che la mia idea di Parlamento è quella di una libera Assemblea effettivamente rappresentativa della comunità nazionale, composta da persone preparate ed autorevoli, e non di un insieme di mediocri esecutori, di gente nominata senza meriti propri, capace soltanto di leggere discorsi scritti da altri e di schiacciare un bottone a comando. Comprendo che le vestali del maggioritario, preoccupate soltanto che qualcuno abbia l'autorità di decidere in fretta, non siano nemmeno attrezzate culturalmente per intendere la classica concezione liberale del Parlamentarismo. Renzi teorizza che non vuole perdersi dietro le tecnicalità delle leggi elettorali. Il diavolo, però, sta nei dettagli. Quando le circoscrizioni sono così piccole, ne traggono vantaggio unicamente i partiti che raccolgono più consenso. Ipotizziamo che nella circoscrizione tipo si debbano assegnare quattro seggi e per di più (per accentuare l'effetto maggioritario, utilizzando il metodo d'Hondt per il riparto dei seggi). Ipotizziamo che, a fronte di 100 voti validi espressi in totale, i voti si siano così distribuiti: Lista A: 23,8 voti; Lista B: 21,5 voti; Lista C: 19,2 voti; Lista D: 10,6 voti; Lista E: 9,0 voti; lista F: 5,8 voti. Si omettono i risultati delle altre liste meno votate. La lista A otterrebbe due seggi (il secondo con il quoziente 11,9); le liste B e C otterrebbero un seggio ciascuna. La lista D, con 10,6 voti resterebbe senza rappresentanza. In altre parole, bisogna aver chiaro che in circoscrizioni così piccole si ha un effetto di sbarramento implicito per cui anche liste che superino la percentuale del 10 per cento potrebbero non ottenere seggi. A quanto abbiamo letto, il sistema simil spagnolo prevede pure una soglia di sbarramento nazionale: sarebbero escluse dalla rappresentanza le liste che abbiano una percentuale di voti validi inferiore al 5 % nell'intero territorio nazionale. Di conseguenza, mentre la vera legge elettorale che vige in Spagna consente che i partiti più radicati a livello locale ottengano rappresentanza, questa possibilità sarebbe da noi preclusa da una così elevata soglia nazionale. Poiché l'effetto maggioritario fin qui descritto forse è sembrato ancora troppo poco incisivo al professor D'Alimonte ed allo scolaro Renzi, si aggiunge un ulteriore premio di maggioranza di 92 seggi. C'è quasi da rimpiangere il tanto vituperato "Porcellum"! Una cosa deve essere chiara: dal punto di vista di un liberale, un Parlamento degno di questo nome deve essere rappresentativo di tutte le forze politiche che abbiano un seguito consistente nel Paese; rispetto a questo principio, la considerazione degli interessi di un singolo partito, qual è il PD, viene sempre dopo. Nel contrasto tra l'interesse generale ad eleggere un vero Parlamento, e l'interesse particolare di un partito, dal mio punto di vista prevale sempre e comunque il primo. A buon intenditore, poche parole. Accenno soltanto ad altre questioni di mera tattica politica. E' opportuno stabilire un'intesa privilegiata con Forza Italia, un'intesa che dovrebbe essere tanto solida e tanto duratura da contemplare la possibilità di approvare insieme riforme costituzionali? Immaginiamo che Berlusconi abbia un'altra pronuncia giudiziaria per lui sfavorevole; ovvero che il magistrato di sorveglianza gli impedisca di assumere una determinata iniziativa politica nel periodo in cui dovrà scontare la pena alternativa a quella detentiva. Non si rende conto Renzi che ci potrebbero essere mille occasioni, dunque mille pretesti, per ricattare il PD, con la minaccia, molto concreta, di impedire che l'iter delle riforme intraprese si completi? Palermo, 17 gennaio 2014 Livio Ghersi