martedì 29 settembre 2015

Fiscal Austerity And Greece

Fiscal Austerity And Greece

La riformetta fiscale

La riformetta fiscale

Enrico Franceschini: Compagno economista

Da La Repubblica, 29 settembre 2015 Canta Bandiera Rossa e legge Marx? Sì, ma non solo. Perché per rendere credibile la sua prossima candidatura a guidare la Gran Bretagna, il neo leader laburista Jeremy Corbyn ha reclutato una squadra di influenti professori e intellettuali. Obiettivo: dimostrare che si può dare battaglia, da sinistra, all’austerity alle banche e al dominio del liberismo Redistribuendo la ricchezza Compagno economista DAL NOSTRO INVIATO ENRICO FRANCESCHINI BRIGHTON FINORA i conservatori lo ridicolizzavano perché legge Marx, canta Bandiera Rossa e non mette mai la cravatta: “Affidereste l’economia della Gran Bretagna a uno così?”, tuona il Sun , organo ufficioso della destra anglosassone. Ma adesso Jeremy Corbyn ha colto l’occasione del congresso annuale del partito per annunciare l’arruolamento di un “all star team” di economisti di sinistra, anzi molto di sinistra, e di colpo l’establishment sembra prendere più seriamente il nuovo leader laburista. È una squadra che comprende un premio Nobel americano, Joseph Stiglitz, un intellettuale francese della rive (decisamente) gauche , Thomas Piketty, un’italiana che ha fatto gli studi negli Usa e insegna nel Regno Unito, Mariana Mazzucato, una russa trapiantata a Londra, un inglese docente a Oxford e un ex-analista della Banca d’Inghilterra. Si riuniranno quattro volte l’anno per dare consigli e vere e proprie “lezioni” a Corbyn, al ministro del Tesoro del suo governo ombra John McDonnell e a qualunque parlamentare laburista affetto da scetticismo sulla possibilità di adottare una formula anti-austerità, se non anti-capitalismo. «Aiuteranno il Labour a scrivere un programma di sinistra», afferma il Financial Times . E la bibbia della City, davanti a mezza dozzina di “compagni economisti” di questo peso, non ironizza. La notizia piomba sul congresso laburista riunito a Brighton, allietato da un sole non necessariamente “dell’avvenire” ma insolito a fine settembre a queste latitudini, come la prima autentica sorpresa tirata fuori dal cappello dallo “Tsipras inglese”, come qualcuno ha ribattezzato Corbyn: eterna primula rossa, eletto leader contro tutti i pronostici nelle primarie di due settimane fa grazie al sostegno di giovani, donne e sindacati, determinato a spazzare via il riformismo blairista e a fare una politica «per il 99 per cento della gente, non per l’1 per cento di privilegiati ». Ma mentre i vignettisti lo dipingono come un barbudo alla Fidel Castro, il 68enne neo-capo del Labour rivela di non essere una macchietta o uno sprovveduto, scegliendo come consiglieri alcuni degli accademici e pensatori più autorevoli sulla scena internazionale. «Come dare lustro alla sinistra», riassume rispettosamente il concetto il pur filo-conservatore Sunday Times . La celebrità del gruppo è attualmente Piketty, docente alla Ecole de Economie di Parigi, autore del best-seller dell’anno, “Il capitale nel ventunesimo secolo”, un j’accuse della crescente diseguaglianza che ha fatto di lui una stella citata praticamente ovunque, perfino alla Casa Bianca e da chi non è d’accordo. «Oggi la ricchezza è così concentrata nelle mani di pochi che una larga parte della società è praticamente ignara della sua esistenza», scrive nel libro. La sua ricetta base: ridistribuirla attraverso una tassa progressiva globale sul reddito. Non meno conosciuto è tuttavia Stiglitz, docente alla Columbia University di New York, vincitore del Nobel nel 2001, ex-capo economista della Banca Mondiale, dunque con un curriculum che non ne farebbe propriamente un rivoluzionario, ma diventato un accanito critico dell’ortodossia economica neoliberale e di istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale dopo il collasso finanziario mondiale del 2008. La sua filosofia è centrata sul fatto che i mercati «non si auto-correggono da soli » e che serve una maggiore regulation del settore finanziario per mettere fine a speculazioni, rischi e corruzione. Nata in Italia ma cresciuta e laureata negli Stati Uniti, dove ha preso anche la cittadinanza americana, ora docente alla University of Sussex, Mariana Mazzucato è uno dei maggior esperti mondiali sull’intervento dello Stato nell’economia: il suo libro “Lo stato innovatore” (pubblicato nel nostro paese da Laterza) demolisce il mito che solo l’impresa privata sia una forza innovativa per la società, mettendo in rilievo, dati alla mano, il ruolo dinamico dell’economia pubblica in molti settori, dall’ambiente alle telecomunicazioni, dalle nanotecnologie alla farmaceutica. Sta ai governi fare investimenti ad alto potenziale in nuove industrie come la green technology, afferma, difendendo il diritto-dovere dello stato ad avere non solo una missione ma anche «a sognare ». La professoressa Nesvetailova, direttore del centro ricerche della City University di Londra, viene dalla Russia ma nei suoi studi analizza proprio il contraddittorio rapporto con Mosca dell’Occidente, pronto a varare sanzioni contro il Cremlino e ad avere relazioni con paradisi fiscali usati dagli oligarchi dell’Est. Per questa economista “venuta dal freddo”, una più forte regulation finanziaria non sarà comunque sufficiente a evitare una nuova crisi bancaria. E la squadra è completata da Simon Wren- Lewis, docente di politica economica alla Oxford University, che accusa il governo Cameron di avere «ritardato la ripresa di due anni» insistendo sui tagli alla spesa pubblica, e David Blanchflower, ex-membro del comitato che decide la politica monetaria per la banca centrale inglese, secondo il quale i piani dei conservatori per altra austerità sono «lunatici». I primi sondaggi su Corbyn sono stati disastrosi: nessun leader laburista aveva mai ottenuto un tale livello di sfiducia, provocata in larga misura dall’impressione che sia solo un socialista vecchia maniera, ancorato a un’ideologia sorpassata. L’“all star team” di economisti mira a smentire un simile giudizio, dimostrando che è stata una politica economica di destra a causare i problemi, le proteste, i disagi dell’ultimo decennio e che anche una politica di sinistra può avere una base teorica rispettabile. «Il partito laburista ha una fantastica opportunità di costruire una politica economica nuova e originale, che svelerà quanto l’austerità sia stata un fallimento in Gran Bretagna e in tutta Europa», proclama Piketty. L’obiettivo non sarà rovesciare il capitalismo, rassicura McDonnell, il braccio destro di Corbyn e il suo “ministro del Tesoro” nel governo ombra: «Ma il modello economico che abbiamo usato in questi anni non ha funzionato, per cui bisogna trasformarlo». A Brighton il Labour ha cominciato a spiegare come: McDonnell parla di una “Robin Hood tax”, una tassa sulle operazioni finanziarie delle banche, Corbyn riconosce che è giusto pareggiare il bilancio ma ingiusto farne pagare il prezzo ai poveri e alla classe media. Magari il nuovo leader del Labour non riuscirà a fare la rivoluzione che ha in mente, scrive Martin Wolf, principe degli editorialisti del Financial Times , «ma è presto per scommettere che non può vincere le prossime elezioni». Come minimo, con l’aiuto dei “compagni economisti”, cercherà di dare dignità a un pensiero diverso dal modello unico liberista che sembra avere accomunato destra e sinistra. ©RIPRODUZIONE RISERVATA “Così faremo una politica per il 99% della gente e non per l’1% di privilegiati” PROTAGONISTI Tre degli economisti reclutati come consulenti da Corbyn: Mariana Mazzucato, Joseph Stiglitz e Thomas Piketty. Daranno consigli al leader Labour per cambiare la politica economica

Felice Besostri: Le elezioni catalane una lezione politico istituzionale per l'Italia

