mercoledì 27 maggio 2015

Luciano Belli Paci: Uber, miserie del consumerismo

Ci sarà pure un giudice a Berlino … Per fortuna ce n’è uno anche a Milano, il Dott. Marangoni della sezione Imprese del Tribunale, che con ordinanza ha inibito a Uber di continuare a fare concorrenza sleale ai taxi. Apriti cielo ! Le vestali del mercato si stracciano le vesti e tutti i grandi giornali, di destra e di sinistra (di sinistra ?), si indignano perché si va contro la modernità e contro gli interessi dei consumatori. Il solito luogocomunismo imperante che disprezza le regole e chi vuole farle rispettare. Anche le regole del mercato. Insomma, un caso di scuola che ci consente di tracciare una demarcazione netta tra liberali e liberisti, o meglio consumeristi. Per un vero liberale, cioè un difensore di un’economia di mercato all’interno di un paese civile, ergo regolato (ubi societas ibi ius), le cose dovrebbero essere molto semplici. Se il signor Tizio per svolgere un determinato servizio (qualificato peraltro in questo caso come “servizio pubblico”) è soggetto ad una serie di obblighi che comprendono tra l’altro: a) ottenere una licenza, b) superare un esame, c) sottostare a controlli, d) possedere un veicolo ad uso esclusivo di quel servizio e contraddistinto da speciali insegne, e) applicare a tutti gli utenti una tariffa stabilita dall’autorità amministrativa, f) osservare turni inderogabili … può il signor Caio svolgere quello stesso identico servizio senza osservare nessuno di tali obblighi ? Ovviamente no. Le regole devono essere rispettate da tutti. E la concorrenza è una bella e utile cosa se si svolge a parità di condizioni, altrimenti è appunto concorrenza sleale. Nessuno di noi andrebbe a vedere un incontro di boxe in cui un pugile ha le mani libere, mentre l’altro ha un braccio legato dietro la schiena. Contrapporre a questi principi di elementare buon senso un presunto interesse del consumatore, come fa oggi Rampini su Repubblica, non solo è assurdo, ma è anche falso perché in una società sregolata di stampo anarco-individualista come quella che più o meno consciamente esaltano questi signori staranno tutti peggio, non solo i tassisti, ma anche i consumatori. Luciano Belli Paci

La rivista il Mulino: Madrid, 27/05/2015

La rivista il Mulino: Madrid, 27/05/2015

Ten Questions For The British Labour Party

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Inequality And Crisis

Inequality And Crisis

Vocidallestero » Gli scioperi che paralizzano la Germania non se ne andranno facilmente

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President Duda: What happened in Poland? | European Council on Foreign Relations

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Elezioni in Spagna, grande successo per Podemos - nuovAtlantide.org

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materialismo storico: Podemos? Il partito laclauiano di massa e alcune contraddizioni

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Ma siamo sicuri che non debba riprendere l’intervento Statale in economia? » AldoGiannuli

Ma siamo sicuri che non debba riprendere l’intervento Statale in economia? » AldoGiannuli

lunedì 25 maggio 2015

PERCHE’ LA SINISTRA: ELEZIONI SPAGNOLE: DUE SPUNTI DI OSSERVAZIONE di Franco Astengo

PERCHE’ LA SINISTRA: ELEZIONI SPAGNOLE: DUE SPUNTI DI OSSERVAZIONE di Franco Astengo

Syriza et l’UE après la première longue bataille: bilan des négociations - Telos

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Riformismo e progressismo al tempo di Renzi

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Il quarto governo Netanyahu, il più a destra possibile

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L’Italicum sovietico? - Il Ponte

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Elezioni Spagna, Podemos vince a Barcellona, a Madrid allenza con il Psoe. Rajoy primo, ma è crisi di voti - Eddyburg.it

Elezioni Spagna, Podemos vince a Barcellona, a Madrid allenza con il Psoe. Rajoy primo, ma è crisi di voti - Eddyburg.it

Perchè l’Abenomics delude: QE e austerità | Economia e Politica

Perchè l’Abenomics delude: QE e austerità | Economia e Politica

LA SFIDA DI PODEMOS: ORIZZONTALITA' E LENINISMO

LA SFIDA DI PODEMOS: ORIZZONTALITA' E LENINISMO

giovedì 21 maggio 2015

Al 20% della popolazione il 61,6% della ricchezza italiana - Affaritaliani.it

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Grecia: la misura e’ colma | Insight

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Spese pubbliche in Europa | Insight

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L’eurozona e l’attacco alla democrazia | Insight

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La vera tragedia europea | Insight

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Germania, l'altra faccia dell'intransigenza / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Pensioni, il rimborso di Renzi / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Un giorno in Paradiso: papa Francesco riconosce Palestina - Limes

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Both Labour and the Tories are battling for control of the centre, but will this moment last?

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«Il reddito minimo di base incentiva la produttività, non la pigrizia» | Linkiesta.it

«Il reddito minimo di base incentiva la produttività, non la pigrizia» | Linkiesta.it

Comment: Blairism is no solution to identity crisis | Left Foot Forward

Comment: Blairism is no solution to identity crisis | Left Foot Forward

I nodi dell’Italicum | cambiailmondo

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domenica 17 maggio 2015

La chiamano ripresa ma è stagnazione / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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La Corte, le pensioni, e il governo / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Dopo la vittoria: l'agenda quasi impossibile di David Cameron - Limes

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Pensioni: adeguamento al costo della vita e qualche altro problema - Associazione "Nuova Economia Nuova Società"

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Dopo i fatti del primo maggio: l’interpretazione del conflitto

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Atene e la sua battaglia per l’anima dell’Europa

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Jobs Act a rischio di incostituzionalità

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Lavoro in Italia: vecchie debolezze e insicurezza crescente

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L’impatto della riforma del lavoro

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Fondazione per la critica sociale - Il Ponte

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6 ragioni per stare con la Corte Costituzionale | Gustavo Piga

