martedì 31 ottobre 2017

Franco Astengo: Una riflessione sul sistema politico italiano

UNA RIFLESSIONE SUL SISTEMA POLITICO ITALIANO di Franco Astengo Il sistema politico italiano si trova nel pieno di una crisi di rappresentanza sistemica che dura ormai da decenni e all’indomani dell’approvazione dell’ennesima legge elettorale. Una nuova legge elettorale che non solo presenta evidenti profili di incostituzionalità come le due precedenti elaborate nel giro più o meno di un decennio, ma appare misurata semplicemente sugli interessi di alcuni degli attori presenti nell’arena politica. La conseguenza più diretta sarà quella di un esito elettorale di bassa produttività sia sul piano della rappresentanza (il tema che a chi scrive sta a cuore) sia su quello della governabilità (così celebrata nel corso degli anni dal coro degli angeli dei mezzi di comunicazione di massa). Sarebbe il caso, allora, di proporre una riflessione più approfondita sullo stato dell’arte: in questo caso, però, mi limito ad alcune considerazioni prendendo spunto da due interventi compresi nel n.2 dei “ Quaderni di scienza politica” edito da Erga : “La polarizzazione quarant’anni dopo Parties and Party sistems (il testo sacro del compianto Giovanni Sartori n.d.r): tra vecchi e nuovi interrogativi) di Orazio Lanza e Vincenzo Memoli e la nota “Tra personalità e arte di governo. Una proposta analitica sulla nozione di leadership” di Furio Stamati. Questo ragionamento d’occasione si avvia proprio dalla questione della leadership . “Leadership” che è preferibile denominare come “personalizzazione della politica” per meglio significare come questo fenomeno si eserciti a diversi livelli e non soltanto a quelli apicali del sistema, in forza di un processo imitatorio formidabile indotto in gran parte dai mezzi di comunicazione di massa (fenomeno che non si verifica soltanto in politica, ma anche in altri campi nei quali si ritiene necessaria la figura del “conductor”). Il ruolo della personalizzazione della politica si è sicuramente rafforzato nel corso degli ultimi anni e, come ha sottolineato Sergio Fabbrini ( “ Addomesticare il Principe: perché i leader contano e come controllarli, Venezia, Marsilio 2011”) il fenomeno è riconducibile a due elementi di trasformazione strutturale. Da un lato si è verificato il progressivo indebolimento del ruolo d’intermediazione sociale dei partiti. Contemporaneamente si è notevolmente rafforzata la pervasività dei mass media. D’altro canto, il ruolo attuale dei media non è solo un portato delle’evoluzione tecnologica e di costume, ma anche il risultato di precise scelte strategiche: pensiamo alla “discesa in campo” di Berlusconi con Forza Italia nel 1994, e all’ascesa del M5S tra il 2008 e il 2013, fenomeni di grande portata nel riallineamento del sistema italiano incentrati, nel loro divenire, rispettivamente su TV e web. Il più autorevole punto di partenza per cercare di cogliere nel suo complesso la relazione tra il ruolo dei media e la trasformazione dei partiti rimane sicuramente quello dell’acquisizione del concetto di “democrazia del pubblico” proposto da Bernard Manin ( Principi del governo rappresentativo, Bologna, il Mulino 2010) e a quel testo si può continuare a fare riferimento,ma ciò che ci interessa, a questo punto, è verificarne gli effetti sul sistema politico italiano nel corso di questi anni. Non è il caso, naturalmente, di tralasciare nell’analisi anche l’elemento della maggiore interdipendenza dei diversi sistemi politici al quadro di relazioni internazionali che hanno causato (in particolare i fenomeni legati all’integrazione europea, almeno nel nostro caso) la scelta degli esecutivi nazionali di distanziare alcune politiche, in particolare quelle economiche, dal ciclo elettorale nazionale (altri fenomeni di interdipendenza, invece, hanno e avranno un grandissimo peso sulla sorte dei governi e dei partiti nelle urne nazionali come nel caso del tema dei migranti). E’ stato all’interno di questo quadro che nel sistema si sono evidenziati fenomeni di riallineamento anche vistosi ( in particolare sul piano della volatilità elettorale) rivolti in due direzioni: una crescita forte dell’astensionismo a tutti i livelli di elezione, europeo, nazionale, locale ( in controtendenza, almeno per quel che riguarda il caso italiano, un’occasione di confronto su di una “single issue” come quella Costituzionale, in occasione del referendum del 4 dicembre 2016) e lo svilupparsi dei cosiddetti partiti anti – sistema. Partiti anti - sistema al riguardo dei quali addirittura in Italia stiamo assistendo al tentativo di trasformazione di un partito regionale come la Lega Nord in partito “Nazionale”, con la grande contraddizione di Presidenti di Regione appartenenti allo stesso partito che promuovono referendum nelle loro realtà (quelle “storiche” del movimento) per accentuare i termini legislativi di autonomia politico – istituzionale ( il tutto in una fase, a livello europeo, di grande sommovimento sotto questo punto di vista come nel caso della vicenda catalana e della probabile esplosione di analogo fenomeno nelle