Le elezioni catalane una lezione politica istituzionale per l’Italia di Felice Besostri Il risultato delle elezioni catalane di domenica 27 settembre 2011 ha carattere costituente secondo la parola d’ordine dei partiti catalanisti indipendentisti (CDC-ERC, con lista unica ”Uniti per il Sì”, con il sostegno di due piccole formazioni scissioniste del PSC e dell’UDC, e CUP (“Candidatura di Unità Popolare”) dopo che il Governo con l’avallo del Tribunale Costituzionale aveva dichiarato illegittimo il referendum istituzionale indetto per il 2014 sostituito da una consultazione popolare senza valore legale. Col senno di poi le forza politiche contrarie alla secessione della Catalogna si pentiranno perché il referendum aveva due quesiti. Il primo sulla dichiarazione di sovranità, cioè il passaggio da Comunità Autonoma( per intendersi come una Regione Autonoma italiana, tipo Sicilia) a stato sovrano(Land tedesco o Cantone svizzero). Il secondo se questo stato dovesse essere non solo sovrano ma anche indipendente. Un processo con similitudini con quello che portò alla dissoluzione dell’U.R.S.S. in quanto le chiusure alle dichiarazioni di sovranità, accelerarono quelle di indipendenza: in teoria una dichiarazione di sovranità è compatibile con una soluzione federale, che era ed è la posizione dei socialisti spagnoli, PSOE, e catalani, PSC. In base alla rappresentanza parlamentare gli indipendentisti ed alleati hanno una chiara maggioranza. Junts pel Sì( CDC,ERC e alleati)ha 62 seggi, che sommati ai 10 di Candidatura d’Unitat Popular, una forza politica di sinistra alternativa, rappresentata nell’assemblea parlamentare della Generalitat dal 2012 con 3 seggi, costituisce una maggioranza di 72 seggi su 135. In percentuale di voto, con una partecipazione storica del 77,44%(2012 69,6%, 2010 58,8): una chiara controtendenza rispetto all’Italia e alla Grecia) le due liste indipendentiste raggiungono, invece, il 47,78% (JxSì 39,57%+ CUP 8,21%), che non è la maggioranza assoluta, ma più omogenea dei contrari. La Catalogna non si è fatta impressionare dai sistemi elettorali italiani: ha un sistema elettorale sostanzialmente proporzionale con una soglia d’accesso provinciale del 3%, quindi più bassa dell’Italikum, che ha la stessa percentuale, ma nazionale. I seggi sono distribuiti su base provinciale con il Metodo d’Hont, che favorisce le liste più votate, non esente da distorsioni. Nelle elezioni precedenti del 2012 uno degli 85 seggi della provincia di Barcellona è costato 47.500 voti, mentre con appena 20.900 voti si conquistava uno dei 15 seggi della provincia di Lerida. Con 30.900 voti si conquistava un seggio su 18 a Terragona, mentre a Girona, con 17 seggi totali, ci volevano 29.500 voti per averne almeno 1. Questi rapporti seggi voti hanno nel passato favorito la CiU(CDC+UDC) di Pujol rispetto al PSC-PSOE, che si contendevano la direzione del governo, in altri tempi: per esempio nel 2006 il PSC era il primo partito in percentuale con il 37,85% dei voti ma il secondo in seggi avendone 52 a fronte dei 56 di CiU con il 37,7%: stessa situazione nel 1999 con il PSC al 38, 21% e 52 seggi e CiU con 56 seggi e il 38,05%. Con queste elezioni 2015 il panorama politico è totalmente cambiato e la Catalogna non assomiglia alla Spagna del Parlamento eletto nel 2011 e neppure a quello che uscirà dalle elezioni del dicembre 2015, per il quale le previsioni si son fatte più difficili. L’asse politico in Catalogna non è più contrassegnato dalla contrapposizione destra/sinistra e neppure da una tripartizione destra-centro-sinistra, ma da indipendentisti/non indipendentisti (una definizione questa che è già un segno di debolezza, che in un referendum sì/no potrebbe influenzare il risultato, se per esempio i federalisti optassero per il no o per la non partecipazione al voto o scheda bianca. La legge referendaria potrebbe tenere conto per la proclamazione della maggioranza dei voti o dei votanti e/o pretendere come validante un quorum di partecipazione degli aventi diritto: tutte questioni da risolvere nell’arco temporale, che gli indipendentisti si sono dati di 18 mesi e che dipenderà anche dal nuovo governo centrale, se dovrà essere una soluzione unilaterale o bilaterale. La discriminazione indipendentista spiega il successo della lista civica di centro destra Ciutadans(C’s) contraria all’autodeterminazione catalana e la singola lista con il maggior successo: 2012 7,57% e 9 seggi vs 2015 17,91% e 25 seggi. Alle prime elezioni catalane del 1980 i partiti rappresentati in Parlamento erano 6, tra cui, con 2 seggi anche un Partito socialista andaluso. Nel 2015 soltanto 6 liste hanno ottenuto rappresentanza, ma espressione di coalizioni, che rappresentano almeno 9/10 formazioni politiche. Nel 1980 la sinistra era chiaramente maggioritaria con 74 seggi o anche 72, per non contare i socialisti andalusi, PSC 33 seggi+ PSUC( la versione catalana dei comunisti spagnoli) 25 + ERC (Sinistra Repubblicana Catalana) 14, ma divisa tanto che ERC votò, insieme alla destra spagnolista di CC-UDC, per la Presidenza di Jordi Pujol. CiU la formazione unitaria nazionalista catalana tradizionale, quella che ha retto più a lungo il governo autonomico con 8 legislature su 10, si è spaccata, in quanto, sia pure di misura, la UCD non ha accettato un processo unilaterale di indipendenza. La UDC con un misero 2,51% come tale non è rientrata in Parlamento e una parte, Demòcrates de Catalunya si è alleata con la CDC di Mas contribuendo alla vittoria di “Uniti per il Sì”, e a contenerne la perdita in percentuale rispetto al 2012. Nelle precedenti elezioni, infatti Convergència i Unió aveva il 30,70% e 50 seggi, ma 11 erano UCD, e la ERC il 13,70% e 21 seggi, infatti hanno governato in coalizione , togliendo dal 44,4% del 2012 il 2, 51% di UCD 2015, avrebbero dovuto ottenere lo 41,89%, mentre il guadagno in seggi rispetto al punto di partenza è innegabile , perché i 71 seggi di CiU+ERC erano in effetti 60. Un’altra formazione scissionista socialista Moviment d'Esquerres( Movimento delle sinistre), di provenienza del PSC ha contribuito al successo, in che misura lo potremo sapere solo con la biografia dei futuri parlamentari. La grande sconfitta è la sinistra tradizionale sia di provenienza socialista, PSC-PSOE, che comunista(PSUC-PCE): una sinistra che nel 1980 aveva 58(PSC 33+ PSUC 25) seggi su 135, ma che già nel 1988 ne aveva 47. PSC 41 e PSUC 6, inaugurando così le maggioranze assolute di CiU e Pujol finite con la vittoria del socialista Pasqual Maragall nel 2003. Le elezione anticipate del 2006 riconfermarono la guida socialista della Generalitat di Catalogna, con Josep Montilla a capo di una coalizione tripartita Partit dels Socialistes de Catalunya (PSC), Esquerra Republicana de Catalunya (ERC) e Iniciativa per Catalunya Verts-Esquerra Unida i Alternativa (ICV-EUiA), come la precedente. Nel 2010 i socialisti sono sconfitti, ma è tutta la coalizione di sinistra ad essere punita dagli elettori con 22 seggi in meno, di cui 11, la metà, imputabile a ERC e 9 al PSC. Dalla sconfitta del scendendo2010 la sinistra tradizionale non si rimetterà il PSC scende nel 2012 al 14,43% e a 16 seggi da 20, per concludere paretito la parabola nel 2015 al 12,72% e 16 seggi, ormai terzo partito, dopo essere stato il secondo o il prima con percentuale di voto anche superiori al 38,1% e 52 seggi. Tuttavia le formazioni a sinistra del PSC non hanno avuto maggior fortuna, recuperando le perdite socialiste in minima parte. Nel 2003, ottenendo 9 seggi si presentavano uniti EA(Esquerra Alternativa, ) e ICV, che nelle elezioni del 1999 aveva fatto alleanza con i socialisti in alcune circoscrizioni provinciali eleggendo complessivamente 5 parlamentari. EUiA, esclusa dal Parlamento catalano nel, 1999, con l’unificazione con ICV, formazione che comprende i Verdi, trae vantaggio dalla dinamica unitaria e, infatti, uniti conquistano 12 seggi nel 2006, ma scendendo a 10 nel 2010 e avendo il miglior risultato con 15 seggi e il 9,90% nel 2012. Una dinamica positiva che si è interrotta con il 8,93% e 11 seggi nel 2015, ma in unione con Podemos che alle municipali del maggio 2015 lasciavano sperare in un risultato di ben maggiore consistenza e comunque ben lontano dai migliori risultati del PSUC in Catalogna e di Izquedia Unida in Spagna. A sinistra un solo successo è incontrovertibile quella della lista CUP ( Candidatura per l’unità popolare) con 10 seggi e il 8,21% Guadagna 7 seggi, rispetto al 2012, elezioni dove aveva superato la soglia con il 3,48%, ma la forza è di essere decisivo per la maggioranza indipendentista. Il suo successo deriva dalla chiara scelta per l’autodeterminazione della Catalogna e per il rifiuto di una consiste quota dell’elettorato della EUiA ( Sinistra per l’Unità e l’Alternativa) con Podemos, considerato un movimento populista, quindi non di sinistra. Un giudizio analogo di squalifica ideologica, radicato anche nella sinistra italiana nei confronti del M5S. In Italia, come in Spagna, per fare propria l’esortazione rosselliana(“ oggi in Spagna, domani in Italia”) la sinistra dovrebbe interrogarsi se è possibile una sconfitta del Partito della Nazione, senza un’alleanza con il M5S , ma soprattutto per quale incapacità di analisi e/o mancanza di radicamento sociale non sia stata in grado di percepire, raccogliere e rappresentare quelle pulsioni di rinnovamento politico-sociale radicale, che i superato la percentuale del PSC, se nella lista indipendentista unita conservasse la percentuale del 2012(13,7%), ma non potrà mai raggiungere le percentuali più elevate del PSC 37%/38% pur avendo superato con più del 16% nel 2003 e nel 2006 le percentuali del PSC del 2012 e 2015. Si conferma che la sinistra in Catalogna come consenso popolare è in progressiva diminuzione dal 1980, sia pure in diversa composizione, ma nel corso degli anni è stata capace di andare al governo con coalizioni, ma in solo due occasioni, 2003 e 2006,, ma soltanto nel 2003, a differenza del 2006, essendo il PSC il primo partito e il suo candidato alla presidente il più votato.. Il candidato alla presidenza della Genaralitat è il leader del Partito vincitore, ma i catalani hanno mantenuto l’elezione del presidente dal parlamento. Una legge elettorale proporzionale con una bassa soglia d’accesso e una forma di governo parlamentare hanno consentito alla Catalogna di governarsi, di compiere scelte anche in coalizione e di trasformare il sistema politico. In 35 anni si sono avute quattro legislature anticipate rispetto alla scadenza quadriennale 1992-1995, 2003-2006 e 2010-2012 e 2012-2015. La prossima sarà piena di tensioni e lo scontro con il governo centrale , il Parlamento nazionale e il Tribunale Costituzionale sarà affrontato contando su una maggioranza parlamentare vera e non frutto di premi di maggioranza arbitrari, ma di una partecipazione del 77,44% degli elettori. Dalla Catalogna arriva anche una lezione per la Lega Nord, la cui parola d’ordine secessionista non ha avuto molto seguito. CiU era una lista unitaria di partiti moderati in politica economica e sociale, tipicamente centrista e cattolica popolare, capace di aggregare nel progetto formazioni di sinistra, come ERC, anche estrema come CUP, che ha sottratto voti a EUiA. La Lega, invece, ha fatto una scelta di destra come programmi ed alleanze e poi manca nel nord il fattore della lingua, che in Catalogna, da fattore di esclusione individuale e di divisione tra città e campagna in appartenenza comunitaria. Fino alla vittoria del socialista Maragall i socialisti erano penalizzati alle elezioni autonomiche, perché i residenti originari da altre regioni non partecipavano a quelle elezioni, ma solo a quelle nazionali e municipali assicurando al PSC la supremazia in quelle elezioni: la più forte delegazione parlamentare catalana in Madrid e il controllo della Municipalità di Barcellona e della sua area metropolitana. Una tristezza vedere come quel capitale politico sia stato dissipato, soprattutto per colpa del PSOE.

