martedì 30 giugno 2015

Franco Astengo: Fallimenti

FALLIMENTI di Franco Astengo Potrebbe essere questo il momento per rialzare la testa e guardare le cose del mondo da un punto di vista complessivo rivolto a valutare ciò che è stato e a elaborare un progetto per il futuro. Ciò che sembra mancare, in questa fase complicata e così difficile nell’insieme delle relazioni economiche, politiche, militari, a livello globale è proprio la capacità di pensare “lungo” e in “grande” da parte dell’insieme dell’establishment a livello internazionale, al di là del colore politico e delle ideologie di provenienza. Addirittura, invece, il pensiero dei governanti si “restringe” e a proposito del terrorismo islamico il socialista primo ministro francese, Valls, arriva addirittura a sposare la tesi dello “scontro di civiltà” caro alla destra americana più conservatrice, da Samuel Huntington in avanti. Potrà apparire anche banale e scontato ma la prima affermazione da svolgere, sotto quest’aspetto, non può che essere categorica: l’intera politica internazionale del post-muro di Berlino è completamente fallita. E’ completamente fallita l’idea di affidare il tutto alla tecnocrazia regolatrice di un processo economico dallo sviluppo “naturale”. Una tecnocrazia basata su “modelli” precostituiti diventata assolutamente prevalente e dominante sulle scelte politiche che dovrebbero semplicemente limitarsi ad assecondare un processo di sviluppo predeterminato e condotto da una sorta di “pilota automatico”. Su questa base, del primato della tecnocrazia, è stato impostato il processo della cosiddetta “globalizzazione” esasperata nella sua velocità da un utilizzo dell’innovazione tecnologica rivolto ad allargare, anziché cercare di comprimere, le diseguaglianze a livello planetario contribuendo anche ad una vera e propria confusione di rapporto tra struttura e sovrastruttura. E’ stata questa, principalmente, la filosofia che ha ispirato via via la formazione della cosiddetta Unione Europea affiancata all’altra idea che l’aprirsi dei mercati all’Est avrebbe rappresentato la nuova frontiera di mercati forieri di un illimitato sviluppo. Su questa ipotesi si sono alimentate fantasie pericolose che si sono scontrate alla fine con la dura realtà di processi molto più contraddittori, in particolare sul piano della cessione di sovranità dello “Stato – Nazione” avventatamente proclamata e accelerata in modo del tutto improprio. Si è cercato un equilibrio che alla fine, complice ovviamente la sudditanza alla gestione del ciclo capitalistico, si è tradotto nel “monstrum” che ci troviamo davanti tra Bruxelles, Strasburgo e Francoforte nella gestione di politiche recessive, di impoverimento globale, di isterilimento economico e sociale. Ancor più grave, del resto, appare il fallimento complessivo della politica estera degli USA, assurti nel frattempo al ruolo di unica superpotenza. La teoria dell’esportazione della democrazia “sulla punta delle baionette” si è rivelata disastrosa proprio sul piano della destabilizzazione della vastissima area che va dall’Asia Centrale all’Africa sub-sahariana ponendosi quale fattore decisivo per la crescita incontrollata dei fondamentalismi e della presenza dei “signori della guerra” con tutto ciò che ne è conseguito e che verifichiamo ogni giorno, tragicamente, sotto i nostri occhi. Anche questa è un’affermazione banale ma necessaria, tenendo conto che servirebbe anche un’analisi sul ruolo dei giganti asiatici, le contraddizioni di Cina e India, la crisi verticale del Giappone il cui modello segue l’andamento negativo dell’Occidente. Nella sostanza si tratta di richiamare alcuni principi di fondo e aprire una riflessione a sinistra. La prima questione è davvero quello riguardante l’assenza di un brain-trust posto in grado di riflettere e proporre sul piano globale: sembrano ripetersi gli errori di egoismo e miopia che seguirono la prima guerra mondiale. La seconda questione riguarda l’aver accettato l’idea di uno sviluppo incontrollato sul piano tecnologico, nella convinzione ne scaturisse un processo di sviluppo pressoché infinito: non è più il tempo delle “magnifiche sorti e progressive” e la critica a questo fenomeno deve essere politica, non certo affidata al ritorno allo spiritualismo papale che segna davvero l’evidenza di un vero e proprio “arretramento storico”. Il terzo tema riguarda la facilità con la quale si è ritenuto superato il concetto di “Stato – Nazione”: gli esempi dell’Europa, dell’Asia centrale, del Medio Oriente, dell’Africa del nord e sub-sahariana, le tragedie in atto nel Sud – Est asiatico ci indicano come l’idea di superamento di questo concetto e di questa base di strutturazione nei rapporti internazionali sia risultata avventata e quasi fuori luogo, esigendo invece una processualità e una gradualità ben diverse, pur con tutte le contraddizioni esistenti fra i diversi sistemi di gestione del potere. Infine ruolo e compiti della sinistra, a livello internazionale: una sinistra che ha abdicato alla propria funzione complessiva (pensiamo alle banalità della follia rappresentato dall’Ulivo Mondiale) soprattutto per via dell’omologazione totale al modello capitalistico imperniato sulla finanziarizzazione e la speculazione sui mercati e l’abbandono della capacità di rappresentanza dei “propri” settori sociali. I settori sociali storicamente subalterni sono stati sottoposti nel frattempo a una intensificazione massiccia dell’attacco alle condizioni di classe, accompagnato dalla speculazione e dalla sopraffazione imperante anche al riguardo degli effetti sociali delle contraddizioni definite post – materialiste (ambiente, genere, diritti sociali). L’esame di questo vero e proprio fallimento epocale dovrebbe essere compiuto il più rapidamente possibile all’interno di una sinistra che ritrovi per intero alcuni elementi della propria vocazione storica, in primis al riguardo dei temi della pace e poi dell’internazionalismo delle lotte sociali e dell’azione politica e di una proposta concreta di radicale alternativa di società. Si tratta di recuperare assieme al kantiano “dover essere” la volontà di tentare ancora di “afferrare Proteo”, nella coscienza che il ciclo di sfruttamento capitalistico non si interromperà nonostante i fallimenti ma che non è neppure possibile abbandonarci ad una sorta di “fatalismo dell’ineluttabile”.

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