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Dio ci salvi dal Fiscal Compact | Gustavo Piga

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Sul reddito minimo non c’è da improvvisare - Eddyburg.it

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sabato 16 maggio 2015

Franco Astengo: Europa

IL DIBATTITO SULL’ECONOMIA NON STA AFFRONTANDO I NODI DI FONDO, SOPRATTUTTO RISPETTO ALL’EUROPA di Franco Astengo Sembra fermo il dibattitto economico a sinistra, dopo aver oscillato per un lungo periodo attorno al nodo “Euro, non Euro” sede di brillanti, ma non particolarmente incisive, analisi accademiche e aver inseguito l’articolato confronto/ scontro tra la Grecia del post-elezioni e l’Europa (o meglio la Commissione dominata dalla Germania). Un confronto/scontro al riguardo del quale probabilmente ci sfuggono elementi relativi al dibattito interno al quadro politico ellenico, in particolare nell’area di governo, che impediscono un’adeguata valutazione complessiva. Nell’insieme, però, a dimostrazione della fragilità delle analisi precedenti e del sostanziale provincialismo nella sua impostazione questo dibattito pare essersi arrestato, da un lato, sulla frontiera del Quantitative Easing e sull’altro dei vantati successi del governo Renzi, sia in materia di occupazione, sia relativamente alla crescita del PIL. Sono così venute fuori dichiarazioni del tipo “Paese in ripresa”; “Cresce l’occupazione”. Cominciamo, allora, da una valutazione obiettiva dei dati dell’ultima nota mensile redatta dall’ISTAT (Aprile 2015) come riportato anche da un articolo di Luigi Pandolfi apparso su “Sbilanciamoci”. Nell’insieme si verifica la realtà di un paese ancora in difficoltà, lontano da una prospettiva di crescita a breve termine. Appare evidente come l’avvenimento più significativo dall’inizio dell’anno, che ha innovato il rapporto tra l’autorità monetaria e il sistema economico, è stato l’avvio proprio del Quantitative Easing considerato dalla BCE l’arma per rianimare il settore del credito e, di conseguenza, quello degli investimenti e dei consumi. Un’operazione che, a due mesi dal suo lancio, non sembra dare risultati di rilievo se è vero che l’eurozona si presenta ancora come un’area economica in affanno presentando, salvo pochissime eccezioni, magri risultati dal lato della produzione. Nel primo trimestre di quest’anno il Pil è cresciuto solo dello 0,4%, troppo poco per parlare di ripresa. Ciò, mentre il tasso di disoccupazione è rimasto inchiodato al di sopra dell’11%. Si può quindi affermare l’insufficienza (anzi, l’inutilità) di politiche monetarie espansive in assenza di politiche fiscali corrispondenti. In questa cornice l’Italia ha fatto registrare su base congiunturale (rispetto al mese di marzo) un maggiore dinamismo dell’attività industriale (+ 0,6%) ma a trainarla sono solo i beni strumentali (+1,1%) e il comparto energetico (+3,6%). Tutta l’industria trasformatrice, vera spina dorsale del sistema Italia, resta praticamente al palo. Ed è questo il punto sul quale soffermarci, perché il senso di un’alternativa vera alle politiche capitalistiche sul piano europeo e su quello interno è quello proprio della politica industriale. Come può essere possibile, in questo senso, presentare un’alternativa di fondo uscendo dalle logiche recessive dell’imposizione monetarista? Il tessuto produttivo nazionale attraversa, da anni, una crisi strutturale che condiziona l'economia del Paese e non si riesce a varare un’efficace programmazione economica, all'interno della quale emerga la capacità di selezionare poche ed efficaci misure, in grado di incrociare la domanda di beni e servizi e promuovere una produzione di medio e lungo periodo. Appaiono, inoltre, in forte difficoltà anche gli strumenti di rapporto tra uso del territorio e struttura produttiva, ideati nel corso degli ultimi vent'anni allo scopo di favorire crescita e sviluppo: il caso dei distretti industriali, appare il più evidente a questo proposito. Da più parti si sottolinea, giustamente, il deficit di innovazione e di ricerca. Ebbene, è proprio su questo punto che appare necessario rivedere il concetto di intervento pubblico in economia: un concetto che, forse, richiama tempi andati, di gestioni disastrose e di operazioni “madri di tutte le tangenti”. Oggi si tratta di riconsiderare l'idea dell'intervento pubblico in economia e porre questo tema come quello effettivamente alternativo e praticabile al riguardo dell’Europa della Commissione e dei banchieri. Emerge, infatti, la consapevolezza di dover finanziare l'innovazione produttiva. Mentre il mercato internazionale si specializzava nei beni di investimento e intermedi, con alti tassi di crescita, l'Italia si specializzava nei beni di consumo, con bassi tassi di crescita. Nel 1990 (queste le responsabilità politiche vere del pentapartito che si riflettono ancora adesso sulla realtà attuale, assieme al peso dell’aver sottoscritto trattati europei pesantemente vincolanti in assenza di una qualsiasi prospettiva plausibile di tipo politico) i paesi europei erano tutti in condizione di debolezza e tutti, tranne Portogallo, Grecia, e Italia, hanno modificato le proprie capacità tecnico – scientifiche diffuse, al fine di agganciare il mercato internazionale. Non a caso i Paesi europei hanno una dotazione tecnologica, costruita anche grazie al supporto e all'intervento diretto del settore pubblico, mentre l'Italia ha dovuto importare l'innovazione da altri rinunciando anche allo sviluppo di segmenti alti del mercato del lavoro, dall'informatica, all'elettronica, alla chimica, addirittura all'agroalimentare. Anzi, cedendo nel frattempo qualche proprio pezzo privilegiato come nel caso Ansaldo. Siamo, a questo punto, al nodo dell'intervento pubblico in economia, che va rivolto prioritariamente, alla capacità di finanziamento e di regolazione verso i soggetti capaci di generare innovazione: l'Università, in primis, L'Enea, il CNR. La privatizzazione delle grandi utilities e anzi il loro restringersi a logiche di competizione interna a uso politico come nel caso della costruenda questione tra Telecom (un vero disastro da attribuire in gran parte al centrosinistra) ed Enel sul tema della fibra larga appare emblematica di questa situazione. Un’alternativa a sinistra passa prima di tutto dall’opposizione a questa Europa e a questo Governo collegata comunque a un’ipotesi alternativa di rilanciare dell’intervento pubblico e d gestione diretta dei settori strategici, incluso quello bancario. Pensare all’intervento pubblico deve significare non rinchiudersi in un ambito neo-protezionistico ma rilanciare in pieno l’alternativa di un riequilibrio nei meccanismi concreti dello sviluppo, senza nessuna concessione ai feroci meccanismi di gestione del ciclo capitalistico e alla semplice opposizione al neo-liberismo: una definizione questa assolutamente erronea e fuorviante.