sabato 26 settembre 2015

Franco Astengo: Conferma di un'analisi

LA CONFERMA DI UNA ANALISI di Franco Astengo L’editoriale firmato da Stefano Folli e apparso su Repubblica il 25 Settembre contiene l’ennesima conferma di un’analisi che si sta cercando di portare avanti da parecchio tempo, però con scarsissima fortuna. Occhiello e titolo risultano estremamente significativi e così recitano: “ Il mondo post Berlusconi si sgretola e Renzi se ne impossessa” e ancora “I vassalli della destra alla corte del nuovo re”. Il riferimento è rivolto naturalmente all’operazione in corso, patrocinata dalla massoneria (è rimasto senza risposta, a proposito, l’editoriale d’addio al Corriere della Sera di Ferruccio De Bortoli, pubblicato qualche mese fa) e orchestrata dal banchiere Denis Verdini di vera e propria “transumanza” di parlamentari da Forza Italia a una nuova formazione (ALA) attraverso la quale ci si ripromette di realizzare un concreto sostegno al governo Renzi, nell’augurio di spostare non soltanto parlamentari, ma anche voti dalla destra al partito Democratico. Un passaggio dell’articolo di Folli merita di essere ripreso: “.. E, infatti, l’operazione, al di là del notevole tasso di trasformismo, è figlia di una precisa intuizione. Renzi è ormai il personaggio egemone della scena politica – il nuovo Berlusconi, dice qualcuno – e ambisce a ereditare una parte consistente dei voti di Forza Italia, il che significa entrare nel santuario dei ceti sociali che un tempo sostenevano il centrodestra e oggi sono maturi per il renzismo..”. In questo modo si completa quel “movimento” che, parecchio tempo fa, Ilvo Diamanti aveva identificato come da PD a PdR : cioè l’inoltrarsi definitivo verso il soggetto di regime che punta, attraverso l’abolizione delle assemblee elettive, gli smisurati premi di maggioranza, l’abolizione della Costituzione nella sua parte di disegno delle istituzioni repubblicane, possa affermare un’egemonia totalitaria fondata (riprendo ancora Folli): “ “partito di Renzi, post moderno e centrato sulla figura del leader”. Si tratta di un’analisi che circola da tempo ma che non ha trovato ancora una risposta adeguata. La sinistra ex- PCI presente nel PD si muove come se vivesse sulla luna: l’accordo raggiunto sulla trasformazione del Senato è la prova più lampante di questo stato di fatto. Davvero di quell’accordo non si capiscono le ragioni, salvo quelle di un’analisi vecchia e superata riguardante le necessità di mantenersi in quella posizione per combattere la destra e la “paura” del M5S. Se queste sono le ragioni davvero le capacità analitiche degli esponenti di quest’area politica sono ridotte a zero: la destra è in casa, non la riconoscono, la subiscono e favoriscono anziché combatterla a fondo come sarebbe necessario. Intendiamoci bene su di un punto: il Movimento 5 Stelle non rappresenta un pericolo per la democrazia, anzi, è l’espressione di un pezzo di questo sistema che non intende combattere presentando un’alternativa. Il M5S minimizza(forse per ragioni di vera e propria miopia politica) le proprie capacità di proposta in una visione ridotta e ristretta della situazione politica e sociale , adeguandosi al meccanismo della spettacolarizzazione e del personalismo. A sinistra, tra SeL, fuoriusciti vari, appendici di Tsipras il quadro risulta davvero desolante: l’approccio alla vicenda greca è risultato emblematico ma soprattutto è particolarmente significativa la subalternità culturale che si esprime, ad esempio, attraverso le colonne del “Manifesto” alla logica espressa dal Papa: logica che può andar bene, per chi ci vuol credere, per la predicazione evangelica ma che sul piano politica porta agli errori di altermondismo movimentista che già segnarono il cammino del cosiddetto “movimento dei movimenti” all’epoca del G8 genovese. Rifondazione Comunista accompagnò quell’opzione con la scelta di governo, provocando così la propria definitiva caduta, avendo abbandonato qualsiasi riferimento alla tradizione della sinistra europea: sia quella passata da Bad Godsberg, sia quella rimasta nell’alveo dell’opzione marxiana. Del resto anche lo scioglimento dello stesso PCI era avvenuto su di un’analoga lunghezza d’onda al riguardo della indeterminatezza teorica e politica e non ci poteva aspettare, a quel punto, nulla di meglio. Così come nulla di meglio ci si poteva aspettare dagli esponenti di quella parte di ex-PCI approdata al PD. Tutto questo per sviluppare, ancora una volta, una proposta molto precisa. Il punto saliente della vicenda politica attuale, il nodo di fondo, quella che si potrebbe definire “contraddizione principale” all’interno di un “caso italiano” al riguardo del quale va presa in considerazione la scelta di privilegiare l’intervento sul sistema politico interno rispetto al quadro europeo e a quello internazionale (che pure presenta rischi di vera e propria dissoluzione in quella che Rampini ha definito “l’età del caos”). Il tema dell’agire politico in Italia appare però propedeutico alla possibilità di intervenire rispetto al quadro complessivo: si capisce che si tratta di un’inversione di canone, non usuale, ma ci sono ragioni di necessità e urgenza. Serve subito un soggetto politico che, sulla base di quelle opzioni storiche della sinistra alle quali ci si è già abbondantemente richiamati in questa sede, operi un’inversione di tendenza richiamandosi ai concetti di rappresentanza e organizzazione del sistema politico e dello Stato scelti, a suo tempo, dai Padri Costituenti. E’ una battaglia per la democrazia, rendiamocene conto, che va urgentemente combattuta dotandoci delle armi necessarie che passano necessariamente per l’organizzazione: adottando forme innovative in relazione al procedere dei tempi ma comunque fortemente collegate alla nostra storia e alla nostra – non perduta – identità di rappresentanza politica.

venerdì 25 settembre 2015

Policy Network - After New Labour: The Corbyn surge and the future of social democracy in Britain

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Trattato di libero scambio: in gioco non c'è solo l'economia

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Per crescere servono investimenti pubblici, ma di qualità

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Il Dieselgate è anche una questione di regole

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L’incredibile trucco di Volkswagen

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Europe’s Bad Example In The Refugee Crisis

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L'écosocialisme ou le troisième temps d'une idée

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Entretien avec Denis MacShane, ancien ministre des Affaires européennes travailliste - Où en est le Labour après l’élection de Jeremy Corbyn ? - Séminaires - Événements - Fondation Jean-Jaurès

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Séisme politique au Labour britannique - Notes - Publications - Fondation Jean-Jaurès

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giovedì 24 settembre 2015

Felice Besostri: Un compromesso al Senato pieno di ombre

L’inventiva italica non ha fine, lo dimostra il compromesso raggiunto nel PD sull’art. 2 del ddl cost. Boschi. Tra i tanti modelli di Senato dalla Camera dei lord di nomina regia, ma su proposta del Premier, al Bundesrat tedesco espressione dei governi dei Länder, dalla effettiva rappresentanza delle istituzioni della Francia al Senato elettivo in modo misto della Spagna, abbiamo inventato un Senato spurio che non rappresenta le Regioni, ma i consiglieri regionali: non si potrà quindi risparmiare abolendo la Conferenza STATO REGIONI. I futuri consiglieri regionali sceglieranno anche i sindaci, tanto per non sbagliare alcuni consiglieri regionali si son già fatti nominare sindaci di comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti. Cosa ci stiano a fare 5 senatori di nomina presidenziale di nuova nomina, più transitoriamente i senatori a vita in carica è un mistero, cui fa pendant l’altro mistero per cui non possono essere nominati senatori i sindaci metropolitani, che abbiano la cattiva idea di fasi eleggere direttamente dai cittadini. Mattarella per diventare senatore a vita, si dimetterà prima della promulgazione della Costituzione Renzi-Boschi-Finocchiaro? Così non dovrà firmare la Costituzione che demolisce quella De Nicola-Terracini-De Gasperi, cui hanno contribuito Basso, Calamandrei, Nenni, Mortati, Paratore, Saragat e Togliatti per nominarne soltanto alcuni. Per dare un’idea a volte basta il cognome. La Finocchiaro che guarda lontano si è ben guardata dal completare l’accordo modificando le norme transitorie dell’art. 39 in particolare i primi cinque commi. Volete scommettere, che la legge per l’elezione semidiretta dei senatori, sarà fatta da un senato composto in base alle norme transitorie, quindi dai consiglieri regionali senza ALCUN INTERVENTO DEI CITTADINI. Il compromesso al ribasso aveva un senso se la legge veniva fatta da questo Senato. Non è certo che sarà così: infinocchiati e contenti. Milano 24 settembre 2015 Felice Besostri

A message for Mr Renzi | Yanis Varoufakis

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Force et limites de la gauche de la gauche - Telos

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Socialist Economic Bulletin: Crisis hasn’t gone away. Corbynomics will be increasingly necessary

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Socialist Economic Bulletin: The debate on 'deficit spending': The framework for Corbynomics

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Grecia, perchè Syriza ha vinto di nuovo / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Colosseo: lavoro pubblico e diritti essenziali / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Grecia, interrogativi dopo il voto / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Grecia, la breccia rimane aperta / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Con Tsipras, la Grecia sceglie l’Europa - Limes

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Policy Network - Podemos: can they really?

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La rivincita di Tsipras e la sfida per cambiare l’Europa - micromega-online - micromega

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Volkswagen, la caduta degli dei - micromega-online - micromega

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Behind the Five Star Movement | Jacobin

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L’Unione europea resta divisa sulle quote dei migranti - Internazionale

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Da 2,6 a 2,2 si chiama austerità: sono i numeri bellezza | Gustavo Piga

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I commenti gratuiti e autolesionisti di Renzi su Corbyn lasciano perplessa la stampa britannica | Gad Lerner

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Fondazione Critica Liberale - Italicum e sistemi elettorali: una correzione e qualche risposta.

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Nominati per sempre, il Senato secondo Matteo - Eddyburg.it

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I non detti del premierato assoluto - Eddyburg.it

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Luciano Gallino:«Fine della democrazia? Iniziò con Thatcher. E continua con Renzi» - Eddyburg.it

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Si ammali chi può - Eddyburg.it

Si ammali chi può - Eddyburg.it

Franco Astengo: Governo

GOVERNO di Franco Astengo Alcuni fatti avvenuti in questo periodo in Europa a livello di sistemi politici nazionali (Grecia, Italia, Gran Bretagna) pongono nuovamente la sinistra, o almeno quei raggruppamenti che si autodefiniscono collocandosi da quella parte dello schieramento, di fronte al tema di fondo del Governo. Un tema che non può essere affrontato semplicemente sul piano del pragmatismo esecutivo ma che ha bisogno di essere analizzato sul piano teorico, cercando di capire come l’argomento possa collocarsi in una modernità contraddistinta dall’evolversi (in senso del vaporizzarsi) del ruolo dei partiti con la sparizione e/o il ridimensionamento secco di quelli a integrazione di massa, il graduale processo di cessione di sovranità dello Stato /Nazione e contemporaneamente le difficoltà evidenti di una visione “mondialista” e delle entità sovranazionali create appunto per fronteggiare questo inedito stato di cose (ne parla Magatti sul Corriere della Sera in un intervento che però è poco più della “summa” di ciò che sta accadendo nell’attualità”). Il ripresentarsi dei pericoli di guerra a livello globale e la questione (qui denominata sbrigativamente per ragioni di economia del discorso) dei “migranti” hanno fatto saltare il banco degli “status quo” artificialmente costruiti, come ad esempio quello dell’Unione Europea. Si pone l’interrogativo della dimensione stessa del potere di governo tra “Stato /Nazione”, esigenze globali, entità sovranazionali: un equilibrio difficile da trovare, al riguardo del quale però (il riferimento è sempre alla Grecia, all’Italia, in potenza alla Gran Bretagna e nel prossimo futuro forse anche per la Spagna) la dimensione dello “Stato /Nazione” sembra essere ancora quella prevalente con gli organismi già definiti come sovranazionali (che dispongono di governance non legittimata e non di governo vero e proprio) intesi semplicemente come luoghi di compensazione e di trattativa e non di effettiva decisionalità. Il primo punto da trattare è il seguente:se la dimensione del governo rimane quella di stampo liberaldemocratico allora chi si autodefinisce di sinistra deve prima di tutto decidere se la divisione dei poteri va mantenuta, come prevedono le Costituzioni in generale, oppure soppressa, raccorciata, sovrapposta. Nel “caso italiano” assunto come esempio fortemente indicativo, la scelta sembra essere proprio questa: quella di una riduzione degli spazi del legislativo (abolizioni varie), molta insofferenza ai controlli, esaltazione esagerata del ruolo dell’esecutivo reso disponibile a una forte personalizzazione: è in questi elementi che il governo Renzi si incammina sulla strada del fascismo, avendo già passato il fosso del Regime, attraverso la costruzione di un Partito della Nazione contrastato soltanto da alcune debolezze populiste (molto vaghe sul piano teorico e inconsistenti sul piano politico dell’affermazione di una visione del futuro). Un Partito della Nazione centralizzato e dotato di legittimazioni artificiali al quale non fa bene l’adeguamento di quella parte pur proveniente da una certa storia . In questo modo si finisce con l’abdicare a seguito del totale smarrimento d’identità del proprio gruppo dirigente, ormai lontano da qualsivoglia istanza di radicamento sociale e di rappresentatività delle contraddizioni operanti davvero nella società. La riduzione del legislativo a mero orpello, in una sola Camera dotata di ratifica dei poteri del Governo e composta in gran parte di nominati attraverso l’elargizione di un enorme premio di maggioranza (che potrebbe essere costituito da una percentuale misurata anche oltre il raddoppio dei voti effettivamente presi) e l’utilizzo delle armi dei decreti e delle leggi – delega rappresentano la questione vera intorno alla quale la autodefinita sinistra deve decidere come indirizzare la propria presenza e la propria funzione politica. Torna alla mente il Kant della Metafisica dei Costumi: è dalle teorizzazioni contenute in quel testo tra legge e decreto, norma generale e norma particolare che si collocano gli elementi atti a ridefinire l’ambito dell’azione di governo rispetto alla funzione legislativa. E’ su questo punto che si è giocato nella vicenda interna al PD al riguardo delle riforme costituzionali (con chi si è adeguato richiamando la logica perdente della “riduzione del danno”), mentre in Grecia una pericolosa visione populista ha portato a utilizzare l’esito del referendum di luglio per scopi esattamente opposti a quelli espressi dal voto, provocando un effetto di trascinamento nelle elezioni di settembre . Elezioni di settembre il cui obiettivo comune a Syriza e a Nea Demokratia era proprio quello di marginalizzare il Parlamento e di renderlo ossequiente, quindi inefficace, rispetto al cuore della iniziativa politica del Governo e cioè l’adozione e la concretizzazione delle misure imposte dalla Troika. Se s’intende rappresentare una sinistra di governo va dunque sciolto il nodo di fondo della qualità della democrazia all’interno della quale s’intende operare tra ruolo strategico del governo e centralità del legislativo, quindi della funzione strategica derivante dalla rappresentanza popolare. Se questa scelta non viene compiuta il rischio (già concretamente in atto) è quello di scivolare rapidamente verso forme autoritarie di vera e propria riduzione degli spazi democratici. Un fatto che fra l’altro sta avvenendo, in alcuni casi come in Italia, ben al di fuori da un quadro di legittimazione elettorale: neppure nel 1924 ciò avvenne anche se non vediamo le Camere del Lavoro bruciate e i deputati assaltati. Ma attenzione :Il clima di vero e proprio soffocamento delle istanze contrarie, la salvaguardia misera delle proprie posizioni personali di piccolo privilegio, il pigro conformismo sul quale si adagiano i mezzi di comunicazione e di scambio d’informazioni di massa, l’incapacità delle forze politiche a indicare obiettivi concreti realmente esistenti nel contesto socio – politico fanno pensare al peggio del peggio non solo in Italia.

