martedì 16 febbraio 2016

Franco Astengo: Referendum

SUL SENSO POLITICO DEL REFERENDUM di Franco Astengo “ Perché, se ci guardiamo attorno scopriamo un panorama politico e istituzionale senza territorio. Senza partiti. Ma con molti piccoli capi, i sindaci. Sparsi e dispersi nel Paese. A governare su tutti: un solo leader. Circondato da pochi consiglieri fidati. Sfidato solo da alcuni anti – leader”. Ilvo Diamanti conclude così un suo articolo di analisi della condizione del sistema politico italiano, apparso sulle colonne di Repubblica lunedì 15 Febbraio. Una sintesi stringente e molto indicativa per una riflessione che parte dalla modifica del sistema elettorale per i Comuni (legge 81/93) che introdusse l’elezione diretta avviando la stagione del “partito dei sindaci” secondo alcuni, o quella dei “cacicchi” secondo altri. Comunque una pietra miliare nel disfacimento del sistema dei partiti così come questo aveva egemonizzato la scena politica italiana a partire dal dopoguerra. Il risultato di questa evoluzione è pessimo con la messa in discussione dei principi – base che reggono, sul terreno istituzionale, l’impianto della Costituzione repubblicana. La sintesi offerta in conclusione dall’articolo di Diamanti rappresenta anche il miglior punto di confronto sul quale sviluppare l’iniziativa politica dal punto di vista del “NO” in occasione del referendum confermativo sulla legge recentemente approvata dal parlamento in materia di “deformazione costituzionale” riguardante il Senato, le autonomie locali, il ruolo della presidenza del consiglio. Il primo punto da sottoporre all’attenzione di quanti vorranno impegnarsi in questo senso riguarda, però, il nesso inscindibile da stabilire sempre, sul piano dell’analisi politica, tra il NO alle deformazioni costituzionali e il SI all’abrogazione della nuova legge elettorale denominata “Italikum”. E’ necessario, infatti, fissare al meglio nell’identità stessa delle argomentazioni che dovranno essere sostenute nel corso di questa fondamentale scadenza del referendum che si tratta di mettere in moto un meccanismo di vera e propria inversione di tendenza rispetto a quanto accaduto, sul piano istituzionale (ma di conseguenza anche economico, sociale, del costume e dei rapporti civili) nel corso del ventennio della lunga “transizione italiana” segnata dall’affermazione del maggioritario, della personalizzazione della politica, della prevalenza assoluta del concetto di governabilità, dello squilibrio tra centralità dello stato e sistema autonomistico, del ruolo del parlamento e degli altri consessi elettivi, della trasformazione della natura dei partiti, dello svilimento nella funzione dei corpi sociali intermedi, nell’affermazione del principio dell’apparire nella funzione di informazione e deformazione della realtà attuato dai mezzi di comunicazione di massa, nell’individualismo oggettivamente esaltato all’innovazione tecnologica e dal principio assurdamente vincente del consumismo e della competizione egoistica. In sostanza in quel ventennio è accaduto ciò che preconizzava Antonio Gramsci quando diceva che “se il vecchio muore e il nuovo non nasce, in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. Ne è uscito infatti, nel fallimento del progetto costituzionale europeo e nell’illusione dell’intreccio governabilità/maggioritario, un vero e proprio spossamento nella funzione dello Stato, senza che si realizzasse una critica al “sovranismo” posta al di fuori dal populismo, di destra e di presunta sinistra. Da questi elementi è sortito il quadro così efficacemente sintetizzato da Diamanti che nel “A governare su tutti un solo leader: circondato da alcuni consiglieri fidati. Sfidato soltanto da alcuni anti leader” disegna esattamente il quadro di un Regime già costruito, al quale riforma del Senato e nuova legge elettorale fornirebbe una semplice suffragazione. La governabilità non può scaturire dall’incontro plebiscitario tra il Capo e le masse (Capo uscito o meno dal web), ma deve essere frutto della rappresentanza politica derivante dalla competizione tra élite agganciate, idealmente e programmaticamente, alla realtà delle contraddizioni e dall’insieme di risvolti sociali, culturali, politici che queste provocano agendo nel concreto della realtà storica. Questo principio di fondo vale nell’era digitale, come valeva in quella della “lettera 22” o della penna intinta nell’inchiostro del calamaio: per evitare di tornare ai “notabili” risulta essenziale la funzione pedagogica dei soggetti politici e, di conseguenza, dei partiti che rimangono la dimensione meno imperfetta della rappresentanza politic. Di conseguenza il senso politico del referendum deve essere inteso complessivamente come punto di vera e propria rottura nella degenerazione del sistema, rifiutando l’idea di un plebiscito attorno alla figura di un sedicente leader e anche un eccesso di tecnicismo attorno alle norme in discussione. Il NO alle deformazioni costituzionali e il SI all’abrogazione delle Italikum da intendersi come un pieno, effettivo, ritorno alla politica così come intesa dal dettato della Costituzione repubblicana.

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