Fiandre). Appaiono evidenti, in questi semplici esempi, i dati di stridente contraddizione che percorrono il sistema e che rendono complessivamente l’azione politica, sia quella di governo sia quella di rappresentanza, fragile, confusa, del tutto insoddisfacente. La domanda che si pone a questo punto è questa: il sistema, di fronte all’emergere di fenomeni di questo tipo, assume una struttura di maggior polarizzazione (secondo lo schema proposto proprio a suo tempo da Sartori, quello del “pluralismo polarizzato”) oppure siamo di fronte ad un processo di riallineamento posto sul piano dell’accentuazione di meccanismi di similitudine tra i partiti accomunati dalla logica della personalizzazione e dell’utilizzo della “democrazia del pubblico” attraverso i mezzi di comunicazione di massa e del web? La riposta sembrerebbe favorevole alla seconda opzione e un punto del testo di Lanza e Memoli tenderebbe a confermarlo “ in molte democrazie contemporanee, soprattutto quando la competizione riguarda quella parte del mercato affollato da elettori non identificati ( i cosiddetti “orfani” dei partiti rappresentativi: n.d.r) , i programmi tendono a diventare sempre più mutevoli e indistinti e la radicalizzazione / polarizzazione assume spesso una veste relazionale, anche per costituire, soprattutto per i nuovi imprenditori politici che vogliono ritagliarsi un proprio spazio competitivo ( magari all’insegna del né di destra, né di sinistra, n.d.r.) una redditizia strategia per farsi riconoscere e mobilitare elettori”. Un chiaro esempio, da questo punto di vista, sempre restando alle vicende italiane riguarda il discorso sul lavoro : dove tutti si tuffano sul reddito di cittadinanza, i bonus, gli sgravi, gli incentivi e nessuno – o quasi – si muove nell’intento di allargare il mercato del lavoro attraverso l’intervento pubblico in economia da realizzarsi con la programmazione e la gestione diretta dei grandi asset strategici. La non polarizzazione tra i diversi soggetti quelli eredi del precedente sistema e quelli nuovi, poi, la si evidenzia ancor meglio nella conduzione degli Enti Locali : laddove la somiglianza nelle gestioni (scadenti) delle grandi emergenze urbane appare impressionante, nonostante gli Enti Locali ( e le Regioni) costituiscano il luogo politico della maggiore esaltazione della personalizzazione della politica attraverso l’elezione diretta ,meccanismo che, tra l’altro, concedendo a Sindaci e Presidenti di Regione la nomina diretta di assessori e collaboratori di vertice non contribuisce minimamente a far crescere una nuova classe politica adeguata alla realtà. Proseguono Lanza e Memoli su di un punto – chiave : “in realtà l’obiettivo di molti partiti etichettati come populisti che affollano la parte centrale dell’asse ( quello destra/sinistra n.d.r) , si pensi al M5S italiano e al PS finnico, consiste, in modo del tutto simile ai partiti politici tradizionali, nell’ottenere la maggioranza dei seggi parlamentari per, una volta ottenuta, cessare di contestare – ove mai lo avessero contestato – il sistema in quanto tale”. In questa affermazione si rileva una chiara e precisa identificazione del meccanismo in atto, soltanto illusoriamente improntato ad una nuova polarizzazione di sistema e di radicalizzazione di strategie e contenuti. In questo modo diventa egualmente del tutto illusorio proclamare a suon di “boutade” una presunta “vocazione maggioritaria” che alla fine, si rivelerà semplicemente l’anticamera di formule di governo tratte semplicemente dall’antico armamentario del “connubio italiano (l’antenato del “trasformismo, per intenderci). Questo discorso, ridotto all’osso per evidenti motivi di economia del testo, riguarda direttamente quelle forze di sinistra che intendono ancora misurarsi nell’arena politico – istituzionale sia come soggetti portatori di valori provenienti dalla storia del movimento operaio, sia come soggetti proponenti di un nuovo intreccio tra le contraddizioni e quindi misurati sulle prospettive di mutamento complessivo in atto nella società e nell’insieme del sistema globale di relazioni sociali, economiche, politiche. Il punto appare quello di inserirsi come soggetto effettivamente polarizzante, determinato sul tema dell’identità politica e in grado di riallinearsi sull’asse principale che rimane quello destra / sinistra . Asse destra / sinistra nel quale, come abbiamo visto, l’affollamento si determina al centro, ma non per una ricerca di moderatismo (il quadro è pieno di “estremisti di centro”) ma per una ricerca affannosa di elettorato in via di smarrimento da imbonire con facili promesse, comparsate televisive e tweet graffianti. Sia ben chiaro che le ragioni di apparente radicalizzazione di vecchi e nuovi attori politici sono derivanti esclusivamente da esigenze di sopravvivenza elettorale: dal nostro punto di vista l’entrata in campo di una nuova soggettività polarizzante deve essere realizzata soprattutto attraverso una proposta di radicamento dell’espressione politica. Il tema, per capirci, non è semplicemente quello delle caratteristiche di una lista elettorale ma quello del “Partito”.