martedì 22 settembre 2015

Thomas Piketty Responds To Surprise Greek Election Result

Thomas Piketty Responds To Surprise Greek Election Result

Can We Stop The Fragmentation Of Europe?

Can We Stop The Fragmentation Of Europe?

The European Refugee Crisis Explained In Six Minutes

The European Refugee Crisis Explained In Six Minutes

Tsipras ha vinto le elezioni, ma ha perso con l'Europa

Tsipras ha vinto le elezioni, ma ha perso con l'Europa

Franco Astengo: La logica dello sfruttamento

LA LOGICA DELLO SFRUTTAMENTO di Franco Astengo “.. Forse che il lavoro salariato, il lavoro del proletario, gli procura proprietà? In nessun modo. Quel lavoro salariato non genera che capitale, ossia la proprietà che sfrutta il lavoro salariato, e che può accrescersi solo a patto di generare nuovo lavoro salariato, da sfruttare di nuovo..” Karl Marx – Frederich Engels “Manifesto del Partito Comunista” edizioni Lotta Comunista Milano, 1998 (pag.45) Una citazione dal “classico dei classici” per non smarrire mai il senso dell’eterna rincorsa allo sfruttamento dell’uomo e delle risorse che il capitalismo rappresenta, in ogni fase della sua evoluzione storica da più di quattro secoli. Perché è proprio “ il senso delle cose”, la direzione di marcia della Storia, che sembra essere smarrita nella rappresentazione delle grandi mistificazioni che agitano questa società allo scopo di perpetuare la concretezza della ferocia del dominio del profitto sulla realtà umana. E’ la logica dello sfruttamento che domina, anche guardando all’attualità più stretta, ai drammi dell’oggi. Il grande inganno attuato dalla perfetta industria tedesca, quella della “macchina del popolo” di hitleriana memoria (anche in quel caso prevalse la teoria della menzogna); le colonne di migranti fatti risalire per l’Europa, fintamente fatti fuggire da una guerra che nessuno intende combattere, per ricreare nelle condizioni economiche in cui versa il vecchio continente le condizioni dell’intensità dello sfruttamento sui singoli per recuperare ancor più margini nell’arricchimento dei proprietari (a tutti i livelli, basterà poco considerarsi tali: se essi saranno il nuovo proletariato chi già si trova sul posto rappresenterà la nuova borghesia); interi popoli affamati dall’illusione sparsa a piene mani di un’integrazione economica e politica di cui nessuno dei “padroni del vapore” ha intenzione di attuare se non nel senso del proprio arricchimento, nella competizione fra chi con il denaro intende produrre altro denaro. E c’è chi, illusione nell’illusione, pretende di “governare” questi fenomeni ponendosi in capo i pennacchi del “leader” per contribuire alla truffa collettiva. Solo esempi, tra i tanti che si potrebbero sviluppare. La velocità del messaggio che questa società esalta come fattore-principe della “modernità” ottunde qualsiasi idea di “diversità”, riconduce il tutto all’obiettivo del consumismo individualistico: il nuovo Moloch di fronte al quale tutto si sacrifica, smarrendo completamente anche la sola ipotesi della trasformazione, della lotta per abolire “lo stato di cose presenti”. Richiami antichi e inutili? Così appare nell’ auto-privazione di soggetti politici capaci di essere portatori di idee e di azioni che contrastino questa condizione ormai apparentemente inespugnabile. Anche questa però è una scelta apparente, dovuta all’arrendersi all’immaginario costruito dai nostri avversari e dalle lusinghe del potere. Forse basterebbe guardare in faccia la realtà per vederla nella tragicità della sua essenza: quella sempre rinnovata, di giorno in giorno, che si è cercato di richiamare nella citazione che compare all’inizio di questo testo: “generare nuovo lavoro salariato, da sfruttare di nuovo”.

domenica 20 settembre 2015

Marc Lazar: Quale sinistra nel voto greco

QUALE SINISTRA NEL VOTO GRECO L’ARRIVO di Corbyn alla testa del Labour, l’esito delle elezioni in Grecia, le speranze di Podemos per il voto di fine anno in Spagna e le iniziative degli oppositori a Renzi rilanciano il dibattito sulla sinistra della sinistra, detta anche radicale. MARCLAZAR, La Repubblica, 20 settembre 2015 COSÌ come meritano di essere discusse le analisi, molto diffuse, che prevedono una sua irresistibile ascesa. La storia della sinistra europea è segnata da ricorrenti accuse di tradimento contro i partiti riformisti: si ricorderanno ad esempio quelle degli anni Sessanta e Settanta. Di fatto però, oggi come ieri, la sinistra radicale, seppure unita nella critica ai riformisti, appare profondamente divisa, tanto da costituire una galassia eterogenea di diverse sensibilità, ove si distinguono due grandi gruppi. Il primo, tradizionale, fa capo ai riferimenti fondamentali della sinistra (una politica statalista, il rilancio di un’ampia redistribuzione sociale, tassazione dei più abbienti ecc.) venata spesso di inclinazioni ecologiche. Questa sinistra, che presenta infinite varianti da un Paese all’altro, è bene incarnata da Corbyn. Esiste peraltro come minoranza anche nel Pd, così come in tutti i partiti socialisti e social-democratici; ed è presente in maniera autonoma in Germania con Die Linke, in Francia col Front de gauche e in Grecia con Unità popolare (ala scissionista di Syriza). L’altra componente è più «movimentista». Ne fa parte Podemos, che rivendica una democrazia partecipativa, e inizialmente rifiutava di posizionarsi nell’antagonismo destra — sinistra, cui preferiva la contrapposizione tra il popolo e la «casta». Queste due correnti erano più o meno presenti all’interno di Syriza prima della recente dissociazione; mentre in Italia coesistono, ad esempio, all’interno di Sel, Possibile di Civati e Coesione sociale di Landini. Diversi fattori contribuiscono alla dinamica di queste formazioni di sinistra: l’austerità, con le conseguenti sofferenze e disuguaglianze sociali, la crisi della rappresentanza politica in diversi Paesi, l’attuale stato fallimentare dell’Unione Europea, le paure suscitate dalla globalizzazione, l’aspirazione a un mondo migliore ecc. Tuttavia le debolezze di questa sinistra della sinistra sono legione. Globalmente, il suo peso elettorale rimane molto limitato, benché in alcuni Paesi vada a discapito della sinistra riformista. Non attrae le fasce popolari deluse dalla sinistra riformista, e spesso non riesce a canalizzare la protesta. In Francia ad esempio, il maggior partito operaio è oggi il Front National, che rappresenta la forza anti-sistema. La sinistra radicale esita tra uno splendido isolamento e la scelta di alleanze compromettenti. La sua credibilità in ordine alla soluzione dei problemi economici è praticamente nulla. Infine, e soprattutto, ha subito una clamorosa sconfitta in Grecia, dove Tsipras si è schiantato contro il muro della realtà, costretto ad accettare un accordo in totale contraddizione col suo programma del gennaio scorso. Questo smacco ha aperto un dibattito, dagli effetti devastanti, sulla questione cruciale della permanenza nell’Eurozona. Secondo alcuni, uscirne sarebbe un suicidio; per cui si tratta di lottare insieme ad altre forze per cambiarne l’orientamento. Per altre, a questo punto la rinuncia alla moneta unica potrebbe essere presa in considerazione, o è addirittura indispensabile, come proclama Stefano Fassina. In Grecia la sinistra radicale è divisa tra chi continua a sostenere Tsipras e chi si schiera coi suoi oppositori, e in primo luogo con Yanis Varoufakis. Benché profondamente minata da questa frattura, la sinistra radicale continua ad insistere sulla necessità di rimanere fedeli ai valori della sinistra. Il suo argomentario, che incontra una larga eco anche molto al di là dei suoi ranghi, rivela un dilemma classico della storia della sinistra europea: quello del suo rapporto tormentato col potere. La partecipazione alle responsabilità di governo, con la conseguente necessità di scegliere, è considerata troppo rischiosa, se non addirittura sporca e perversa. Meglio allora rimanere nella purezza dell’opposizione: un’antica tentazione che sembra tornata d’attualità anche in Italia. Peraltro, in questo panorama la sinistra radicale italiana appare iper—frammentata, con un unico collante: quello delle costanti critiche contro Matteo Renzi e il suo governo. Per il resto, è attraversata da profondi contrasti, sia sulle proposte che per quanto riguarda la strategia e le forme organizzative, mentre diversi responsabili si contendono la leadership. Inoltre, la speranza di creare uno spazio elettorale alla sinistra del Pd si scontra con lo scoglio del Movimento 5Stelle. Eppure il presidente del Consiglio non dovrebbe cantar vittoria troppo in fretta. Oggi più che mai, dovrà innanzitutto saper convincere, come ogni riformista, della giustezza e pertinenza delle sue scelte, segnatamente in campo economico e sociale. (Traduzione di Elisabetta Horvat) ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Tomaso Montanari: I veri nemici della cultura