giovedì 14 maggio 2015

Andrea Ermano: La tenuta della democrazia in Italia

EDITORIALE Dall'AdL La tenuta della democrazia in Italia di Andrea Ermano Ma, insomma, questo Italicum va bene o va male? E noi stessi, che abbiamo combattuto questa legge elettorale dal Patto del Nazareno ai giorni nostri, e davvero sembra cambiata un'epoca, abbiamo mutato opinione ora che la nuova norma è stata approvata dal Parlamento a colpi di maggioranza? No, l'Italicum, a nostro parere, era e resta una cattiva legge, e ciò per diverse ragioni. La prima delle quali sta nel combinato disposto tra l'Italicum e le riforme costituzionali in programma. La seconda ragione deriva dalla magica capacità di tramutare una minoranza elettorale in una maggioranza parlamentare. La terza consiste nella "nomina" di gran parte degli eletti. La quarta ragione coincide con le candidature multiple. Ma, allora, questi vistosi difetti non avrebbero dovuto indurre l'opposizione interna al PD a puntare sulla caduta del Governo allorché il Premier Renzi ha posto la fiducia sul provvedimento? Massimo L. Salvadori ha recentemente scritto che l'approvazione dell'Italicum era preferibile a una crisi al buio. E qui il vero problema sta nel "buio", cioè nell'estrema incertezza rannuvolata e plumbea del quadro generale, geo-politico e geo-economico. In teoria, rottamare Renzi potrebbe anche suonare allettante. Ma poi non si sa come evolveranno gli scenari di crisi economico-finanziaria e strategica che caratterizzano oggi il mondo, incluso quello a noi circostante. Dunque, la minoranza del PD potrebbe aver ritenuto più prudente tenersi il Premier che c'è, nell'interesse del Paese. E li si può capire e persino apprezzare nella loro prudenza. Perluigi Bersani Nondimeno, l'Italicum e il suo combinato disposto con la riforma costituzionale in gestazione al Senato non possono essere accettati a cuor leggero. La nuova legge elettorale, infatti, rifonda il sistema istituzionale italiano sulla figura del Premier, figura che assume un vigore nettamente extra-costituzionale derivando da una massiccia manipolazione maggioritaria della rappresentanza, realizzata per altro a colpi di maggioranza semplice. I Costituenti, però, avevano concepito la forma repubblicana tutt'altrimenti, secondo una logica rigorosamente parlamentare e rigorosamente proporzionalistica. Perciò è stato detto che questa transizione, dalla repubblica parlamentare al premierato semipresidenziale, si è insinuata nell'ordinamento in forza di una fantasmatica partitocrazia "ad porcellum", né veramente legittimata né sufficientemente qualificata a decretare demolizioni e rifacimenti così sostanziali. Oberato da cotanto vizio nel contenuto, nella legittimazione e nelle procedure parlamentari, l'Italicum comporterà come conseguenza di fatto la revoca d'importanti prerogative proprie del Parlamento, del Capo dello Stato e di altre istituzioni democratiche apicali. Chi può negarlo? I deputati "nominati" non potranno considerarsi rappresentanti della Nazione "senza vincolo di mandato". Il Presidente della Repubblica non potrà annoverare tra i suoi poteri esclusivi quello di nominare il Premier e sciogliere le Camere. La subordinazione di Monte Citorio e del Quirinale alla figura straripante, ma non costituzionalizzata, del Premier non potrà non riflettersi fatalmente anche sulla composizione della Corte Costituzionale, del CSM e degli altri organi repubblicani a nomina parlamentare e presidenziale. Bersani ha dunque ragione nel focalizzare la critica della minoranza pd sul combinato disposto tra la legge elettorale maggioritaria e la riscrittura della Carta che ancora deve passare il vaglio del Senato. Ed è lecito attendersi che l'opposizione democratica suoni finalmente la carica allo scopo d'imporre lì, nel Senato, un adeguamento vero dei pesi e dei contrappesi istituzionali divenuti indispensabili a fronte del nuovo assetto elettorale. A quel punto se il Premier Renzi e i suoi non consentissero per esempio l'elevazione del quorum per l'elezione del Capo dello Stato, l'argomento di Massimo L. Salvadori perderebbe molta della sua validità. Anche perché allocare un grande potere sul "trono" di un uomo solo al comando equivarrebbe ad esporre il "tronista" – e con esso la Repubblica – a una troppo facile "contendibilità". Esistono formazioni d'interesse, interne e internazionali che, di fronte a una figura di Premier così influente e insieme così fragile, possono giocare a condizionarlo oppure a farlo cadere per sostituirlo. Pippo Civati Molte speranze circa la tenuta della democrazia in Italia stanno e cadono con l'imminente battaglia dei bersaniani in Senato sulla riforma costituzionale. Ma ci sono anche i referendum annunciati da Civati contro i capilista bloccati (cioè "nominati") e le candidature multiple. Visto che siamo in tema, ci sarebbe, a nostro giudizio, un terzo quesito da sottoporre al popolo elettore: Volete voi che la soglia di attribuzione del premio di maggioranza, attualmente collocata al 40%, venga elevata al 50% dei voti più uno? In realtà, qualora nessuna lista raccolga il consenso della maggioranza dei votanti, non si vede come e perché una minoranza relativa meriti di trasformarsi in maggioranza parlamentare senza nemmeno il fastidio di dover affrontare un ballottaggio.