sabato 28 ottobre 2017

Corbyn is dropping the dogma and modernising Labour's left to help it win | LabourList

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Bankitalia e legge elettorale due partite senza vincitori - Eddyburg.it

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In Nuova Zelanda vento di #Sinistra | Qualcosa di Sinistra

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Il divorzio tesoro-Bankitalia

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A Brief History of Catalan Nationalism | Foreign Affairs

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"LA LUNGA MARCIA DEL POPULISMO EUROPEO"

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"IL GESTO" di PAOLO BAGNOLI

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mercoledì 25 ottobre 2017

Il dibattito sul populismo come base della socialdemocrazia | Avanti!

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Steven Forti: in Catalogna gioco pericoloso | Avanti!

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Referendum in Veneto e Lombardia: un segnale da non trascurare.

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UNA MAPPA PER IL DOPO EXPO. STA PER USCIRE ATLANTE BRAND MILANO | Stefano Rolando - ArcipelagoMilano

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QUASI VINCITORI E SICURI PERDENTI DEL REFERENDUM | Wlater Marossi - ArcipelagoMilano

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DOPO IL REFERENDUM NULLA: NON A MILANO | Luca Beltrami Gadola - ArcipelagoMilano

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lunedì 23 ottobre 2017

Austria’s Right Turn

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Gli stranieri in Italia producono più ricchezza del Pil dell'Ungheria - Eunews

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Legge elettorale, costituzionalisti pronti a sollevare eccezioni | Libertà e Giustizia

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Ma perché Renzi attacca Bankitalia?

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Franco Astengo: Qualche divagazione sui numeri del referendum lombardo-veneto

QUALCHE DIVAGAZIONE SUI NUMERI DEL REFERENDUM LOMBARDO – VENETO di Franco Astengo Finalmente, nella tarda mattinata di Lunedì 23 ottobre, sono arrivati i numeri definitivi del referendum sull’autonomia del Lombardo – Veneto. Responsabilità del ritardo il sistema di voto elettronico adottato in Lombardia rivelatosi molto più farraginoso del previsto :in verità se il meccanismo adottato fosse stato esplicitato in anticipo si sarebbe capito subito che i tempi sarebbero slittati rispetto a quelli del Veneto, dove si è votato con il sistema tradizionale. Prescindendo da questo elemento emerge sicuramente un dato : al di là di ciò che potrà o non potrà essere determinato sul piano legislativo, istituzionale, amministrativo dai dati referendari è emerso con chiarezza l’esistenza di un problema al riguardo del Nord – Est del Paese. Un problema che si presentava già con chiarezza da tempo, derivante dalla particolare struttura economica di quella parte d’Italia adottata nel momento del passaggio dallo sviluppo agricolo a quello piccolo medio – industriale con il sistema dei distretti e la ridotta dimensione delle concentrazioni produttive con forti quote di lavoro a dimensione artigianale, se non casalingo: modello che presenta, innalzando la percentuale del lavoro autonomo, evidenti questioni di carattere fiscale (non a caso la più alta percentuale di partecipazione al voto si è avuta nel vicentino, laddove proprio il modello di sviluppo appena indicato ha avuto fin dagli anni’80 il massimo della sua espansione reclamando in conseguenza un alto grado di autonomia nell’organizzazione sociale). Nel voto referendario emerge una vera e propria faglia geografica corrispondente più o meno addirittura all’antico confine tra il Granducato di Milano e la Repubblica di Venezia, nella sua parte di terraferma, cioè l’Adda, come ci ha ricordato Manzoni nei Promessi Sposi. Nel Milanese l’interesse per l’autonomia è molto debole mentre cresce a partire dal Bergamasco e relative valli. Non esiste quindi un Lombardo – Veneto, ma un Veneto con propaggini lombarde: situazione con la quale fare comunque i conti. Disponendo però soltanto i numeri globali proviamo comunque a sviluppare un minimo di analisi. VENETO I voti validi nell’occasione del referendum 2017 sono stati 2.317.923 con 2.262.955 favorevoli. Se assumiamo com’è giusto come dato politico in punto di partenza di una proposta che viene dal centro –destra non si può non notare come la stessa abbia sfondato sia nel campo del centro sinistra, sia in quello del Movimento 5 Stelle. I voti validi espressi nel referendum 2017, infatti, hanno superato i voti validi espressi nelle Regionali 2015 che assommavano a 2.212.204 nelle espressioni di suffragio per i candidati presidenti : Zaia ottenne 1.108.065 voti, la candidata del PD Alessandra Moretti 583.147 e quella del M5S 262.749. Rispetto alle regionali 2015 si può quindi ben affermare che la proposta referendaria abbia sia pur minimamente sfondato anche nel campo dell’astensione. Da considerare inoltre che la quota dei voti validi ottenuta nel referendum 2017 equivale più o meno anche al totale dei voti validi realizzato nelle Europee 2014 che assommò a 2.397.744. Considerato il trend della partecipazione elettorale non è quindi esagerato definire l’esito veneto quasi come quello di un plebiscito LOMBARDIA Ben diverso il quadro della Lombardia dove i voti validi sono stati in totale 2.987.903 : 2.869.268 sì e 118.635 no. Oltre all’emergere di quella spaccatura geografica già indicata si può ben affermare che, in questo caso non si è verificato alcun sfondamento da parte del centro destra che detiene la maggioranza in regione verso gli altri campi. Maroni infatti fu eletto nel 2013 con 2.456.921 voti, staccando Ambrosoli fermo a 2.194.169 e il candidato del M5S a 775.211 per un totale di voti validi di 5.737.827 (compresi naturalmente altri candidati oltre i tre indicati). In sostanza al referendum 2017 i voti validi sono stati rispetto a quelli delle regionali il 52,07%. Il si rappresenta quindi circa il 37% dell’intero elettorato lombardo (quindi cancelliamo l’oltre 90%, così come va cancellata la stessa percentuale per quel che riguarda il Veneto regione nella quale il sì si attesta però al 60,18%, di conseguenza la maggioranza assoluta). Riassumendo: il dato referendario indica come non esista alcun Lombardo – Veneto considerato che il voto ha avuto nelle due regioni un esito ben difforme. Emerge quindi come problema politico una questione riguardante il Nord – Est e si presentano tendenze ben diverse soprattutto tra Milano e il suo hinterland e parte della stessa regione Lombardia, all’interno della quale comunque la tensione autonomistica appare molto meno sentita che non nelle province venete: è questione essenzialmente di struttura economica e produttiva (e di conseguenza fiscale): un discorso che viene da lontano e che non sarà semplice da affrontare. Da ricordare, infine, che i due quesiti (diversi tra Lombardia e Veneto) apparivano quanto mai generici se non ambigui: il presidente della Regione Veneto ha dichiarato che intende aprire un confronto con il Governo su 37 punti. Se questi 37 punti fossero state ben esplicitati allora l’elettorato avrebbe potuto compiere una scelta ben più ponderata di quella sicuramente approssimativa compiuta domenica scorsa.