CRONACA I VERI NEMICI DELLA CULTURA NASCOSTI DIETRO QUEL DECRETO TOMASO MONTANARI La repubblica, 20 settembre 2015 DI FRONTE all’enorme spirale di polemiche innescata da una breve chiusura del Colosseo è urgente porsi alcune domande. Perché si ritiene inaccettabile che un monumento chiuda a causa di un’assemblea sindacale (regolare e regolarmente annunciata) e si trova normale che la stessa cosa accada per una cena privata di milionari (si rammenti il caso di Ponte Vecchio, chiuso dall’allora sindaco Renzi per un’intera notte), o per una manifestazione commerciale (la sala di lettura della Nazionale di Firenze chiuse per una sfilata di moda nel gennaio 2014)? I diritti del mercato ci appaiono evidentemente più importanti dei diritti dei lavoratori. Ma in Europa non è così. L’anno scorso la Tour Eiffel chiuse per ben tre giorni, e la National Gallery di Londra è aperta a singhiozzo da mesi per una dura lotta sindacale: nessuno ha gridato che la Francia o l’Inghilterra sono ostaggio dei sindacati. Il ministro Dario Franceschini ha detto che mentre i lavoratori erano in assemblea egli era impegnato al ministero dell’Economia proprio per riuscire a sbloccare il pagamento dei loro straordinari. E uno si chiede: ma l’Italia è ostaggio di coloro che, guadagnando circa 1000 euro al mese, chiedono di non aspettare mesi o anni per la retribuzione degli straordinari (che permettono le aperture domenicali e notturne), o è ostaggio della burocrazia che ha fatto sì che Franceschini non sia riuscito a risolvere il problema in un anno e mezzo di governo? E perché il decreto d’urgenza adottato venerdì non ha riguardato il pagamento dei lavoratori, ma invece il regime degli scioperi? Un noto documento programmatico della banca d’affari americana JP Morgan (giugno 2013) additava tra i problemi «dei sistemi politici della periferia meridionale dell’Europa» il fatto che «le Costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste »: bisognava dunque rimuovere, tra l’altro, le «tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori » e «la licenza di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo». Ebbene, crediamo davvero che sia questa la linea capace di far ripartire il Paese? Non c’è alcun dubbio sul fatto che anche i sindacati abbiano le loro responsabilità nel pessimo funzionamento del ministero per i Beni culturali. Ma è davvero caricaturale dire che in Italia il diritto alla cultura sia negato per colpa dei sindacati. Le biblioteche e gli archivi sono in punto di morte a causa della mancanza di fondi ordinari e di personale, d’estate i grandi musei chiudono perché non c’è l’aria condizionata, nel centro di Napoli duecento chiese storiche sono chiuse dal 1980, due giorni fa è caduto per incuria il tetto della mirabile chiesa di San Francesco a Pisa, dov’era sepolto il Conte Ugolino... E si potrebbe continuare per pagine e pagine. Questo immane sfascio non è colpa dei sindacati: ma dei governi degli ultimi trent’anni, nessuno escluso (neanche il presente, che ha appena tagliato di un terzo il personale del Mibact, già alla canna del gas). Se davvero vogliamo che la cultura (e non solo il turismo più blockbuster) diventi un servizio essenziale, come vorrebbe la Costituzione, allora non c’è che una strada: investire, in termini di capitali finanziari e umani. Quando gli italiani potranno davvero entrare nelle loro chiese, nei loro musei e nelle loro biblioteche (magari gratuitamente, o pagando secondo il reddito), e quando chi ci lavora avrà una retribuzione equa e puntuale, allora avremo costruito un servizio pubblico essenziale. Un traguardo che pare molto lontano, impantanati come siamo in questo maledetto storytelling, che invece di cambiare la realtà, preferisce manipolare l’immaginario collettivo. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

sabato 19 settembre 2015

Livio Ghersi: Dopo 70 anni

Dopo 70 anni «Questa riforma è attesa da 70 anni!». Posto che siamo nell'anno 2015, se ne deduce che nel 1945 i nostri nonni ed i nostri genitori avessero una questione fondamentale che li travagliava: riuscire a trovare un assetto istituzionale che li salvasse dalla trappola del bicameralismo paritario. Certo, c'erano anche problemi minori: i guasti di una dittatura ventennale, una guerra rovinosamente persa, centinaia di migliaia di caduti e di dispersi, un Paese economicamente in ginocchio ed in gran parte da ricostruire. Purtroppo, un'Assemblea Costituente non all'altezza dei tempi, nella quale sedevano De Gasperi e Togliatti, Nenni e Saragat, Croce ed Einaudi, Sforza e Calamandrei, tradì le attese popolari e approvò una Costituzione in cui il Senato partecipava al procedimento legislativo, con le medesime attribuzioni e competenze della Camera dei Deputati. Oggi il livello della classe politica che siede in Parlamento si è finalmente elevato: abbiamo Boschi, Calderoli e Finocchiaro. Soprattutto c'è lui, Renzi, il Presidente del Consiglio che realizza quanto gli Italiani veramente volevano quando elessero l'Assemblea Costituente, il 2 giugno del 1946. Questa ricostruzione creativa della Storia patria dovrebbe essere prontamente segnalata dal Ministro competente alle autorità scolastiche perché se ne tenga conto nella didattica della buona scuola. Palermo, 17 settembre 2015 Livio Ghersi

giovedì 17 settembre 2015

Socialist Economic Bulletin: The need to clarify the left on budget deficits - confusions of so called 'Keynesianism'

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La Grecia al voto / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Euro, tutti i vantaggi della Germania / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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La rivista il Mulino: Quel caro, vecchio Labour

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Labour’s Dead Center - The New York Times

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Don’t be fooled, dismantling the rights of workers is not good for you, or for the economy | New Economics Foundation

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“These things are not dreams.” Jeremy Corbyn’s full speech to the TUC | LabourList

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Sottrarre la democrazia al controllo dei creditori | Keynes blog

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The Electable Jeremy Corbyn | Jacobin

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L’autunno della sinistra - Il Ponte

L’autunno della sinistra - Il Ponte

Primavera socialista labour - Il Ponte

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Fabian Society » Jeremy Corbyn’s victory: the Fabian Society responds

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Fabian Society » A link on the brink? Labour, Jeremy Corbyn and the Trade Unions

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Europa: il ritorno delle frontiere - Eddyburg.it

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Il leader dei Labour più a sinistra della storia - Eddyburg.it

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L’aporia del debito pubblico: Keynesiani vs Classici | Economia e Politica

L’aporia del debito pubblico: Keynesiani vs Classici | Economia e Politica

A new Labour leader – thoughts from the progressive movement? | Compass

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What Does Jeremy Corbyn's Election As Labour Leader Mean?

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Franco Astengo: Senato, la vera posta in palio

SENATO: LA VERA POSTA IN PALIO di Franco Astengo E’ molto probabile che il confronto in atto al Senato della Repubblica attorno ai nodi delle caratteristiche che dovrà avere questo organismo nel prossimo futuro dell’ordinamento istituzionale finirà con un grande assemblaggio politicista. Un esito che sembra già compreso nella corsa all’Aula dove il dibattito comincerà fin da questa mattina. La “deformazione” (non riforma, copyright di Felice Besostri) proposta dal governo finirà con il passare perché l’imperativo riguardante la costruzione del Partito (Unico) della Nazione è più forte dello stesso senso di conservazione del posto che pure anima i senatori uscenti. Nascerà così un vero e proprio “monstrum” dal punto di vista dell’architettura istituzionale e sarà “rovesciata” la stessa Costituzione Repubblicana: ma non importa, conta soltanto andare avanti fornendo al popolo l’idea del “nuovismo” trionfante. Senza alcun riguardo per la realtà. SI tratta di una delle tante panzane che si raccontano in giro, in particolare sul piano economico e che adesso costituiscono elemento di “narrazione” anche su quello politico. Uno degli argomenti che viene usato per minimizzare lo scontro in atto è quello della scarsa se non nulla conoscenza che la gran parte dell’opinione pubblica ha della materia e del fatto che il tutto si riduca, alla fine, a una questione di cavilli giuridici attorno all’emendabilità o meno di un articolo di legge che sta compiendo l’iter previsto dall’articolo 138 della Costituzione. Emerge da questa argomentazione la volontà di nascondere il tema principale di questo dibattito e di occultarne il senso. A questa operazione d’intorbidamento delle acque partecipano anche settori di quella che dovrebbe definirsi opposizione, all’interno dei quali si sta verificando la campagna acquisti dei fautori del trasformismo. Eppure la posta in palio sarebbe fondamentale per l’avvenire dell’identità costituzionale della Repubblica. Non è vero che le grandi masse, in passato, non siano state coinvolte – nel bene e nel male – su questioni di questo carattere: dall’opposizione alla legge – truffa nel 1953; all’affermazione del sistema maggioritario avvenuto attraverso referendum sostenuto con mistificanti argomentazioni all’inizio degli anni’90 partecipazione e presenza dal basso non sono mancate. Manca dunque la volontà politica per condurre fino in fondo contrassegnato dal rilievo politico che merita: d’altro canto la politica “praticata” sembra sempre di più nascosta dalla politica “propagandata”. La questione, in realtà, può essere così riassunta (molti l’hanno già inquadrata al meglio ma mai come in questo caso repetita juvant): l’abolizione dell’elettività del Senato è strettamente legata a una riduzione complessiva nel ruolo delle assemblee elettive di primo e secondo grado. Sulla questione delle spese, che rappresenta il grande alibi per questo assalto alla diligenza della democrazia si può ben affermare che è stato il marinaio a rovinare il porto: ma non si tratta di una buona ragione per affondare tutto quanto. Il Senato si allineerebbe così sotto la scure di questa gratuita furia iconoclasta con le Province, le Comunità Montane (che costavano poco ed erano molto utili) le Circoscrizioni nelle città di medie dimensioni. Mentre non si toccano le Regioni che rappresentano il vero bubbone della spesa pubblica crescita a dismisura attraverso la regionalizzazione di sanità e trasporti : due fonti di infinito clientelismo. Non si toccano le Regioni vera sede di costruzione di un ceto politico di cattivo affare, com’ avvenuto almeno a partire dall’elezione diretta dei Presidenti in poi. Lo dimostrano le inchieste giudiziarie già concluse e in corso. Senato e Province si trasformano così in sedi di una sorta di“partita di giro” del ceto politico. Non solo vedremo all’opera i cumulatori di cariche ma anche la riproduzione di maggioranze “allargate” prive del tutto di rappresentanza politica. Soprattutto però il tema dell’abolizione dell’elettività del Senato e la composizione della sua maggioranza in linea con quella delle Regioni è legato a quello della nuova legge elettorale per la Camera dei Deputati, che rimarrebbe la sola istituzione abilitata a concedere la fiducia al Governo. Fiducia che, in questo caso, assomiglierebbe semplicemente a una pura ratifica, considerata l’enormità del premio di maggioranza concesso al partito vincente al ballottaggio e alla composizione del consesso che avverrebbe, per una quota parte molto rilevante, attraverso una sostanziale “nomina” da parte dei vari capi cordata. Il dato più significativo che emerge in questo quadro è rappresentato dalla prospettiva che gli eletti di una sola lista potrebbero avere in mano la fiducia al Governo, l’elezione del Presidente della Repubblica, l’elezione dei giudici della Corte Costituzionale, eventuali ulteriori modifiche costituzionali. E’ in questo, e non tanto e non solo nel premio di maggioranza e nei “nominati”, che la legge elettorale (e il Senato dei nominati) fa apparire la prospettiva istituzionale del Paese facilmente assimilabile a quella aperta dalla legge Acerbo nel 1924. In questo modo possono determinarsi le condizioni, prima di tutto, della formazione di un “Partito della Nazione” a vocazione non maggioritaria ma totalizzante e la conseguente solidificazione di un Regime che già oggi vediamo all’opera, specialmente nell’esercitare forme molto antipatiche d’inganno propagandistico e nella negazione di principi fondamentali di democrazia come quello della rappresentanza politica e dell’organizzazione dei corpi intermedi.

mercoledì 16 settembre 2015

Unioni civili, Europa chiama, Italia non pervenuta - Caratteri Liberi

Unioni civili, Europa chiama, Italia non pervenuta - Caratteri Liberi

Sveglia a sinistra: “Il nostro piano per rompere con questa Europa” | cambiailmondo