martedì 12 maggio 2015

Policy Network - Labour’s 35 per cent strategy lost it the election

Policy Network - Labour’s 35 per cent strategy lost it the election

Ma per i conservatori non è stato un trionfo|Valentino Larcinese

Ma per i conservatori non è stato un trionfo|Valentino Larcinese

Come sarà la Camera eletta con l'Italicum|Paolo Balduzzi

Come sarà la Camera eletta con l'Italicum|Paolo Balduzzi

Francesco Somaini: Qualche osservazione sui socialisti e il Psi

So già che qualcuno farà la battuta che si tratta di questioni da "entomologi" o da appassionati dell'infinitamente piccolo... E vabbè. Ci può anche stare. Comunque mi sembra che qualcosa di non banale si stia muovendo nel Partito Socialista così come in quel mondo di associazioni e di circoli di ispirazione socialista, che nel PSI non si riconoscono più. Per quanto concerne il PSI, per quanto tardivamente (almeno dal mio punto di vista), sembra infatti che tra non pochi compagni di quel partito stia di fatto maturando una netta presa di distanza rispetto alla politica della segreteria, ormai irrimediabilmente connotata da uno schiacciamento pressoché totale nei confronti del PD renziano. Nell'area socialista diffusa invece (cioè in quel mondo di circoli, associazioni e anche di semplici compagni dispersi, che in molti casi da tempo non riescono più a riconoscersi nel PSI) si stanno a loro volta manifestando i segni di una certa fibrillazione, e da più parti si sono avvertite sollecitazioni verso la creazione di un nuovo aggregato politico che provi a riproporre in modo più credibile di quanto non avvenga nell'attuale PSI, i valori e ai principi del Socialismo democratico e riformista. Questi segnali parrebbero destinati a convergere verso un esito comune, e cioè appunto verso la creazione di un nuovo soggetto politico socialista. La cosa non mi pare priva di interesse, e credo meriti di essere seguita con una certa attenzione. Il fatto cioè che a fronte di un Renzismo che pare sempre più nettamente rivelarsi come portatore di un riformismo essenzialmente regressivo, poco democratico e fondamentalmente di Destra (e dunque di segno certo non socialista), vi sia una parte del mondo socialista che non intende assecondare questa deriva, mi pare un aspetto degno di nota. Detto questo però, e proprio alla luce della necessità a mio avviso non più eludibile di contrastare il Renzismo e le sue inquietanti torsioni di carattere "neo-crispino" (cioè autoritarie, demagogiche e muscolari), mi domando se la prospettiva della costruzione di un soggetto socialista puramente identitario, così come si va proponendo, possa essere ritenuta un'operazione politicamente sensata. Io tenderei a dubitarne. Mi pare infatti che la costituzione di questo eventuale nuovo soggetto socialista, evidentemente distinto da questo PSI, potrebbe avere anche senso, a condizione però che si riproponesse di concorrere fattivamente, assieme ad altre componenti politiche, culturali e sociali, alla costruzione in tempi ragionevolmente rapidi di una Sinistra ampia, plurale e credibile, che si ponesse come radicalmente alternativa rispetto al PD renziano. Io per lo meno la vedo così. Trovo che l'apporto dei Socialisti di Sinistra alla costruzione di una seria forza riformatrice, adeguata alle sfide del XXI secolo, potrebbe essere non soltanto utile, ma perfino fondamentale (e non tanto - si badi - a motivo della consistenza elettorale, purtroppo modesta, cui questa area potrebbe aspirare, quanto in ragione dell'apporto decisiva di idee, di cultura politica e di valori che essa potrebbe indiscutibilmente recare). Al contrario, mi pare invece che una scelta, anche nobile, di puro orgoglio identitario (ma di fatto isolazionistica), come sarebbe quella di una sorta di nuovo PSI, che prendesse sì le distanze dal Renzismo e da Nencini, ma per promuovere un discorso di carattere sostanzialmente solitario, non potrebbe essere, a mio avviso, di alcun costrutto. Non si tratta soltanto del fatto che penso che un soggetto del genere non potrebbe comunque realisticamente a risultati particolarmente significativi sul piano elettorale, ma anche del fatto che un'operazione mi sembrerebbe in definitiva politicamente sterile e poco feconda. Da socialista libertario, indipendente e senza tessera, io penso insomma che l'aggregarsi di una nuova soggettività socialista potrebbe aver certamente senso, ma solo se dovesse rivolgersi al vasto campo aperto di una Sinistra larga e plurale. Quello sarebbe un progetto per il quale credo potrebbe valere la pena di spendersi. Ma l'ipotesi di dar vita esclusivamente ad un piccolo orticello, in sé conchiuso, mi sembrerebbe in definitiva solo uno spreco di energie. Un saluto, Francesco Somaini

L’Italicum e la controversia tra decisionismo e indecisionismo

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domenica 10 maggio 2015

What David Cameron’s victory means for the rest of Europe | European Council on Foreign Relations

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Mazzucato: Servono grandi investimenti in Europa | Sviluppo Felice

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Il Jobs Act che impoverisce anche le pensioni / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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12 mosse per rimettere in moto l'Italia / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

12 mosse per rimettere in moto l'Italia / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

La controriforma di Renzi / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

La controriforma di Renzi / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Un Workers Act per ricostruire il lavoro / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Jacopo Perazzoli: Oltre alle stroncature c’è di più | Q CODE Magazine

Oltre alle stroncature c’è di più | Q CODE Magazine

PES Study Group on Abstention meeting to discuss innovative electoral systems - Party of European Socialists

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Pensioni, la voragine potrebbe superare i 16 miliardi - Associazione "Nuova Economia Nuova Società"