European Alternatives » Catalunya and beyond: what’s after the nation-state?

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La strategia energetica non convince senza un piano dell'innovazione | Scienza in Rete

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Economists: Too Much Ideology, Too Little Craft

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venerdì 20 ottobre 2017

Franco Astengo: Un punto nella vicenda Banca d'Italia

UN PUNTO NELLA VICENDA BANCA D’ITALIA TRA ISTITUZIONI E PD di Franco Astengo Nella vicenda in corso tra le massime istituzioni dello Stato, Presidenza della Repubblica e Presidenza del Consiglio e il partito di maggioranza relativa PD, si presenta un aspetto riferito alla dinamica politica non sufficientemente messo in chiaro nel dibattito mediatico in corso. Premesso che la “vicenda Banche” è stata a lungo ignorata o presentata riduttivamente proprio dal concerto mediatico che oggi fa grancassa mentre si tratta di questione gravissima che si trascina da tempo (molto acuita nell’ultimo ventennio, quello delle grandi concentrazioni e del massiccio trasferimento avvenuto a livello globale dall’economia produttiva all’economia finanziaria) e che è stata coperta da tutti fino all’inverosimile. Chiamando quindi a responsabilità generali e specifiche che non sono state sufficientemente accertate e, di conseguenza, perseguite. La questione pone a tutti una domanda di fondo. Si tratta di questo: si può ancora credere nel rispetto delle competenze e delle prerogative istituzionali previste dalla Costituzione e dalla Legge? Sono ancora valide le determinazioni di funzione e di ruolo tra Parlamento, Governo, Presidenza della Repubblica? Se non ci crede più allora basta, va bene e si può chiudere a questo punto. Invece, se ci si crede ancora, sarà bene tenere a mente alcuni punti fermi. Il ruolo dei partiti, e soprattutto quello dei capi partito è ancora validamente espresso all’interno dell’articolo 49 della Costituzione Repubblicana : “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale [cfr. artt. 18, 98 c. 3, XII c. 1]. Mentre così può essere riassunto il ruolo del Parlamento: “La Costituzione italiana, stabilisce che la sovranità appartiene al popolo, cioè a tutti i cittadini, che la esercitano nelle forme e nei limiti che la Costituzione stessa indica. Una delle più importanti forme di espressione della sovranità popolare è l'elezione del Parlamento. Il Parlamento è composto dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica che hanno eguali compiti e poteri (per questo si parla di bicameralismo “paritario” essendo differente la platea elettorale e la formula di elezione dei senatori). Il Parlamento è un'Istituzione centrale nel nostro sistema costituzionale. Esso, infatti, approva le leggi, indirizza e controlla l'attività del Governo, svolge attività d’inchiesta su materie di pubblico interesse, concede e revoca la fiducia al Governo; inoltre il Parlamento in seduta comune, integrato dai delegati regionali, elegge il Presidente della Repubblica; infine il Parlamento in seduta comune elegge una parte dei giudici della Corte costituzionale e dei componenti del Consiglio superiore della magistratura.”. E quello della Presidenza della Repubblica?: il presidente della Repubblica italiana rappresenta l’unità nazionale ed è il garante della Costituzione; è inoltre a capo del Consiglio superiore della magistratura (Csm), ha il comando delle Forze armate e presidente il Consiglio supremo di difesa. All’interno della Carta il suo ruolo è posto al di fuori dei tre poteri fondamentali dello stato (legislativo, esecutivo, giudiziario); il capo dello Stato, infatti, è posto al di sopra delle parti e non svolge alcuna funzione attiva nella determinazione e nell’attuazione dell’indirizzo politico del Paese. Come viene nominato il Governatore della Banca d’Italia: “L'articolo 19, comma 8, della Legge 28 dicembre 2005, n. 262 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari) afferma che la nomina del governatore è disposta con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d'Italia. Il procedimento si applica anche per la revoca del governatore. La sua carica, fino al 2005 senza limite di mandato, dura sei anni, rinnovabile una sola volta (art. 19 L. 262/2005). Anche per gli altri membri del Direttorio il mandato dura 6 anni ed è rinnovabile una sola volta (art. 25 e 26 Statuto della Banca d'Italia, 2006).” Ciò premesso per conoscenza e a futura memoria risalta un punto fondamentale nell’azione del PD: il partito risulta sulla materia totalmente incompetente. Stesso rilievo per l’azione del M5S, con una differenza politica determinante: il M5S è gruppo parlamentare d’opposizione; il PD principale gruppo parlamentare di governo per tutta questa legislatura, sia con il governo Letta, con quello Renzi e adesso Gentiloni): quello del superamento dei ruoli istituzionali fornendo – attraverso la ormai celeberrima mozione (pur tempera dall’intervento in extremis del governo. PD e M5S hanno quindi svolto un atto politico posto del tutto al di fuori dai propri compiti attuando una vera e propria proditoria “invasione di campo”. Tutta questa valutazione risulta valida, ovviamente, se si crede nell’impalcatura istituzionale prevista dalla Costituzione e dalle leggi. Questo rispetto non è evidentemente patrimonio della maggioranza del PD e del M5S e le famosa mozioni, nella loro sostanza risultano eversive, come hanno già fatto notare molti commentatori. La mozione del PD, infatti, è stata ben spiegata in un’intervista dal presidente del partito Orfini: “ si trattava di riprendere sintonia con il popolo”. Quindi una questione di dialogo diretto tra il Partito e il suo Capo allo scopo di acquisire –ri acquisire consenso. La centralità del Parlamento si esercita in maniera affatto diversa, recuperando il ruolo – perduto – della rappresentatività politica ed esprimendo, in quella sede, il punto più alto della volontà dei settori sociali e delle istanze ideali rappresentate. Il punto trascurato da tutti o quasi, allora, è quello che al di là del merito la maggioranza del PD non si è scostata dal modello istituzionale che aveva cercato di imporre con la modifica della Costituzione, proposta e approvato dal Parlamento ma respinta seccamente dal voto popolare nel referendum confermativo e con la legge elettorale “Italikum” approvata dal Parlamento attraversato reiterati di voti di fiducia (al governo Renzi) e poi smontata dalla Corte Costituzionale. Si tratta del modello a “vocazione totalitaria” che non prevede l’alternanza e il ruolo dei partiti, ma esalta il ruolo del Capo che appunto dialoga con le masse, legifera direttamente (con il Parlamento ridotto a un ruolo di mera ratifica) sulla base di un progetto di crescente acquisizione del consenso (si direbbe in forma meramente populistica) e con il partito di maggioranza (assoluta, tramite premi elettorali abnormi) utilizzato soltanto come canale di approvazione dell’operato del Capo stesso e di megafono propagandistico (come abbiamo visto del resto nel comportamento dei singoli nel corso di queste ultime tormentate vicende). Il tutto non solo risulta molto pericoloso per la democrazia, almeno per chi crede ancora alla divisione e al bilanciamento dei poteri, ma in clamorosa minoranza nel Paese come ha dimostrato il già richiamato esito del voto del 4 dicembre 2016. Purtroppo questo modo d’agire mette la sordina al disastro delle banche italiane, capaci di accumulare – per scelte massimamente di tipo clientelare – centinaia e centinaia di miliardi di crediti deteriorati, di mandare in crisi i risparmi di altre centinaia di migliaia di risparmiatrici / ori , di rimettere in evidenza le solite “liaisons dangereuses” tra finanza, politica, logge più o meno segrete. Non a caso l’operazione compiuta in Parlamento da PD e M5S si rivolge esclusivamente al tema delle nomine, dopo che è stata costituita una Commissione bicamerale “ad hoc” che non ha ancora praticamente cominciato a lavorare e che dovrebbe esaminare un dossier di 4.200 pagine elaborato proprio dal contestato Governatore uscente (senza dimenticare metodo e merito nella nomina del presidente di detta Commissione) Il tema istituzionale comunque rimane centrale e suscita un gravissimo allarme: anche perché questo comportamento rivela ancora una volta il massimo dispregio della volontà popolare. Del resto da un partito come il PD che con il 25% dei voti pretendeva di assicurarsi il 55% dei seggi in un sistema praticamente monocamerale c’era poco di diverso da aspettarsi. Il tema, alle fine, in questo caso è semplicemente quello di una antidemocratica voracità del potere che pare accomunare quelli che , sulla carta, si presentano come i due maggiori partiti italiani: alle loro spalle c’è il vecchio centro – destra, non solo antesignano della linea del Capo che “unto dal signore” si fa seguire da masse plaudenti e sognanti la “rivoluzione liberale” promessa nel 1994, ma anche ricolmo di pulsioni razziste e fasciste. Insomma: c’è poco da stare allegri, anzi niente.