Sveglia a sinistra: “Il nostro piano per rompere con questa Europa” | cambiailmondo

“Il Presidente non si arrende, merda”. Né Allende né i suoi uomini si arresero l’11 settembre 1973 ← Brogi.info

“Il Presidente non si arrende, merda”. Né Allende né i suoi uomini si arresero l’11 settembre 1973 ← Brogi.info

The Refugee Crisis, Immanuel Kant And Germany’s Moral Leadership

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La disuguaglianza fa male alla crescita: l’analisi dell’OCSE - Menabò di Etica ed Economia

La disuguaglianza fa male alla crescita: l’analisi dell’OCSE - Menabò di Etica ed Economia

LE NOVITÀ DI PISAPIA: UNA GRANDE EREDITÀ PER CHI VUOL CONTINUARE | Alberto Negri | ArcipelagoMilano

LE NOVITÀ DI PISAPIA: UNA GRANDE EREDITÀ PER CHI VUOL CONTINUARE | Alberto Negri | ArcipelagoMilano

2016. QUEL CLIMA DI PERPLESSITÀ CHE SI PERCEPISCE A MILANO | Stefano Rolando | ArcipelagoMilano

2016. QUEL CLIMA DI PERPLESSITÀ CHE SI PERCEPISCE A MILANO | Stefano Rolando | ArcipelagoMilano

martedì 15 settembre 2015

Lettre ouverte à la gauche et aux écologistes | PS - Parti socialiste

Lettre ouverte à la gauche et aux écologistes | PS - Parti socialiste

C'era una volta il divieto di demansionamento

C'era una volta il divieto di demansionamento

Perché crescono le assunzioni

Perché crescono le assunzioni

Open Letter On Europe To Jeremy Corbyn

Open Letter On Europe To Jeremy Corbyn

Fondazione Critica Liberale - L’agenda all’incontrario di Renzi (n.234)

Fondazione Critica Liberale - L’agenda all’incontrario di Renzi (n.234)

Jeremy Corbyn, Labour, and the Challenge for British Politics - The New Yorker

Jeremy Corbyn, Labour, and the Challenge for British Politics - The New Yorker

lunedì 14 settembre 2015

Jeremy Corbyn: COSÌ VOGLIO CAMBIARE GLI INGLESI

COSÌ VOGLIO CAMBIARE GLI INGLESI L’ELEZIONE della leadership laburista è stata una straordinaria prova di democrazia popolare e di partecipazione pubblica dal basso, che ha dimostrato l’infondatezza dell’opinione prevalente al riguardo della politica. Abbiamo attirato il sostegno di centinaia di migliaia di persone di tutte le età, di ogni ambiente sociale, in tutto il Paese, ben oltre i ranghi degli attivisti di lunga data e di chi fa campagna. Chi può seriamente affermare, adesso, che i giovani si disinteressano di politica o che non c’è un intenso desiderio di un nuovo tipo di politica? Più di ogni altra cosa, ha dimostrato che milioni di persone vogliono un’alternativa reale, e non che le cose proseguano come al solito, sia dentro sia fuori dal Partito laburista. La speranza di un cambiamento e di nuove grandi idee è tornata al centro della politica: porre fine all’austerità, affrontare e risolvere le disuguaglianze, lavorare per la pace e la giustizia sociale in patria e all’estero. Ecco i motivi per i quali oltre un secolo fa fu fondato il Labour. Questa elezione ha infuso nuovo vigore per il XXI secolo all’obiettivo che portò alla sua fondazione: un Partito laburista che dia voce al 99 per cento della popolazione. INUMERI del voto di sabato scorso costituiscono un mandato senza riserve per il cambiamento da parte di una democrazia che si rialza ed è già diventata un movimento sociale. Sono onorato dalla fiducia che mi è stata dimostrata dai membri del partito e dai sostenitori, e metterò a disposizione tutto me stesso per ripagare quella fiducia. Abbiamo combattuto e vinto sulla base di proposte politiche, non di personalità, senza abusi e senza astio. Volendo pienamente fugare ogni dubbio, la mia leadership sarà improntata alla coesione, farà affidamento su tutti i talenti — la metà del governo ombra laburista sarà formato da donne — e lavoreremo insieme a tutti i livelli del partito. Il nostro obiettivo è riportare nel cuore del Labour le centinaia di migliaia di persone che hanno preso parte alle primarie. Riusciremo a far tornare ancora una volta il Labour un movimento sociale. La leadership del partito si sforzerà di mettere al centro la democrazia: non sarà il leader a emettere editti dall’alto. Raccoglierò idee da tutti i livelli del partito e del movimento laburista, prendendo ispirazione da un partito allargato alle varie comunità e mettendo a frutto i talenti di tutti per dar vita a una linea politica capace di costruire un valido sostegno a favore del cambiamento. Noi siamo in grado di dar vita a un nuovo tipo di politica: più educata, più rispettosa, ma anche più coraggiosa. Possiamo cambiare le mentalità, possiamo cambiare la politica, possiamo migliorare le cose. Il messaggio più importante che la mia elezione offre a milioni di persone per mandare a casa i conservatori è che il partito adesso è incondizionatamente al loro fianco. Noi comprendiamo le aspirazioni e sappiamo che le nostre aspirazioni potranno realizzarsi soltanto tutte insieme. Tutti aspirano ad avere una casa a un prezzo accessibile, un posto di lavoro sicuro, standard di vita migliori, un sistema sanitario fidato e una pensione dignitosa. La mia generazione ha considerato scontate queste cose e così dovrebbero fare le generazioni future. I conservatori stanno introducendo una legge sulle organizzazioni sindacali che renderà più difficoltoso per i lavoratori ottenere un equo contratto di lavoro, combattere per un salario onesto e per un giusto equilibrio tra lavoro e vita privata. Le organizzazioni sindacali sono una forza che si adopera per il bene, una forza che si batte per una società più giusta. Unito, il Labour voterà contro questo attacco antidemocratico ai membri delle associazioni sindacali. Domani il governo presenterà le sue proposte per tagliare i crediti d’imposta, che lascerebbero migliaia di famiglie di operai in condizioni peggiori. I crediti d’imposta sono un’ancora di salvezza vitale per molte famiglie e il Labour si opporrà a questi tagli. È chiaro anche che il Primo ministro presto tornerà a chiederci di bombardare la Siria. Questo non aiuterà i rifugiati. Anzi, ne creerà in maggior numero. Lo Stato Islamico è assolutamente raccapricciante, e il regime del presidente Assad ha commesso delitti atroci. Ma noi dobbiamo opporci anche alle bombe saudite che cadono sullo Yemen e alla dittatura del Bahrain, armata da noi, che stermina il movimento democratico del paese. Il nostro ruolo è fare campagna per la pace e per il disarmo in tutto il mondo. Per i conservatori, il deficit altro non è che una scusa per rifilarci la vecchia agenda Tory di sempre: abbassare i salari, tagliare le tasse ai più ricchi, lasciare che i prezzi degli immobili aumentino fino a essere improponibili, svendere i nostri asset nazionali e attaccare le organizzazioni sindacali. Non ci sono scorciatoie per la prosperità, la si deve costruire investendo in infrastrutture moderne, nelle persone e nelle loro competenze. Bisogna dare sfogo a idee innovative, concretizzando nuove proposte per affrontare e risolvere il cambiamento climatico. E proteggere così il nostro ambiente e il nostro futuro. Il nostro compito è dimostrare che l’economia e la nostra società possano essere a beneficio di tutti. Insorgeremo contro le ingiustizie ogni volta che le incontreremo. E le combatteremo per un futuro più equo e più democratico, che soddisfi le esigenze di chiunque. La risposta umana della gente di tutta Europa nelle ultime settimane ha dimostrato l’intenso desiderio di un tipo diverso di politica e di società. I valori della compassione, della giustizia sociale, della solidarietà e dell’internazionalismo sono stati al centro della recente esplosione di democrazia in un Labour sempre più influente. Quei valori sono profondamente radicati nella cultura del popolo britannico. Il nostro obiettivo, adesso, è mettere a frutto quello spirito e chiedere ardentemente il cambiamento, in tutto il paese. Jeremy Corbyn © 2015, The Observer Traduzione di Anna Bissanti ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Jeremy Corbyn: Turning Point Or False Dawn For Europe's Left?

Jeremy Corbyn: Turning Point Or False Dawn For Europe's Left?