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Il bluff dell'aumento dell'occupazione - micromega-online - micromega

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La vittoria di David Cameron mette in discussione il futuro dell’UE più della Grecia | Gad Lerner

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Milan's Expo 2015: Fair performance | The Economist

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La crisi e gli economisti | Economia e Politica

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Un nuovo quadro politico interno per il Regno Unito | Aspenia online

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Un primo bilancio sul bis di Cameron, il leader in sintonia con gli inglesi | Aspenia online

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L’Italicum e il futuro dei partiti. - [Altritaliani.net]

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Livio Ghersi: Federazione europea, anche senza Regno Unito

Federazione Europea, anche senza il Regno Unito. Le elezioni del 7 maggio 2015 nel Regno Unito confermano al governo il leader conservatore David Cameron. I rapporti fra le istituzioni dell'Unione Europea ed il Primo Ministro britannico sono collaudati: così come, tra alti e bassi, hanno convissuto finora, è probabile che troveranno soluzioni e modi per continuare a convivere. Lo stesso Cameron, però, ha preso l'impegno di promuovere, entro il 2017, un Referendum popolare per verificare se il popolo del Regno Unito voglia, o meno, continuare a far parte dell'Unione Europea. Questo Referendum servirà a fare chiarezza; sarà, quindi, utile anche agli europei del Continente. Proprio in un momento di difficoltà occorre guardare oltre le attuali, non esaltanti, vicende dell'Unione Europea. Proviamo a riflettere sull'ideale della Federazione Europea. Servirebbero, in primo luogo, una Costituzione della Federazione, approvata dalla maggioranza della popolazione di ciascuno Stato che intende federarsi, e immediatamente dopo un Presidente federale, eletto a suffragio universale diretto dalla popolazione di tutti gli Stati federati. La circostanza che il Regno Unito rientri, o meno, nella prospettiva della Federazione Europea ha grande rilevanza nel determinare quelle che potrebbero essere le concrete caratteristiche giuridiche, politiche, culturali, della Federazione medesima. Consideriamo, in linea di ipotesi, cosa succederebbe se il Regno Unito decidesse di separarsi. Non ci sarebbero traumi, perché sarebbe interesse comune mantenere un'area comune di libero scambio commerciale in Europa. E' probabile, tuttavia, che alcuni fra gli attuali Stati Membri dell'Unione, forse anche alcuni fra quelli che hanno adottato l'euro come moneta, sarebbero indotti a cambiare parere circa l'opportunità di mantenere la loro adesione, non tanto all'Unione così come è stata finora, quanto ad un ben più impegnativo ordinamento federale. Per quanto mi riguarda, come italiano che conserva amore e rispetto nei confronti della Patria italiana (come comunità di lingua, storia, memorie, tradizioni culturali) sarebbe possibile accettare fino in fondo la scelta della Federazione Europea soltanto a condizione che, oltre all'Italia, facessero parte integrante di questa almeno i seguenti Stati: Francia, Germania, Spagna ed Austria. Questo è il nucleo minimo, indispensabile, perché nasca una nuova realtà istituzionale effettivamente plurale, che non mortifichi e non rinneghi le peculiarità degli Stati Membri, ma consideri la varietà fattore di arricchimento spirituale e di vivacità, da cui tutti possono trarre giovamento. Nel nucleo minimo includo pure l'Austria, che per secoli è stata sede dell'Impero, sotto la dinastia degli Asburgo, e la cui storia è strettamente intrecciata a quella dell'Italia, non meno di quanto siano intrecciate le storie della Spagna e della Francia. Dalle dominazioni e dalle guerre, alla cooperazione pacifica, all'integrazione economica ed istituzionale: in questo percorso virtuoso si coglie il valore esemplare della Federazione Europea, che rappresenterebbe una svolta positiva della Storia. Pensare ad un nucleo minimo, non significa voler escludere alcuno; laddove, invece, ogni ulteriore Stato che intendesse federarsi aggiungerebbe valore all'insieme. Penso, in particolare, al Portogallo, al Belgio, alla Slovenia, alla Slovacchia; penso, soprattutto, ai Paesi Bassi, in cui nacque Erasmo da Rotterdam (1469-1536), una delle migliori espressioni di quella cultura umanistica e di quello spirito di tolleranza che vorremmo fossero elementi caratterizzanti la fisionomia europea. Dal punto di vista della costruzione dell'ordinamento, la Federazione Europea sarebbe infinitamente più complessa di quanto non sia stato il precedente storico degli Stati Uniti d'America. Basti pensare che la Federazione sarebbe una "repubblica", nel significato classico del termine derivato dal latino "res publica", cosa pubblica. Alcuni suoi Stati Membri, tuttavia, continuerebbero a restare monarchie; si pensi, ad esempio, alle Case regnanti della Spagna, del Belgio, dei Paesi Bassi. In Europa c'è un precedente relativamente recente di un ordinamento federale includente Stati membri che conservavano un proprio Re: si pensi al secondo Reich tedesco, la cui Costituzione fu emanata il 16 aprile 1871. Il quel caso, al vertice dell'ordinamento federale, con il titolo di imperatore (Kaiser), c'era il Re di Prussia, ma alcuni Stati della Federazione, come ad esempio la Baviera, conservavano le proprie dinastie regnanti. Non c'è problema giuridico che non possa avere soluzione quando c'è la volontà politica di risolverlo e quando lo si affronta con buon senso. Fermo restando il sincero sentimento di affetto che una parte considerevole della popolazione del Regno Unito nutre nei confronti della propria dinastia regnante, non sta certamente qui la pietra d'inciampo nei rapporti con l'Unione Europea. Inghilterra, Scozia ed Irlanda sono parte costitutiva, fondante, dell'Europa in quanto comunità spirituale ed ideale. Tale assunto non può essere messo in discussione da alcuno. Gli inglesi, tuttavia, si sentono degli europei atipici, degli europei "speciali", per almeno tre motivi: 1) hanno memoria del loro recente Impero globale, che tuttora comporta intense relazioni con gli Stati del Commonwealth, dall'Australia alla Nuova Zelanda, dal Canada al Sud Africa, senza dimenticare India e Pakistan; 2) vantano un rapporto di alleanza molto stretto con gli Stati Uniti d'America, potenza della quale condividono praticamente in toto gli indirizzi di politica estera; 3) hanno una storica diffidenza nei confronti della Germania, che considerano naturale leader dell'Europa continentale. I tre motivi sommati fanno sì che gli inglesi siano molto freddi nei confronti di un'Europa sempre più integrata. Preferiscono tenere un piede dentro ed un piede fuori. Godere dei vantaggi e delle opportunità che l'Unione Europea, quale finora è stata, offre al Regno Unito; boicottare dall'interno tutte le politiche orientate nel senso della Federazione Europea. L'Europa come area di libero scambio, per loro basta ed avanza. Le recenti elezioni del 7 maggio hanno richiamato