giovedì 11 febbraio 2016

Franco Astengo: Trasformismo

TRASFORMISMO E ARTICOLO 49 DELLA COSTITUZIONE di Franco Astengo L’argomento è del tutto impopolare e terreno di caccia delle demagogie e dei populismi più accesi: al centro l’antico fenomeno del trasformismo, del mutamento di casacca dei parlamentari, il regolamento per gli eletti inventato dal M5S con tanto di penale da pagare, la proposta di regolamentazione dei partiti secondo quanto previsto dall’articolo 49 della Costituzione, il vincolo di mandato previsto all’articolo 67 dalla stessa Carta Fondamentale. Poche righe, allora, sull’argomento partendo da una precisazione indispensabile: occorre distinguere tra gruppi parlamentari (e/o consiliari nelle Regioni e negli Enti Locali) e i partiti. Si tratta di due entità ben distinte e l’art.49 della Costituzione precisa bene: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Gli eletti nelle istituzioni invece fanno riferimento all’art.67 : “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Stabilito questo primo punto di principio assolutamente fondamentale la storia del trasformismo ha inizio fin dal Parlamento subalpino, in precedenza alla stessa Unità d’Italia, con il cosiddetto “connubio” tra Cavour e la sinistra storica di Rattazzi, per poi raggiungere il primo proprio passaggio fondamentale nel 1875 con il “discorso di Stradella” di Agostino Depretis. Una storia complicata piena di episodi di alta politica e di bassa cucina: dalle grandi scissioni della sinistra (ma ce ne sono state anche a destra) causate da questioni ideologico – politiche di enorme spessore (PSLI, PSIUP, Manifesto), per arrivare ai capitoli neri dei Di Gregorio,Razzi, Scilipoti, Verdini, ecc, ecc. Il dato vero è quello del degrado nella qualità dell’azione politica, della scissione definitiva tra etica e morale, dell’abbandono delle radici ideali dei partiti, dell’eccesso di benefici soggettivi che allettano i singoli, della politica considerata come espressione di un soggettivismo egoistico. Quel che è certo, comunque, che l’idea della “penale” di casaleggiana ispirazione appare davvero aberrante: il suffragarsi della decadenza morale. Così come una regolamentazione legislativa sulla base dell’articolo 49 e il superamento dell’articolo 67 assumono, in queste condizioni, il tono di una regolamentazione di regime: tanto più che il rapporto tra partito e liste elettorali è ormai riservato allo stabilire le posizioni utili per essere “nominati” automaticamente e si sono molto ristrette le possibilità di piena espressione del diritto di voto nel senso della ricerca della rappresentanza politica in relazione alle condizioni sociali e alle convinzioni ideali. L’analisi dovrebbe essere condotta attraverso l’esame dei passaggi avvenuti nella forma – partito dall’integrazione di massa (Duverger), al pigliatutti (Kirchhmeier) , al personale (Calise) con le sue diramazioni d’azienda (Berlusconi) e personalistico – autoritario con riferimento generico alla “Nazione” (Renzi). Il nodo vero è quello del ruolo di educazione collettiva e di stimolo morale da parte dei partiti in funzione della costruzione di una classe dirigente: questo fatto è progressivamente venuto meno. Dalle Frattocchie ai comizietti renziani, al personalismo esasperato delle primarie, ai diktat (del tutto inefficaci, tra l’altro) di Casaleggio il passo indietro sul piano qualitativo è evidente. Mala tempora currunt: davvero.

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