sabato 12 settembre 2015

Franco Astengo: Uno spunto di aggiornamento

UNO SPUNTO DI AGGIORNAMENTO NELL’ANALISI DELLA FASE POLITICA ITALIANA di Franco Astengo I l quadro politico internazionale appare, in questo momento, quanto mai delicato e complesso. Si profila una situazione di estrema instabilità che potrebbe sfociare anche in un esito di particolare drammaticità risultando quanto mai elevati i rischi dell’esplodere di un conflitto di vaste dimensioni. Il terreno di scontro rimane, prioritariamente (senza dimenticare l’Ucraina e il fronteggia mento fra truppe NATO e russe nel Mar Baltico) quello del Medio Oriente e dell’Africa del Nord: in particolare in Siria, dove l’improvvido comportamento dei governanti occidentali potrebbe portare all’esplosione di un confronto molto difficile da valutare nei suoi aspetti concreti e nei suoi possibili esiti. Intrecciato strettamente con il quadro di possibile scontro bellico tra le grandi potenze appare essere il tema dei rifugiati che sta impegnando i paesi europei in una complicata operazione di vero e proprio salvataggio, nel corso della quale si evidenzia ancora una volta l’estrema fragilità dell’Unione Europea, l’eventualità di una sua rottura e dell’emergere, in questo caso, di rivendicazioni di tipo nazionalista ai limiti del revanscismo e dell’apertura di prospettive di riduzione del quadro democratico in molti Paesi, in particolare in quelli provenienti dall’ex-patto di Varsavia. Si aggiunga a questo sommario excursus lo stato di vera e propria fibrillazione imperante sui mercati mondiali, a causa della crisi delle borse asiatiche, spinta in particolare dalla situazione cinese nella quale appare in atto un vero e proprio processo di ristrutturazione recessiva. In quest’ambito l’Italia conferma alcune proprie specificità negative apparendo come un Paese provinciale, la cui politica così come portata avanti dai maggiori soggetti sia di governo, sia d’opposizione appare del tutto priva di respiro strategico. Un Paese, l’Italia, nel quale è in corso un processo, innestatosi particolarmente con l’avvento del governo Renzi, di costruzione e consolidamento di un vero e proprio “regime”, mortificando quanto si era riuscito ad applicare, con grande fatica in oltre sessant’anni, del dettato della Costituzione Repubblicana. Lo scontro in atto posto proprio sul delicato terreno delle modifiche costituzionali rimane confinato a livello parlamentare. Un paese sfibrato vi assiste esprimendo una realtà di vera e propria sfiducia collettiva che si è tradotto in un aumento esponenziale della percentuale dei non votanti a ogni tornata elettorale: una sfiducia e una rassegnazione certamente non contrastate da un agire politico fondato sulle promesse di un giorno, sull’espressione di un populismo rampante che pare essersi moltiplicato dopo quanto avvenuto nella lunga fase della transizione seguita all’implosione del sistema dei partiti avvenuto all’inizio degli anni’90 del secolo scorso. Riduciamo comunque il nostro quadro d’analisi alla più stretta attualità. In questi giorni il centro del conflitto non è certo quello apparente dello scontro su: senato elettivo/senato nominato, ricordando che ormai da dieci anni italiane e italiani non sono posti in grado di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento e che questo sistema è stato condannato senza appello dalla Corte Costituzionale un anno e mezzo fa. La questione vera è quella della sopravvivenza di questo governo, della tenuta di quasi tutte le forze politiche (se così può essere ancora possibile appellarle, quando si tratta nel concreto di gruppi e cordate in lotta fra di loro per l’acquisizione di fette di potere). Su questo punto è necessario essere estremamente chiari. Valutati tutti gli elementi a disposizione credo valga la pena muoversi, anche dal basso della mobilitazione sociale, per la caduta del governo Renzi. Questo governo è pericoloso per la democrazia, verso la quale ha assunto caratteristiche di progetto per una sua effettiva riduzione di agibilità soprattutto rispetto alla sua capacità di esprimere effettiva rappresentanza politica. Questo governo è pericoloso per la democrazia perché sta esaltando, in termini di vero e proprio regime del resto già richiamati in precedenza, la già pericolosissima ascesa della personalizzazione della politica. Questo governo è pericoloso per la democrazia perché ha scelto la via del populismo e della facile propaganda, come nel caso delle fallaci promesse in materia di tassazione. Questo governo è pericoloso per la democrazia perché ha indotto, attraverso l’acquisizione della sindrome della sconfitta, un già debole quadro politico svilendolo nella ricerca del conformismo, destrutturando la residua realtà dei partiti e annullando la presenza dei corpi intermedi (che pure hanno enormi responsabilità). Considerazioni di questo tipo, sia pure schematicamente riassunte come in quest’occasione, dovrebbero stare alla base del ragionamento sulla costruzione di un nuovo soggetto politico di sinistra, d’opposizione e d’alternativa. Un nuovo soggetto “ a sinistra” può nascere soltanto dall’autonomia politica, partendo – appunto – dall’opposizione a tutti i livelli, compreso quello degli Enti Locali. Sul piano delle istituzioni, che appare essere quello più delicato nel momento attuale, un progetto di nuovo soggetto a sinistra deve necessariamente riferirsi alla Costituzione, prendendo però atto dello scempio che, nel corso di questi anni, è stato compiuto proprio in quella direzione. In particolare il riferimento alla Costituzione è necessario per far valere, di nuovo, l’idea già abbandonata della rappresentanza politica e del “Parlamento specchio del Paese”. Sullo sfondo rimangono le questioni economico – sociali e quelle dell’Europa e più in generale dei pericoli in atto di ripresa bellicista e di nascita di nuove dittature, già affrontati all’inizio di questo intervento: pericoli di estrema drammaticità cui fornire una riposta in tempi immediati. Nei grandi salotti della diplomazia e dell’economia internazionale si ritiene ormai, da molto tempo, la democrazia rappresentativa un orpello che ostacola i disegni di sfruttamento orchestrati da lor signori. Questi salotti dai cuscini ben imbottiti, di cui abbiamo avuto esempio proprio qualche giorno fa sulle rive del lago di Como, puntano a ricostruire veri e propri “eserciti di riserva” (magari mascherando l’operazione con un po’ di carità pelosa): “eserciti di riserva” che dovranno essere governati da nuove oligarchie. E’ questo il senso di marcia del grande capitale, che non esita neppure di fronte alla guerra. Un senso di marcia cui è perfettamente allineato il governo Renzi. Occorre prendere piena consapevolezza della gravità estrema del momento. Non bisogna farsi condizionare dai giochi di sopravvivenza del quadro politico esistente e avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome e agire di conseguenza, nella politica e nella vita quotidiana.

venerdì 11 settembre 2015

Livio Ghersi: Cosa significa la questione siriana

Cosa significa la questione siriana. Damasco è una città antica; anzi antichissima. Chi ama la Storia avverte il particolare fascino che promana da questa città; da millenni teatro di vicende umane. Quando gli Arabi divennero una potenza mondiale, alla fine del settimo secolo, Damasco fu scelta come capitale dai Califfi della dinastia degli Omayyadi e rimase capitale del Califfato fino all'anno 750. La fama ed il prestigio della città erano, tuttavia, precedenti all'avvento degli Omayyadi ed affondavano le loro radici letteralmente nella notte dei tempi. Quando il 18 agosto di quest'anno delle belve con fattezze umane hanno ucciso l'archeologo Khaled al-Asaad (1934-2015), per anni responsabile del sito archeologico di Palmira, molti organi di informazione hanno rievocato, tra l'altro, le vicende di Zenobia, regina di Palmira nel terzo secolo dopo Cristo, che tenne baldanzosamente testa all'Impero di Roma. Si potrebbe risalire molto indietro nel tempo rispetto alla nascita di Gesù Cristo, come provano le ricorrenti citazioni di Damasco e dei siriani nella Bibbia. Le cronache dei nostri giorni danno molto spazio alla Siria, soprattutto per due motivi: 1) la decisione della Cancelliera tedesca Angela Merkel di riconoscere una speciale accoglienza, quantitativamente significativa, in Germania ai profughi siriani; 2) la decisione del Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, di intensificare l'assistenza militare al governo siriano presieduto da Bashar al-Assad. Dal mio punto di vista, entrambe le iniziative vanno valutate positivamente. Partiamo dai profughi. Essi, con tutta evidenza, fuggono dall'ISIS, ossia dal sedicente Stato islamico dell'Iraq e della Siria. E' noto che la grande maggioranza della popolazione siriana è di fede islamica, secondo l'osservanza sunnita. L'ISIS vorrebbe rappresentare la quintessenza della purezza della fede secondo i costumi sunniti, ma il popolo sunnita preferisce abbandonare tutto ed affrontare le sofferenze dell'esilio, piuttosto che sottostare al potere degli estremisti che vorrebbero trarre legittimazione proprio dai valori religiosi. Questa contraddizione rivela ai più quanto coloro che hanno un minimo di conoscenza della religione e della storia dell'Islam avevano compreso da tempo: l'ISIS strumentalizza la religione per arrivare al potere, ma fornisce la peggiore interpretazione possibile dell'Islam. Un'interpretazione povera, rozza, violenta, essenzialmente antistorica nel suo odio contro la cultura, cioè contro ciò che è espressione della libera creatività umana. Basta avere contezza delle bellezze dell'architettura e dell'arte prodotte dalla civiltà islamica, dalla Spagna alla Sicilia, da Damasco ad Isfahan (nell'attuale Iran), dal Cairo al Marocco, per rendersi conto che le belve con fattezze umane che hanno ucciso il vecchio archeologo di Palmira non hanno titolo per ergersi a paladini dell'Islam: sanno soltanto distruggere quanto altri hanno abilmente edificato nei secoli. E' privo di senso il voler distruggere ogni testimonianza di civiltà pre-islamiche. La Storia non comincia con la fondazione dell'Islam; per primo ne era profondamente consapevole il Profeta Maometto, che accordò protezione alle altre, precedenti, religioni del Libro (Ebrei e Cristiani) e che accordò analoga protezione ai credenti nella antica religione di Zoroastro, in Persia. Noi italiani abbiamo il privilegio di leggere e studiare Dante Alighieri. Sappiamo quindi tributare il dovuto rispetto a personalità storiche islamiche come quelle di Saladino, (Salāh al-Dīn), Avicenna, (ibn Sīnā), Averroè (ibn Rushd); al riguardo si riprenda in mano il quarto canto dell' "Inferno". Oltre Dante, sappiamo che c'è tutto un mondo storico, caratterizzato da una ricca e profonda spiritualità: da al-Gazālī, che fu filosofo teologo e mistico, al fenomeno del sufismo, che si espresse in una varietà di scuole. Tanto la Siria quanto l'Iraq furono inventati, come Stati nazionali, da un accordo fra Regno Unito e Francia. Dopo la sconfitta dell'Impero Ottomano nella prima guerra mondiale, si trattava di decidere come spartire le zone d'influenza nel Medio Oriente, nei territori dell'ex Impero sottratti alla Turchia. Dall'intesa fra l'inglese Sykes ed il francese Picot, derivò che Siria e Libano ricadessero nella sfera d'influenza francese, mentre la Transgiordania (comprendente la Palestina e l'attuale Israele) e l'Iraq furono ricondotti alla sfera d'influenza del Regno Unito. Dopo la seconda guerra mondiale, conclusosi il tempo delle potenze coloniali, gli Arabi cercarono di essere protagonisti del proprio destino. L'Egitto e la Siria, pur non essendo territorialmente confinanti, per un periodo diedero vita ad un'unica entità statuale: la Repubblica Araba unita (RAU). Fallito quel disegno, tanto la Siria, quanto l'Iraq, finirono sotto il controllo di gruppi dirigenti formatisi nel partito Ba'th. Manifestazione tipica e peculiare del socialismo arabo. Hafiz al-Assad governò ininterrottamente la Siria dal 1971 al 2000. I suoi rapporti personali con Saddam Hussein, governante l'Iraq, furono pessimi, nonostante l'identica formazione ideologica. I due dittatori avevano, però, una circostanza che li accomunava. Saddam Hussein era espresso da una comunità sunnita in uno Stato, l'Iraq, la cui popolazione era nella stragrande maggioranza di osservanza sciita (la stessa fede che prevale in Iran). Assad faceva parte di una comunità di Alauiti, di osservanza sciita (ma, non coincidente con gli Sciiti duodecimani dell'Iran), in uno Stato, la Siria, la cui popolazione era nella stragrande maggioranza di osservanza sunnita. I dittatori erano, cioè, entrambi espressione di minoranze religiose. Di conseguenza, per intima convinzione, o giocoforza, furono aperti e tolleranti in materia religiosa. E' noto, ad esempio, che Tareq Aziz, il quale dal 1983 al 2003 ebbe un ruolo di primo piano nel regime irakeno, con particolare riferimento alla politica estera, fosse cristiano. Sunniti, Sciiti, Cristiani, Drusi, poterono convivere pacificamente in Stati (Siria ed Iraq) da questo punto di vista abbastanza laici. Furono invece combattuti i Curdi, non per motivazioni religiose, ma per la loro richiesta di indipendenza. I Curdi, com'è noto, non sono Arabi, ma sono una popolazione iranica. Bashar al-Assad è un dittatore per caso. Secondo logiche monarchiche, ha ereditato il potere paterno, ma il vero erede era suo fratello, a questo compito specificamente addestrato. Un imprevisto, ossia la prematura morte del fratello, gli ha dato un potere per il quale lui, medico, non era tagliato e che forse in cuor suo non voleva. Quando, nel 2011, il vento delle primavere arabe ha cominciato a spirare anche in Siria, si pensava che il regime personale degli Assad fosse arrivato al termine. Al di là delle richieste liberali agitate dai primi oppositori (libertà di manifestazione del pensiero e di stampa, libertà di associazione, libere elezioni, pluripartitismo, sistema rappresentativo, autonomie locali), nelle quali immediatamente ci identifichiamo, fu subito evidente che la destabilizzazione della Siria apriva un grande gioco, in cui tanti Stati animati da storiche inimicizie si accingevano a giocare le loro carte. Si potrebbe elencarli uno per uno, ma non servirebbe a niente. Tra tanti interessi contrapposti, che finora si sono paralizzati fra loro, ha avuto buon gioco un movimento estremista e fondamentalista, capace di incutere timore per la sua radicalità e per l'uso spregiudicato della violenza. L'ISIS è il peggio che, nelle condizioni date, si potesse avere. Non ha forza propria, ma riempie un vuoto. Finora soltanto uno Stato islamico, l'Iran, lo ha combattuto davvero, anche se in modo non ufficiale. I volontari Curdi, per quanto armati dagli Stati Uniti d'America, possono resistere, ma non contrattaccare e vincere. A questo punto un esplicito, maggiore, coinvolgimento della Federazione Russa potrebbe fare la differenza. I Russi difendono i loro interessi: la Siria degli Assad è sempre stata un alleato sicuro, che, tra l'altro, ha assicurato una importante base navale alla flotta russa nel Mediterraneo. La Federazione Russa, inoltre, ha al proprio interno il problema di un terrorismo che trae alimento dal fondamentalismo islamico. Un nemico irrazionale ed irrimediabilmente estremista come l'ISIS non può essere battuto per vie diplomatiche e con metodi pacifici. C'è un limite al pacifismo, sempre che si voglia essere realisti. Per reazione al maggior dinamismo russo, è possibile che finalmente siano costretti all'azione molti importanti Stati che finora si sono trincerati dietro dichiarazioni ipocrite ed hanno messo insieme una coalizione che non combatte. La Turchia e l'Arabia Saudita devono rendersi conto che l'ISIS disonora l'Islam sunnita e, con i suoi comportamenti, si tira contro l'ostilità di settori sempre più vasti dell'opinione pubblica mondiale. Lo Stato di Israele, al quale non è parso vero vedere in ginocchio la Siria, già potenza egemone nel Libano ed ispiratrice delle milizie Hezbollah, deve pur riuscire a comprendere che, nel medio termine, potrà ricevere soltanto danni dalla prospettiva di un eventuale consolidamento di uno Stato radicale qual è l'ISIS. Gli Stati Uniti hanno compiuto la scelta giusta in occasione della stipula del trattato che consentirà all'Iran di produrre legittimamente energia nucleare per scopi civili, fermo restando il divieto di uso a fini militari. Si è trattato di una scelta realistica, di cui va reso merito all'Amministrazione Obama: così si è riequilibrata la politica degli USA, che tanti guasti ha prodotto nel Medio Oriente, è si è recuperato alla collaborazione internazionale uno Stato importante qual è l'Iran. Nelle questioni internazionali talvolta non è possibile seguire vie lineari, ma bisogna procedere per strade più tortuose, senza però perdere mai di vista dove si vuole andare. Nella vicenda siriana, l'ONU è fuori gioco, dal momento che si registra un disaccordo fra i cinque Membri permanenti del Consiglio di Sicurezza con diritto di veto (tra loro c'è la Russia). Bashar al-Assad è indiscutibilmente un dittatore; il suo regime è sospettato di aver usato missili con agenti chimici contro gli oppositori nell'agosto del 2013. Tuttavia, non è nemmeno possibile mettere a confronto il regime degli Assad, con l'ISIS. Centomila volte meglio Bashar al-Assad! Basti pensare a fenomeni che sono diretta conseguenza dell'avvento dell'ISIS: la persecuzione dei Cristiani d'Oriente e delle altre minoranze religiose; il riesplodere con la massima virulenza del conflitto fra Sunniti e Sciiti; la diffusione del fondamentalismo islamico in tutto il Nord Africa e nell'Africa subsahariana; la pressione migratoria sollecitata ed incoraggiata come arma di destabilizzazione dei Paesi Occidentali. Oggi c'è un nemico primario, che contraddice i più elementari valori di civiltà e minaccia tutta la comunità internazionale: va messo in condizioni di non più nuocere. Questo nemico è l'ISIS. L'attuale governo siriano certamente non è sufficiente a determinare il futuro della Siria, ma può ancora dare un serio contributo per battere definitivamente l'ISIS, affinché si apra una nuova pagina. Agli oppositori del 2011, non coinvolti nell'avventura dell'ISIS, vanno offerte fondamentalmente due garanzie: una completa amnistia per quelli che altrimenti il regime dovrebbe considerare come reati commessi per fini politici; la prospettiva di libere elezioni sotto il controllo di osservatori internazionali. Sono in errore quegli Stati che, come la Francia, perseguono come obiettivo immediato l'uscita di scena di Assad. Se ciò avvenisse, l'ISIS conquisterebbe la stessa Damasco e tutto diverrebbe poi più difficile. La Siria non può diventare da oggi a domani un posto tranquillo dove vivere dignitosamente. Ma dobbiamo fare in modo che cessi di essere un inferno. Palermo, 11 settembre 2015 Livio Ghersi