IMF: higher taxes for rich will cut inequality without hitting growth - Sbilanciamoci.info

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Non è lavoro, è sfruttamento - Sbilanciamoci.info

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Da Carniti lettera aperta a CGIL, CISL e UIL - Sbilanciamoci.info

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giovedì 19 ottobre 2017

The Austrian elections: Kurz, the far-right and Europe's future

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"We have seen seven years of austerity in Europe" – Corbyn speech in Brussels | LabourList

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Dieci anni dopo, richiamarsi all’Ulivo è peggio che mai « gianfrancopasquino

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A Real Alternative To Neoliberalism

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Con Xi la Cina diventa “forte”: Il rapporto di Xi Jinping all’apertura del XIX Congresso nazionale del Partito | Global Project

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L'INTERVISTA / Bertinotti: "La sinistra rinasce su un terreno radicale, non puntando al governo" - Eunews

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Rapporto Ocse. Nell'Italia che invecchia crescono le diseguaglianze - Eddyburg.it

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Social Democracy Key to Deepening Europe's Democracy

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Salari, sinistra e sindacato – Strisciarossa

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martedì 17 ottobre 2017

L'INTERVISTA / Gianni Pittella: Dobbiamo riscoprire il valore delle parole "socialismo" e "sinistra" - Eunews

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Quante spine nel Rosatellum | P. Balduzzi