l'attenzione degli organi di informazione sulla Scozia: grazie alla legge elettorale basata su collegi uninominali a turno unico, il Partito nazionalista scozzese (SNP) ha conquistato 56 dei 59 collegi istituiti nel territorio scozzese. La legge elettorale esalta chi è meglio piazzato nella concentrazione territoriale del voto. In ciascun collegio prevale il candidato che ha avuto anche solo un voto in più dei concorrenti; così il SNP ha ottenuto 56 seggi, a fronte di poco più di un milione e quattrocentomila voti ottenuti. Per fare una comparazione, il Partito indipendentista (antieuropeo) di Nigel Farage (UKIP), ha conquistato 3 milioni 800 mila voti, ma, essendo questi distribuiti in tutto il territorio del Regno, ha ottenuto soltanto un seggio in Parlamento. Gli scozzesi non rappresentano, però, un problema per l'Unione Europea. Mediamente, sono molto più europeisti degli inglesi. C'è invece da interrogarsi su quanto il sentimento di appartenenza all'Europa possa albergare in una città quale Londra, che ha caratteristiche irripetibili. Secondo le più recenti statistiche, Londra ha già raggiunto la popolazione di 8 milioni 600 mila abitanti (il massimo storico) e si prevede sia in crescita. E' una città multirazziale e multiculturale; in cui non ci sono soltanto persone provenienti da altri Paesi europei, ma anche tante persone le cui famiglie sono originarie dalle ex colonie dell'Impero britannico. Quanti trascorrono un breve periodo a Londra, per turismo, per studio, o per inserirsi nel mondo del lavoro, avvertono subito che questa grande città, così diversificata e composita, è tenuta insieme da due fattori. Il primo è la rete integrata dei trasporti. Chi arriva in città si abitua subito ad usare l'Oyster, una carta che si ricarica come la Postepay. Tutte le linee della metropolitana, le linee della rete ferroviaria di superficie che collega il centro urbano ai sobborghi, tutti gli autobus, hanno uno stesso dispositivo che può leggere, con un semplice tocco, l'Oyster o altre consimili carte di abbonamento utilizzate dai residenti. Ad ogni rilevazione, viene diminuito l'ammontare di denaro della carta, in relazione al percorso effettuato. Tutto molto semplice ed efficiente. Le reti di trasporto sono per lo più di proprietà di privati; ma gli utenti hanno a che fare con un sistema unico di "Transport for London". L'efficienza del sistema è garanzia degli stessi profitti che i proprietari privati dei singoli tratti di rete possono ottenere. Tutti, quindi, fanno un lavoro di squadra ed il potere pubblico controlla che ogni cosa vada a buon fine. Siamo lontani anni luce dalla disgraziata realtà delle nostre amministrazioni locali; da noi se ci sono tre tipologie di trasporto (metropolitana, ferrovia di superficie, autobus), ci saranno tre diverse società di gestione, cosicché gli amministratori di designazione politica abbiano ciascuno il proprio orticello di potere, secondo una logica feudale. Il secondo fattore che tiene unita Londra è, ovviamente, la lingua; ma non si tratta di un inglese "colto". So poco del sistema scolastico del Regno Unito, ma mi chiedo quante persone dei milioni che si muovono freneticamente a Londra abbiano una sia pure approssimativa conoscenza di Francesco Bacone e della regina Elisabetta la grande, di Locke e di Newton, di Shakespeare e di Charles Dickens, di Disraeli e di Gladstone, di John Maynard Keynes, di Winston Churchill, o di Bertrand Russell. In altri termini, Londra ospita persone con una chiara coscienza di sé quanto a fisionomia culturale, o è l'emblema della cosiddetta modernità, laddove gli esseri umani sono costitutivamente "senza radici", ossia sradicati? Perché mai uno sradicato dovrebbe tifare per la causa ideale della Federazione Europea? Con riferimento a Londra, viene naturale evocare il titolo di un film dei fratelli Coen del 2007 "Non è un paese per vecchi" (No Country for Old Men). Si ha l'impressione che gli anziani non ci siano, se ne incontrano pochi. Forse se ne sono andati per vivere in altre città, più caratterizzate in senso inglese e più a dimensione d'uomo perché meno frenetiche. Gli anziani hanno memoria storica dei luoghi; anche la loro assenza è un sintomo del senso di sradicamento. Tutto è nuovo, "deve" essere nuovo. Basta fare una passeggiata lungo il Tamigi, dalle parti del Tower Bridge, per vedere una serie di grattacieli che, con le loro forme strane, sembrano fatti apposta per sfidare le leggi della fisica. Si ha l'impressione che siano unicamente realizzati con vetro e cristallo: il che non induce certamente a pensare ad abitazioni per esseri umani, ma a sedi di uffici. Chi più conta sta più in alto, nell'esaltazione della concezione verticale del potere. Il paradiso delle corporate, ossia delle multinazionali, delle grandi banche e dell'alta finanza. Il modello vincente è quello degli Stati Uniti d'America. Continuo a pensare che la nostra vecchia Europa sia altro e sia preferibile. Sono certo che proprio gli Stati Uniti siano la potenza più interessata a che non si realizzi mai una Federazione Europea. Immaginiamo soltanto come potrebbe essere una politica estera effettivamente decisa a Bruxelles e non più a Washington. Qualche esempio. La Francia ha sempre avuto grande interesse nei confronti dell'Africa. Si pensi agli intensi rapporti non soltanto con l'Algeria e la Tunisia, ma anche con tutti i Paesi della cosiddetta Africa Occidentale francese. La Germania ha sempre avuto un'attenzione particolare a costruire rapporti di buon vicinato e di cooperazione con la Russia. Francia, Spagna e non ultima l'Italia, hanno sempre cercato di mantenere buone relazioni con il mondo islamico complessivamente inteso. Anche nei tempi più cupi della guerra fredda e della divisione del mondo in due blocchi, l'Italia è sempre stata guardata con sospetto dai settori più oltranzisti dell'Alleanza Atlantica, per la sua capacità di ritagliarsi una politica di amicizia con gli Arabi: dall'ENI di Enrico Mattei, ad Aldo Moro, a Giulio Andreotti, a Bettino Craxi, si coglie una linea di continuità. E' la geografia, prima dell'ideologia, a determinare la politica estera. Se l'Europa fosse un soggetto politico, ossia se si arrivasse ad una Federazione Europea, potrebbe dare un grande contributo di equilibrio e di stabilizzazione nei rapporti internazionali. Il sovrappiù di ideali, tipicamente europeo, che possiamo ricondurre direttamente al pensiero di Immanuel Kant, ci porterebbe ad insistere sull'esigenza di accrescere la legalità nei rapporti internazionali. Il che significherebbe, in primo luogo, operare per riformare lo strumento a ciò deputato: l'Organizzazione delle Nazioni Unite. La riforma del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, intanto con l'allargamento del numero dei Membri permanenti, non è ulteriormente rinviabile. In conclusione, la sfida che il Regno Unito ci lancia con la scelta del Referendum è seria, ma, lungi dal rappresentare l'ennesimo momento di mortificazione della prospettiva della Federazione Europea, può tradursi in un'occasione di rilancio. Una possibile buona parola d'ordine è: Federazione Europea subito, con coloro che ci stanno. Palermo, 10 maggio 2015 Livio Ghersi

