lunedì 5 dicembre 2016

Felice Besostri: Una lettera che aspetto

UNA LETTERA CHE ASPETTO di Felice Besostri Oggi andrò a votare No in un referendum, nel quale il quesito referendario -trattandosi di una revisione costituzionale- non è conforme a quanto obbligatoriamente e chiaramente richiesto dall’art. 16 della legge n. 352/1970 . Preoccupante per i diritti costituzionali e democratici, a prescindere dall’oggetto di questo referendum, è il fatto che non si sia trovato un giudice, che si sia dichiarato competente a pronunciarsi nel merito e non su chi fosse competente a proporre ricorso, su chi dovesse esaminarlo e quando, addirittura, se la natura giurisdizionale dell’Ufficio Centrale Referendario, lo ponesse al di sopra di ogni impugnazione. Resta il fatto che non si sono tenuti distinti i diritti, di chi abbia chiesto il referendum ex art. 138 Cost., e i diversi e preminenti diritti dei cittadini, esponente del popolo, cui appartiene la sovranità, di esercitare il diritto di voto in conformità alla Costituzione e alle leggi di attuazione. Non solo la campagna elettorale è stata squilibrata nei tempi assegnati di fatto alle ragioni del SI’ nettamente superiori a quelle del NO, ma anche la potenza di fuoco mediatica e finanziaria di propaganda. Il raggiungimento delle 500 mila firme da parte del Comitato per il NO avrebbe soltanto attutito, non eliminato, la differenza: ma non è il tempo di recriminazioni e di accuse, perché non si piange sul latte versato. Semmai si tratta di porre al centro dell’iniziativa politica, quale che sia l’esito referendario, l’attuazione dei diritti costituzionali di agire in giudizio e per la trasparenza del finanziamento della politica e delle campagne elettorali. In una società capitalista, ci saranno sempre delle differenze, per questo siamo portatori di altri valori diversi dal denaro, ma almeno l’entità e la provenienza dei mezzi deve essere trasparente, perché il voto sia eguale e libero, come richiede il nostro art. 48 Cost.. Dare seguito alla decisione referendaria è compito di tutte le forze politiche in campo e in primo luogo di quelle che hanno una maggioranza parlamentare, per quanto frutto di una legge elettorale incostituzionale. Se hanno potuto approvare una legge elettorale, di sospetta costituzionalità per ben 5 Tribunali della Repubblica da Messina a Torino, da Perugia a Trieste per finire con Genova, la responsabilità non è solo del Governo e della sua raccogliticcia maggioranza, ma anche dei Presidenti delle due Camere, che hanno ammesso voti di fiducia in violazione dell’rt. 72 c. 4 Cost. alla Camera dei Deputati o emendamenti strumentali e inammissibili al Senato della Repubblica. Se la stessa maggioranza ha approvato una massiccia revisione costituzionale la responsabilità maggiore non è di chi ha salvato il suo posto nel Parlamento con gli annessi privilegi presenti e futuri, che matureranno dopo 4 anni e 6 mesi dall’insediamento, ma di un Presidente, ora emerito, che non ha sciolto le Camere tempestivamente e che ha autorizzato il Governo ex art. 87 c. 4 Cost. a presentare un ddl costituzionale, dimentico dell’insegnamento del costituente Piero Calamandrei e che non può invocare la scusante di essere stato eletto soltanto nel 1953, tre anni prima della sua morte. Il discorso di Calamandrei a Milano del 1955 non poteva essere ignorato, tanto più da chi era stato eletto nella temperie di una legge truffa, che al paragone delle leggi n. 270/2005 e n. 52/2015, almeno il premio lo dava a chi la maggioranza assoluta la conquistava nelle urne e non a prescindere dal consenso elettorale e dalla rappresentatività del corpo elettorale. Di contro e paradossalmente, il premio, con il Porcellum e con l’Italikum è tanto maggiore quanto minore è il consenso in termini di voti e di percentuale dei votanti Un compito prioritario è quello di impedire che l’Italikum sia applicato alla prossima elezione sia che vinca il NO, che il SI’. In tale ultimo caso, a maggior ragione, per depotenziarne gli effetti sulla forma di governo e sulla funzione del Presidente della Repubblica e sull’assoggettamento del Parlamento al Governo e al suo Presidente. Con i comitati per il NO, 670 in tutto il territorio nazionale e 40 all’estero, si sono mobilitati migliaia di cittadine e di cittadini, nuove energie ed anche ritorni di chi si era