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Franco Astengo: Riformisti2

RIFORMISTI 2 di Franco Astengo Questi sono i risultati dell’Italia dei presunti “riformisti”, dell’ alternanza, delle larghe e piccole intese, dei cosiddetti “tecnici”, dell’affannosa ricerca della “leadership”, dei “partiti personali”, dei sindacati “concertativi”, dell’ “europeismo bancario”, del “federalismo”, della “devolution”, della rottamazione e dei “vaffa Day” e soprattutto del “modello Marchionne” “ La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno. In una fase in cui le banche italiane si stanno faticosamente liberando dalle sofferenze, la BCE le ha trasformate in una bomba a orologeria. Nei giorni scorsi l’Autorità di Vigilanza guidate da Daniele Nouy ha fatto sapere che dall’anno prossimo i “non performing loans” verranno automaticamente svalutati a scadenze diverse”. Nel frattempo, solo per esempio, spulciando dalle notizie degli inserti economici dei grandi quotidiani: “ Banca BpM, quarta banca italiana per volumi di crediti deteriorati, prepara la prossima grande operazione del sistema: la vendita a fondi specializzati di un grosso blocco di (attenzione alla terminologia, n.d.r.) attivi problematici, da concludere a inizio 2018. La banca cercherà di cederne almeno per un valore teorico di tre miliardi di euro (altra nota n.d.r.: si ricorda che l’intera manovra finanziaria per il 2018 è di 20 miliardi dei quali 10 dedicati a impedire lo scatto della salvaguardia dell’IVA. Così tanto per dare idea dell’entità di grandezza) ma, se gli acquirenti e i prezzi lo consentiranno, conta di arrivare a sei” Questo piazzare cosa significa ? Un altro esempio: “ Unicredit in luglio ha piazzato portafogli (attenzione anche in questo caso ai termini usati) di “prestiti mediocri o cattivi ai fondi Fortress e Pmico per 17,7 miliardi (si ricordano ancora le cifre della manovra finanziaria per il 2018) di valore nominale, vorrebbe chiudere l’anno superando la soglia dei 20 miliardi. Intanto: “ Il FMI stima che le banche si siano liberate di queste posizioni per 65 miliardi solo nel 2017 ( anche se quelle di Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Monte dei Paschi per 36 miliardi sono state segregate e non vendute) Dove piazzano Fortress e Pmico i crediti deteriorati? Crediamo sia ben noto: li infilano, utilizzando il metodo cosiddetto “salsiccia” in fondi di investimento che poi vengono piazzati sul mercato dalle banche tramite agenzie i cui dipendenti si trovano costretti a prendere per il collo poveri correntisti costringendoli, a seguito di mirabolanti promesse, ad acquistare i fondi stessi, oppure li inseriscono come condizione per erogare prestiti a persone in cerca di mutuo per la casa o per portare avanti qualche piccola attività. Così i puffi derivanti dall’elargizione di credito con metodi clientelari a speculatori sempre capaci di cavarsela (vedi CARIGE) sono pagati dai piccoli risparmiatori, correntisti, azionisti. Si ricorda ancora, sempre avendo come fonte per quel che riguarda le cifre i grandi quotidiani: “Il valore nominale degli “attivi problematici” resta di circa 240 miliardi (12 manovre finanziarie n.d.r.)” (con l’interrogativo che rimane: quanto c’è, in tutto questo, di subprime acquistati dalla Pubblica Amministrazione, Stato ed Enti Locali?) Su tutto questo ambaradan pesano sia le nuove disposizioni della BCE cui si è già accennato, sia la fine del Quantitative Easing che per la BCE si verificherà nel 2018. A questo punto è possibile sviluppare alcune considerazioni: 1) Ricordare la stretta connessione tra politica e sistema bancario in tutte le rispettive articolazioni, a partire dal fatto che questo governo si regge sull’appoggio diretto di parlamentari “transeunti” diretta espressione di una parte molto “particolare” di questa connessione (la cosiddetta “finanza toscana”.) 2) Ricordare a tutti come risalti l’assenza totale del ruolo di vigilanza della Banca d’Italia 3) Ricordare come il tutto sia avvenuto in una fase di trasformazione dell’economia nel senso della finanziarizzazione (ambito della crisi mondiale ) e di complessiva diminuzione della presenza dell’industria produttiva nel nostro Paese, soprattutto dal punto di vista dell’espressione di know – how sul terreno dell’innovazione Il presunto “riformismo” italiano si è così mosso tra privatizzazioni, sia nell’industria, sia nel sistema bancario, producendo quello che può ben essere definito un vero disastro come ben dimostrano le cifre fin qui elencate e come si ravvede dai dati della disoccupazione, della crescita delle disuguaglianze, dalla sparizione di quel che rimaneva di un raccogliticcio welfare state. Non si ravvedono segnali di svolta:anzi proprio il governo Renzi, precedente a quello Gentiloni, mentre sbandierava presunti proclami di guerra a livello europeo ed elargiva mance a pioggia (80 euro) e facilitazioni allo sfruttamento (job act) ha sicuramente contribuito ad aggravare la situazione già fortemente problematica come espressione, visibile a livello “fisico”, di quella connessione perversa tra sistema politico e sistema bancario (per via di congregazioni e logge più o meno occulte) come si è cercato di dimostrare anche in questa occasione.

Fuori dal tunnel? Cosa si nasconde nelle pieghe della ripresa dell’economia italiana - Menabò di Etica ed Economia

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Legge elettorale e assetto istituzionale. Una questione di democrazia - Menabò di Etica ed Economia

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lunedì 16 ottobre 2017

The middle classes, the metropolitan left and where Labour's vote is coming from | LabourList

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Democratic Socialists of America: The left establishment is incapable of mounting an effective attack against Trump | LabourList

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National Fiscal Flexibility: EU Parliament Plans a Big Step Backwards

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Lavoro precario, globalizzazione e populismo | Economia e Politica

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Elezioni: l'Austria va a destra? | ISPI

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Due note su legge elettorale e su Pd e giovani...

