martedì 24 novembre 2015

Franco Astengo: Una sinistra frutto soltanto dell'autonomia del politico?

UNA SINISTRA FRUTTO SOLTANTO DELL’AUTONOMIA DEL POLITICO? di Franco Astengo Mentre il “Corriere della Sera” si esercita a impartire lezioni alla sinistra perché si prenda atto che il senso comune sta marciando verso la guerra e che è necessario assecondarlo (più o meno come fece Albertini cent’anni fa nel corso delle “radiose giornate di Maggio”), “Repubblica” attraverso la pubblicazione dell’”Atlante Politico” elaborato dalla Demos di Ilvo Diamanti fornisce alcuni dati sulla realtà possibile di una presenza della sinistra in Italia. E’ il caso, allora, di soffermarci su alcuni aspetti che appunto il lavoro svolto da Demos mette in evidenza e sui quali vale la pena soffermarsi attraverso un minimo di sviluppo d’analisi. La sinistra che viene presa in considerazione è quella derivante dalla formazione del gruppo parlamentare di Sinistra Italiana, formato da SeL e da alcuni dei parlamentari recentemente usciti dal PD (non ci sono come noto quelli raccolti attorno a Civati sotto la sigla “Possibile"). E’ bene ricordare subito come al gruppo parlamentare di Sinistra Italiana non corrisponda ancora alcuna forma organizzativa (Sel come soggetto politico è fin qui rimasto tale nella sua dimensione originaria). Ciò nonostante Demos sottopone il soggetto alla prova del sondaggio elettorale, sommando anche il consenso virtuale assegnato a Sinistra Italiana quello attribuibile (sempre per via virtuale) al PRC e al PCd’I. Ne vien fuori un 5,5%, ovviamente tutto da verificare e considerato dagli estensori di quest’analisi “risultato tutt’altro che irrilevante”. Gli elementi di maggior interesse nascono però dalle rilevazioni riguardanti la composizione di questa quota di consenso. Due considerazioni prima di tutto. La prima riguarda la domanda relativa al sistema di alleanze preferito da chi ha espresso consenso per Sinistra Italiana. Sotto quest’aspetto appare prevalente di gran lunga la preferenza per un rinnovo di una presunta alleanza di centrosinistra con il PD (addirittura all’87%). Centrosinistra che, anche volendo occuparsi di formule politiche, appare inesistente nel concreto sulla scena politica italiana da circa 10 anni (fallimento della cosiddetta “Unione”) e non più recuperabile. Si rilevano qui i guasti che ha causato la dispersione colossale di cultura politica avvenuta all’interno del possibile corpo politico della sinistra italiana nel corso di questi anni. Una scelta di questo genere dimostra come, prima di tutto, il culto della “governabilità comunque” sia risultato prevalente in luogo della necessità di espressione di un’autonomia politica legata a precisi riferimenti sociali e a un’espressione coerente riferita alla necessità di affrontare le contraddizioni in atto. Questo elemento di riflessione collettiva sembra proprio ormai assolutamente perduto e con esso appare smarrita la capacità di collocare i soggetti politici nella loro giusta e corretta dimensione all’interno del sistema: appare completa la sottovalutazione della tensione che anima il PD, fin dalla sua origine, sulla scorta della visione della cosiddetta “vocazione maggioritaria” a interpretare la parte del “Partito della Nazione” quale pilastro fondativo di un regime personalistico, della distruzione del Parlamento e dei corpi intermedi: gli atti di governo del PD si sono mossi tutti in questa direzione e il combinato disposto tra legge elettorale Italikum e cosiddette riforme costituzionali (in realtà vere e proprie deformazioni) dovrebbero rappresentare, negli intenti dei promotori, il momento di vero e proprio consolidamento di questo stato di cose. Diventa difficile poter pensare a una sinistra senza che si riesca ad analizzare la situazione in questi termini, affermando la più netta opposizione e di conseguenza autonomia e alternativa. Il secondo punto si intreccia con il primo e riguarda i livelli di consenso che, sotto l’aspetto della suddivisione per età e per condizione sociale, il soggetto “Sinistra” riuscirebbe a raccogliere. Un dato confortante è sicuramente quello della prevalenza di un consenso giovanile (ma questo dovrebbe trovare subito uno sbocco nella ricerca della costruzione di quadri sul territorio), così come eguale livello positivo si riscontra tra le persone dotate di un elevato titolo di studio. Questi elementi, sicuramente positivi, contribuiscono però a far sorgere una domanda: nel quadro complessivo di distruzione del sistema dei partiti, con la creazione di soggetti che appaiono come poco più di “comitati elettorali” non è forse questo un segnale di espressione di un’autonomia del politico, posta al di fuori dal collegamento con la presenza viva delle persone sulla drammatica realtà di profondissime fratture sociali? Si tralascia, in questa sede, l’approfondimento relativo alla questione della leadership che, invece, Demos affronta nella sua elaborazione: il discorso appare, nell’eventualità, del tutto prematuro. Nella sostanza comunque il riferimento non può che essere quello conclusivo dell’articolo citato, redatto da Roberto Biorcio e Fabio Bordignon: “ nodi strategici da sciogliere per definire l’identità e il profilo politico di un nuovo partito”. La denominazione “partito” appare comunque condivisibile ma i nodi vanno esposti con chiarezza. Si tratta del ruolo dell’opposizione, della rappresentanza politica delle grandi contraddizioni sociali, di una forma della soggettività politica in grado di adattarsi alla modernità senza smarrire il senso del collettivo (combattendo l’individualismo competitivo delle primarie e il personalismo di leader non legittimati), del rapporto con la storia del movimento operaio internazionale e italiano e soprattutto della capacità di espressione di un soggetto posto in grado di delineare una prospettiva per il futuro in una chiave di espressione egemonica rispetto a un’alternativa di sistema. Pochi punti, ma da far tremare i polsi per una discussione di fondo della quale, se si vuol, essere seri, non si può fare a meno. L’obiettivo deve essere rappresentato dalla ricostruzione assieme di una teoria, di una pratica e di una organizzazione collettiva in controtendenza con quanto appare dominante in un sistema contrassegnato dal “pensiero unico” e dalla distruzione del concetto di rappresentanza politica delle contraddizioni sociali e di una identità del cambiamento.

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