sabato 9 maggio 2015

Giampaolo Mercanzin: Chi vivrà vedrà

CHI VIVRA' VEDRA' Non posso credere che vi sia incompetenza nelle decisioni che, soprattutto col governo Renzi, si stanno ovviamente assumendo "erga omnes". Due sono consecutivamente le più clamorose in questi giorni. La prima: il GOVERNO si permette di disattendere le decisioni della consulta, affermando che non restituirà al "maltolto" ai cittadini pensionati. Fatto orribile, ma che segue una scelta ancor più grave, qando nel 2014, Napolitano, disattese la sentenza dela stessa in merito al cosiddetto "porcellum" (costringendola a dare delle interpretazioni autentiche "morbide"), non portando il popolo "sovrano" a votare con le vecchie norme. Ma la più clamorosa riguarda il nuovo Presidente della Repubblica che stiamo verificando si è dimenticato dell'art. 87 I° comma Cost. il quale afferma - senza bisogno di interpretazioni autentiche - che: "Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l'UNITA' NAZIONALE. Certamente avrà letto male quello che qualsiasi studente delle superiori, con poche infarinature di diritto pubblico, sa ed ha pensato invece di rappresentare la MAGGIORANZA dell'unità nazionale. Sono difatti due le "gaffes" che il prof. Mattarella, ex componente della Corte Costituzionale, ha commesso: la prima ignorando che si possa mettere la fiducia di altro organo (il Governo) su provvedimenti di esclusiva competenza del Parlamento, la seconda non rilevando che una gran parte delle forze dell' "Unità Nazionale", ha abbandonato l'aula in totale dissenso con la fiducia posta dal governo. Non so per quanto tempo questa cultura dell'ultima spiaggia, che si tramanda fin dai tempi dei "governi balneari" dell'on, ex presidente della Repubblica Giovanni Leone, potrà durare. Nè so a quale scopo sono praticamente effettuati piccoli "Colpi di Stato" dove ormai questa Italia (quella delle tre scimiette?) è disposta a sopportare questa "navigazione a vista", dove: Magistrati di procedura penale si arrogano competenze di carattere civile (il caso Ruby è il più eclatante); Decisioni di ordinaria amministrazione, possibli solo con disegni di Legge discussi e votati in Parlamento, vengono contrabbandati con l'appellativo di "straordinaria necessita ed urgenza" in nome di una presunta efficacia efficienza economicità, contrabandata dal Governo. Certo ormai la vera "casta" si è impossessata di tutti i gangli vitali del Paese ed il popolo, in parte plagiato col sistema del "bastone e della carota", in parte vessato da falsità, non è più quello tanto decantato, sovrano, ma quello più realisticamente suddito. Non sono abituato a rifarmi al "si stava meglio quando si stava peggio", ma certamente nella cosiddetta I^ Repubblica, questi comportamenti non sarebbero stati accettati dall'allora attenta "opinione pubblica". Bisogna dargli atto: essi hanno interpretato al meglio per se stessi, il famoso motto "Primun vivere"! Quanta ragione aveva il mio povero amico Prof. Navazio, segretario regionale dell'allora PRI lamalfiano, quando sentenziava: "i cattolici sono democratici finché governano, i comunisti finché sono all'opposizione" Ora costoro comandano assieme, alla maniera del "volemose bene" veltroniano.Si era dimenticato degli opportunisti, trai quali annovero anche il segretario, oltre che vice ministro, di quel novello PSI che dovrebbe rappresentare la cultura socialista, ai quali vanno bene entrambi. Il popolo dovrà restare" all'opere imbelli dell'arse officine ed ai campi bagnati di servo sudor" Chi vivrà vedrà....... Giampaolo Mercanzin