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SERGIO CESARATTO - La sinistra non abdichi alle proprie responsabilità » LA PAGINA DEI BLOG - MicroMega

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Sinistra unita: egemonia della società civile o di Bersani, D’Alema, Fratoianni ecc.? - micromega-online - micromega

Sinistra unita: egemonia della società civile o di Bersani, D’Alema, Fratoianni ecc.? - micromega-online - micromega

Franco Astengo: Riformisti pre-elettorali

RIFORMISTI PRE – ELETTORALI di Franco Astengo L’attenzione del mondo politico sembra tutta rivolta verso la nuova (ennesima) legge elettorale, ma questi sono anche i giorni della manovra finanziaria. La legge di bilancio , arrivata in Consiglio dei ministri, consiste in circa 20 miliardi di cui 15,7 usati per impedire l’aumento dell’IVA dal primo gennaio prossimo: dieci miliardi saranno assicurati dalla crescita del deficit. Una manovra al ribasso ben oltre le dichiarazioni del governo tutte improntate all’ottimismo pre – elettorale. Una manovra che si situa in una situazione di indicatori economici che collocano l’Italia alla coda dell’UE, per un Paese sempre più in difficoltà sul terreno cruciale della struttura industriale. Un editorialista di un grande quotidiano, ad esempio, ritorna sul tema spinoso della siderurgia ricordando come l’UE ponga all’Italia il tetto dei 6 milioni di tonnellate di produzione annua soltanto per lo stabilimento di Taranto, mentre l’Italia importa dalla Cina e dall’Iran circa 20 milioni di tonnellate annue di prodotto. In questa situazione la siderurgia italiana, dopo il disastro delle privatizzazioni, è abbandonata agli stranieri e i nuovi acquirenti di Arcelor – Mittal (indiani) hanno disdetto unilateralmente gli accordi economici sulla riassunzione di 9.000 dipendenti su 14.000 attualmente impiegati, con il profilarsi quindi di circa 5.000 cosiddetti “esuberi”. Soltanto per fare un esempio tra i tanti che si potrebbero evidenziare, non dimenticando però economia sommersa, evasione fiscale (111 miliardi nel 2016), corruzione, criminalità organizzata in espansione proprio sul piano del riciclaggio attraverso investimenti economici in diversi settori di interesse pubblico. Tornando alla manovra restano da sottolineare due elementi, misconosciuti e comunque che si cercherà di tenere nascosti in campagna elettorale e che ci indicano come le cifre sbandierate siano tutte perlomeno “sub judice” se non valutabili direttamente come fasulle: 1) La questione che s’intende sottolineare oggi riguarda l’evidente sottovalutazione che, per ragioni di pur propaganda, il governo italiano sta esercitando rispetto alla prossima fase conclusiva del Q.E. L'exit strategy coinvolgerà la Bce - dove il Qe dovrebbe finire l'anno prossimo - e poi la Bank of England, la Bank of Japan, e in misura minore la Riksbank svedese e la Swiss National Bank. In tutto, le banche centrali deterranno alla fine di quest'anno buoni e obbligazioni per 15mila miliardi di dollari, dei quali 9mila in governament bond, in media un quinto del debito pubblico dei Paesi interessati. Anzi, in diversi casi ancora di più, tanto da avvicinarsi al limite del 33% del debito pubblico scritto nello statuto sia della Bce sia della Fed (per evitare che una banca centrale finanzi direttamente un Paese). Come si muoverà l’Italia di fronte all’emergenza che sarà posta dalla necessità di smaltire questa enorme massa di denaro? 2) Pendono anche altre due spade di Damocle oltre a quella della chiusura del Q.E, rappresentate dalle due tranche di clausola di salvaguardia IVA ancora in sospeso da 11,4 miliardi nel 2019 e da 19,2 miliardi nel 2020. Immaginatevi il peso dell’esercizio effettivo di queste clausole (per adesso si tratta di cambiali in scadenza soltanto rinviate) sull’intera economia. Insomma, una situazione che si preannuncia molto complicata (per usare un eufemismo) sul piano economico e che viene tenuta sotto traccia da un governo di basso profilo che ha prodotto soltanto la continuità con i “bluff” del governo procedente. “Bluff” i cui esiti disastrosi si sta cercando soltanto di rinviare nel tempo. Sia chiaro: la situazione di cui ci stiamo occupando presenta aspetti che con il riformismo (quello che proprio è andato in crisi definitiva nel corso degli ultimi anni) non ha nulla a che vedere proprio perché avvitata attorno ad un pericoloso illusionismo pre – elettorale prodotto dal cumularsi di frottole raccontate nel tempo :80 euro, job act, buona scuola, alternanza scuola /lavoro, APE sociale e quant’altro. In agguato gli estemporanei improvvisatori del M5S (sempre pronti ad una marcia indietro rispetto alle loro sparate di stampo prettamente democristiano) oppure l’eterno ritorno del “sempre uguale” della destra della quale sembrano essere state dimenticate le enormi responsabilità nello stato di cose in atto.