allontanato dall’impegno attivo: è un capitale umano e politico, che non può essere disperso. La difesa e l’attuazione della Costituzione devono essere impegni permanenti e prioritari, non emergenziali. Su questo si può, si deve costruire una vasta alleanza di cittadini di diversa provenienza e sensibilità politica ed ideologica. Se ciò avvenisse sarebbe molto, ma a mio avviso non abbastanza. Sono rimasto colpito dall’atteggiamento di molti, che pur a domanda risponderebbero di essere di sinistra o di centro-sinistra, che tra governabilità e democrazia scelgono senza esitazione la governabilità anche a costo di sacrificare la rappresentanza. Si impone, quindi, un discorso a sinistra parallelo a quello democratico della difesa della Costituzione, anche perché la sua attuazione non è politicamente neutra, ma richiede scelte economiche, finanziarie, sociali e politiche, sulle quali il consenso non è scontato, ma va costruito. Prima di conoscere l’esito del referendum vorrei ricevere una lettera o altro tipo di messaggio da chi si propone di ricostruire una sinistra, la cui assenza, al limite della scomparsa ma certamente dell’irrilevanza, è uno dei fattori di instabilità politica di sistema del nostro paese e per estensione dell’Europa. Il messaggio dovrebbe essere scritto prima dello spoglio, non sotto la dettatura dello sconforto per la vittoria dei SI’ o in preda ad un’ingiustificata euforia per la vittoria del NO. Leader autoproclamati e presuntuosi di una sinistra prevalentemente identitaria con vocazione minoritaria non sono mancati, non mancano e non mancheranno: c’è posto per tutti in una sinistra vasta e plurale, ma vorrei che sorgesse, piuttosto, un interprete di una sinistra credibile per la maggioranza democratica del popolo italiano, che vive, lavora, si dispera e sogna nel nostro paese o nell’emigrazione. Non abbiamo bisogno di leader carismatici, ma di rappresentanti di diritti, bisogni e meriti collettivi ed individuali. C’è necessità di dirigenti che ci facciano pensare e discutere, che abbiano bisogno delle nostre esperienze e speranze, come noi di una comunità o formazione politica, che le sappia elaborare, fondere e tradurre in una pratica politica e sociale permanente e non solo in una lista di candidati buona per la prima competizione elettorale e solo per quella. Dobbiamo anche andare oltre una generica sinistra, parola che indica soltanto in quale lato dello spettro politico ci si colloca e non dove si intenda andare, con quali mezzi e programmi e con quali compagnie. Non c’è una sinistra, che meriti rispetto, che non metta in discussione l’ordinamento economico e sociale esistente e non si ponga il problema di come superarlo: si divida sul come soltanto se le differenze sono insuperabili e i contrasti portino alla paralisi. Vorrei una sinistra dove il pluralismo sia una ricchezza, dove io che son socialista, mi possa riconoscere con altri, che la pensano come me, con altri che sono e si sentono comunisti e/o libertari, cristiano sociali, dove i filoni ideali storici del movimento operaio si arricchiscano con le conquiste del pensiero femminista e ambientalista e dell’umanesimo laico e della contaminazione di una fede religiosa, per la quale gli uomini e le donne sono uguali non solo davanti a Dio e dopo morti. Una sinistra dove sei italiano, europeo e cittadino del mondo, fratello e solidale di tutti con il limite invalicabile del 99%, perché l’1% dove si concentra il potere economico, finanziario e politico sarà sempre il nostro nemico irriducibile, fino al 48% delle classi privilegiate avversari da ridurre a ragione o concludere compromessi. Il 51% è, invece, la maggioranza minima da convincere con l’esempio e il ragionamento e con la scelta irrevocabile della libertà e della democrazia per la conquista e la gestione dl potere. Vorrei essere parte di una sinistra che abbia fin da ora la certezza di avere una proposta per il Paese, che vinca il NO, come mi auguro, o il SI’, perché dire NO oggi è per potere SI’ domani su una riforma vera, che non si limiti all’ingegneria istituzionale, ma investa la società e le sue articolazioni: nessuno deve rimanere indietro e tutti dobbiamo essere più liberi e con pari dignità perché membri di una società più giusta ed eguale. Milano 4 dicembre 2016

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