The Eurozone: Looking For The Sovereign » Social Europe

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The Migration Crisis In The EU: Between 9/11 And Climate Change

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Economists Vs. Economics

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Felice Besostri: LA COSTITUZIONE NON SERVE A FAR GIRARE LA CASTA

LA COSTITUZIONE NON SERVE A FAR GIRARE LA CASTA fbesostri | 11 settembre 2015 | Costituzione, Legge Elettorale, Prima pagina | Nessun commento «Scontro o accordo sul ddl di revisione costituzionale, sarebbe importante che fosse trasparente. La più vasta e, per molti costituzionalisti, devastante revisione della Costituzione non è stata preceduta da un dibattito pubblico all’altezza della posta in gioco. Certamente c’è stata una discussione sui giornali e tra gli addetti ai lavori ma per il grande pubblico, quello che teoricamente dovrebbe essere stato rappresentato nelle istituzioni, nulla. Quale rappresentanza è stata assicurata da un Parlamento nel quale alla Camera dei Deputati un quarto degli eletti lo è stato grazie ad un premio di maggioranza incostituzionale e tutti i parlamentari , proprio tutti, grazie alle liste bloccate, ugualmente incostituzionali, come deciso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 1/2014? A un anno e mezzo di distanza da quella storica sentenza, ottenuta grazie alla tenacia dell’avv. Aldo Bozzi, cui ero associato, il risultato politico è l’Italicum. Con cognizione di causa poso dire che è peggio del Porcellum, perché più ipocrita. Per esempio assegna un abnorme premio di maggioranza, grazie ad un ballottaggio, così da non avere una soglia minima da rispettare. Un ballottaggio dal quale sono esclusi più di 3 milioni di votanti della circoscrizione estero, ma con valdostani e trentino-sudtirolesi, che in compenso votano 2 volte, prima per i loro collegi uninominali e poi per decidere, come nel 2013, da chi debbono essere governati il resto degli italiani. I nominati capilista saranno la maggioranza della nuova Camera. In questo scorcio di legislatura, con la Costituzione del 1946 ancora vigente, abbiamo visto i guasti dell’insensibilità costituzionale degli organi di garanzia a cominciare dalla Presidenza della Repubblica. La presidenza della Camera ha ammesso voti di fiducia sulla legge elettorale come sulla legge Acerbo e sulla legge truffa ma anche della presidenza di turno del Senato, che ha ammesso un «emendamento canguro» per impedire successive votazioni dall’esito incerto. Possiamo immaginare, con la combinazione di Italicum e revisione costituzionale, l’assenza di contrappesi costituzionali: con un solo partito con primo ministro e maggioranza parlamentare che in pochi anni eleggerebbe il «suo» Presidente della Repubblica e nel corso di al massimo 2 legislature potrebbe aver nominato 2/3 della Corte Costituzionale. Quale contrappeso può essere un Senato di 100 membri a fronte di una camera di 630? L’elettività diretta o indiretta dei senatori ha assorbito tutto il dibattito. Se i senatori restassero 100 e non venissero aumentati con corrispondente auspicabile diminuzione dei deputati sarebbe indifferente che venissero eletti direttamente tutti con il proporzionale. La lista vincitrice alla Camera avrà almeno tra il 25 e il 30% dei senatori. Senatori a mezzo servizio e soggetti a frenetica turnazione. Le 19 regioni italiane e le 2 province autonome sono state elette in anni diversi e anche quando lo sono state nello stesso anno in mesi diversi. Se la riforma del Senato entrasse in vigore alla fine del 2016 i senatori eletti dalla Sicilia scadrebbero nell’ottobre 2017: in carica per meno di un anno. I senatori di Lazio-Lombardia-Molise (feb.2013), Friuli Venezia Giulia (apr.)- Val d’Aosta (mag.) Trentino Alto Adige (ott.) Basilicata (nov.) tutti a casa nel 2018, ma non tutti insieme: in quattro rate da febbraio a novembre. I senatori di Sardegna (feb. 2014), Abruzzo-Piemonte (mag.), Calabria-Emilia Romagna (nov.) in tre volte nel 2019. I senatori di Puglia, Campania, Toscana, Liguria, Veneto, Marche e Umbria, i più longevi, nel 2020. Sbagliato definirlo un albergo a ore ma un albergo a mesi sì. Non è una cosa seria! Pensiamo ai senatori degli uffici di presidenza del Senato o delle sue commissioni, che ruoterebbero in continuazione. Come potrebbero diventare esperti in qualche settore? Ci sono assurdità che non minacciano, se non indirettamente, la democrazia, come il fatto che i sindaci metropolitani, cioè delle più importanti città italiane, eletti direttamente dai cittadini, non possano essere nominati senatori. Centralizzazione, riduzione dell’autonomia comunale e l’irrisolto problema della dichiarazione d’incostituzionalità di leggi elettorali che non ha effetto sugli eletti sono solo 3 delle tante questioni ancora sul tappeto e di cosa si discute? Di elezioni semidirette. Le modifiche, possibili senza limiti, se si rispetta l’art. 138 Cost., non è questione interna al Pd e di specchietti per le allodole, ma di tutti i cittadini. La battaglia non è tra chi vuole approvare la revisione costituzionale e chi vuol lasciare le cose come stanno ma di modificare profondamente il disegno di legge di revisione costituzionale. Se c’è una lezione è che la vera difesa della Costituzione non è l’immobilismo, ma la sua attuazione a cominciare dall’eliminazione delle diseguaglianze(art. 3 c.2 Cost.), dal realizzare un sistema fiscale veramente equo e progressivo( art. 53 Cost.) e dal realizzare gli obiettivi di un’economia equa e solidale, come richiesto dal titolo III (Rapporti economici) della prima Parte della Costituzione: un programma di sinistra di governo piuttosto che al Governo, a qualsiasi costo. Felice Besostri Pubblicato dal MANIFESTO il 10 settembre 2016

mercoledì 9 settembre 2015

Manifesto per una Confederazione degli Stati europei e per l'emissione di Monete Fiscali nazionali - micromega-online - micromega

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MILLENOVECENTOUNDICI: SCEGLIERE IL SINDACO DI MILANO | Walter Marossi | ArcipelagoMilano

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MILANO: VERSO IL SINDACO DI CHI? | Luca Beltrami Gadola | ArcipelagoMilano

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Socialist Economic Bulletin: Corbynomics and crashes: investment versus speculation

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Il finto “Senato delle Autonomie” / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Risorgimento Socialista | Rivediamo i trattati verso gli Stati Uniti d’Europa?

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martedì 8 settembre 2015

The next Labour leader must take on Osbornomics head on - or fail

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L’umiliazione del Parlamento | Libertà e Giustizia

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Labour must fight for Europe – or it will have nothing left to reform | LabourList

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Perché la Germania ha aperto le porte ai siriani? | ISPI

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La leadership debole è il vero nodo dell’Europa - Il Sole 24 ORE

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La triplice dimenticanza di Matteo Eurenzi | Gustavo Piga

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European Trade Union Institute (ETUI) - Stewart Wood: ‘the Fiscal Compact was a historic mistake’ / News / Home

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Why We Need a Global Antitrust Authority / Perché ci vuole un’Antitrust Globale | EUROPA O NO

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Germania, le ragioni della svolta - Eddyburg.it

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Abbiamo bisogno di nuovi italiani. Rischiamo il deserto - Eddyburg.it

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