Elezioni inglesi: vince la frammentazione?|Valentino Larcinese

Elezioni inglesi: vince la frammentazione?|Valentino Larcinese

venerdì 1 maggio 2015

Alberto Benzoni: Il ritorno di Maramaldo

IL RITORNO DI MARAMALDO Ricordate la scena? Francesco Ferrucci, eroico difensore della repubblica fiorentina, giace al suolo a Gavinana. La battaglia contro le forze imperiali è già persa e lui sta morendo. A quel punto, arriva un tal Fabrizio Maramaldo che lo sbeffeggia e lo finisce. Ma come tutti i morituri illustri Ferrucci trova il tempo per l’”ultima parola famosa”. “Vile tu uccidi un uomo morto”. Da allora, il capitano dell’esercito imperiale è stato un modello da evitare. Almeno nella nostra vita pubblica. Mai infierire sul tuo avversario. Mai illudersi di averlo ucciso definitivamente. Mai voler fare troppi gol. Mai distruggere quando è sufficiente dividere. Mai… Mai. Almeno prima di oggi. Perché oggi Rignano sull’Arno sta per diventare Rignano Maramaldo. Avendo dato i natali ad un leader che ha eletto l’”omicidio con insulto”a filo rosso del suo agire politico. O, per dirla in altro modo, avendo trasformato il gesto individuale di un bullo in un disegno politico-ideologico. Fateci caso; nessuno ha mai amato le inaugurazioni come Lui ( che si tratti di una fabbrica di missili o di un asilo nido ). E nessuno, come Lui, ha pensato di affidare il futuro ad una serie di Uomini soli al comando ( da Lui al magistrato anticorruzione, dall’industriale/benefattore al sindaco onnipotente, sino al preside d’istituto ). E, conseguentemente, nessuno prima di lui aveva provato un così totale disprezzo per il passato; per le sue idee, per le sue istituzioni, per i suoi esponenti, per la sua complessità. Il capitano pratica in diretta il colpo finale ad un avversario già in fin di vita. C’è un’occasione; si limita a coglierla. Lui annuncia pubblicamente le sue intenzioni prima ancora di iniziare la sua battaglia. Saint Just aveva detto che la rivoluzione si definisce come distruzione di tutto ciò che gli si oppone; Lui potrebbe dire che il Nuovo si definisce come distruzione del Vecchio. Perciò, misura delle sue vittorie non è mai la qualità del risultati ottenuti ( e cioè delle riforme attuate) ma piuttosto la possibilità di esibire davanti alle folle i senatori e i consiglieri provinciali che costano soldi, i sindacalisti che non lavorano e impediscono di lavorare agli altri. I magistrati che fanno troppe ferie. I burocrati fannulloni che mettono i bastoni tra le ruote, l’opposizione interna. E così via. Tutta gente che merita di scomparire. Perché inutile. Nella vicenda dell’Italicum si seguirà lo stesso schema. Importante, certo, portare a casa “la riforma”. Ma più importante ancora umiliare pubblicamente i propri interlocutori/avversari. In una prima fase oggetto di questo trattamento sarà Berlusconi: rendendo chiaro a tutti che il patto del Nazareno è un accordo leonino in cui il Cavaliere potrà avere, alla fine, la legge elettorale che gli conviene; ma solo se, nel frattempo, avrà svolto diligentemente il suo ruolo di “oppositore di Sua maestà”. Al minimo sgarro, si passerà dal premio alla coalizione a quello alla lista; per il Cavaliere, lo scenario peggiore. In quanto, poi, all’opposizione Pd, il cadavere è sotto gli occhi di tutti: un’èlite rancorosa e incoerente; e, per altro verso, un mare di peones pronti a vendere anche la loro madre pur di evitare di perdere il seggio e il vitalizio. Lo Scalpo come segno della vittoria. Rimane Lui, l’uomo solo al comando. Pronto a “cambiare l’Italia”( una vera e propria sfida agli dei; nessun uomo politico, nell’ambito di una democrazia liberale, aveva mai preteso tanto). E, intorno a Lui, un campo di rovine. Rovine, innanzitutto, della democrazia. Non stiamo parlando di dittature incombenti o di regimi autoritari, manca, per inciso, al Nostro la caratura necessaria. Stiamo, parlando, piuttosto, di morte lenta, per conclamata inutilità. La democrazia non è il diritto di sapere chi ha vinto la sera delle elezioni, con l’annesso diritto, per quest’ultimo, di potere fare ciò che vuole fino al prossimo giro. E’ piuttosto il diritto/dovere per la collettività nazionale e per i suoi rappresentanti di costruire, insieme, il proprio futuro. E, allora, chi addita di continuo alla “gente” ( senza, per la verità, essere smentito, in parole, opere e omissioni…) la politica, le sue istituzioni e lo stesso conflitto come un inutile e costoso gioco di ombre a copertura di puri e semplici interessi, personali o di gruppo, colpisce alla radice la democrazia. Senza abbatterla o soffocarla, per carità; semplicemente svalutandone radicalmente il senso e il valore. Perciò, glielo diciamo per il suo bene, Lui dovrebbe stare attento. E noi con lui. Perché sta giuocando con il fuoco. “O me o il caos”. Da una parte una minoranza di soddisfatti o aspiranti tali. Dall’altra una marea di astenuti per convinzione. In mezzo, come sbocco di una rabbia impotente, populisti d’ogni ordine e grado; ma non in grado di governare. Per Lui, la vittoria assicurata. Per l’Italia, comunque, uno scenario da incubo. Chiunque vinca.

Scotland Moves Left | Jacobin

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Da Genova a Strasburgo: i ritardi dell’Italia sul reato di tortura

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Italicum: etica e politica. - Eddyburg.it

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Dalla Grecia al QE: l’euro è riformabile? | Economia e Politica

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