Alain Badiou: Tredici Tesi e qualche commento sulla politica mondiale

Alain Badiou: Tredici Tesi e qualche commento sulla politica mondiale

venerdì 13 ottobre 2017

Franco Astengo: La Camera e la legge elettorale

LA CAMERA E LA LEGGE ELETTORALE di Franco Astengo La Camera dei deputati ha appena approvato la nuova legge elettorale mista maggioritario / proporzionale con il voto automaticamente trasferito da una parte all’altra della scheda senza possibilità di disgiunzione (almeno così può essere definita tecnicamente). Il testo adesso passa al Senato dove probabilmente il percorso sarà molto più complicato di quanto non sia avvenuto nella Camera bassa. Non è questo però il punto da rimarcare in questo frangente. Piuttosto dall’ascolto del dibattito è emerso un elemento da rimarcare: l’assoluta strumentalità dei passaggi di ricostruzione storica al riguardo delle vicende relative alla legge elettorale che si sono ascoltati nei vari interventi. Nessuno ha ammesso le gravi responsabilità che le forze politiche hanno accumulato su questo delicato terreno contribuendo ad una vera e propria caduta di credibilità dell’intero sistema e alla rilevante flessione fatta registrare nella partecipazione elettorale, indicatore di una vera e propria crisi democratica che attanaglia il Paese. Un parlamento che ha approvato di seguito due leggi elettorali entrambe bocciate dalla Corte Costituzionale, a cui si è avuto accesso soltanto grazie al generoso impegno di un gruppi di cittadine e cittadine e non certo grazie all’operato di chi questa sera ha in maniera roboante rivendicato quell’esito. Questa legge per ora parzialmente approvata da un solo ramo del Parlamento presenta nel suo testo ancora i principali elementi per i quali per ben due volte la Corte Costituzionale ha bocciato i precedenti testi del cosiddetto Porcellum nel 2014 e dell’altrettanto cosiddetto Italikum nel 2017. Una continuità che si esplicita essenzialmente su di un punto preciso; quello del Parlamento dei “nominati”. Era proprio la continuità del “Parlamento dei Nominati” la questione che interessava alle forze politiche che hanno trascurato perfino la tanto decantata governabilità, oltre ad ignorare – come accade da tempo – quell’elemento della rappresentatività politica che pure rappresenta l’indicazione più rilevante presente, sulla materia, nella Costituzione Repubblicana. Il trasferimento automatico del voto dal candidato uninominale a quello dei listini bloccati nel proporzionale rappresenta infatti il meccanismo concreto perché sicuramente i 2/3 dei componenti delle future Camere siano semplicemente indicati dall’alto senza alcuna possibilità di scelta da parte delle elettrici e degli elettori. La quota dei nominati risulterà comunque sicuramente più elevata dei 2/3, al di là delle fole sul collegio uninominale e la vicinanza tra eletto ed elettore (davvero una favola incredibile) con un bel numero di “paracadutati” nei tanti collegi considerati “sicuri” nella apparente contesa tra le diverse forze politiche. Nel caso malaugurato di approvazione definitiva della legge aspettiamo con ansia il disegno dei collegi che, detto per inciso, è stato delegato al governo nel testo della legge. Sicuramente nell’esaminare i dettagli dei confini dei singoli collegi ci sarà di divertirci, come già accadde nel Mattarellum. In sostanza ci sono tutte le ragioni per continuare la battaglia contro il “Parlamento dei nominati” in ogni sede, dentro e fuori il Parlamento. Infine qualcuno dovrebbe ricordare a queste signore e signori che con apparente passione discettano di “democrazia” e “interesse del Paese” che non sono mai stati eletti da nessuno e che la loro temporanea posizione di parlamentari deriva dal dato di promessa fedeltà d a qualche cordata interna alle varie consorterie politiche che hanno semplicemente deciso una certa posizione piuttosto di un’altra all’interno di una lista la cui esatta composizione è stata letta per intero da una quota sicuramente minoritaria di elettrici ed elettori. Un Parlamento delegittimato dalla Corte Costituzionale ha tentato di modificare la Costituzione ( e qui ci hanno pensato le espressioni voto “vero”) e hanno varato ben due leggi elettorali: la prima smontata dalla Corte Costituzionale, la seconda di vedrà.

mercoledì 11 ottobre 2017

Alberto Benzoni: Sinistra: dieci modesti consigli - nuovAtlantide.org

Sinistra: dieci modesti consigli - nuovAtlantide.org

L'indipendenza della Catalogna divide anche la sinistra europea - Eunews

L'indipendenza della Catalogna divide anche la sinistra europea - Eunews

Note sulla "trappola catalana" - Pandora Pandora

Note sulla "trappola catalana" - Pandora Pandora

Fabian Society » Corbyn’s effect

Fabian Society » Corbyn’s effect

Pasquino: legge elettorale, cattiva politica senza governabilità - nuovAtlantide.org

Pasquino: legge elettorale, cattiva politica senza governabilità - nuovAtlantide.org

Hungarian Social Democrats Take Fight To Orban

Hungarian Social Democrats Take Fight To Orban

Nobel Economia 2017: Thaler e le contraddizioni della “spinta gentile” - micromega-online - micromega

Nobel Economia 2017: Thaler e le contraddizioni della “spinta gentile” - micromega-online - micromega

The Solution Is Redistribution

The Solution Is Redistribution

Felice Besostri: Emergenza democratica

EMERGENZA DEMOCRATICA La discussione in aula è iniziata male. Tempi ed emendamenti contingentati, non ammissione delle questioni i pregiudiziali di costituzionali in nome di una prassi regolamentare, applicata senza criterio di merito che si tratta di una legge elettorale a rischio di incostituzionalità. Dobbiamo tenere presente che abbiamo una presidente, che ha concesso il voto di fiducia sull’Italikum: un precedente inquietante, dopo la fiducia sulla legge Acerbo nel 1923 e sulla legge Truffa nel 1953, ma quest’ultima con una differenza il Presidente che la concesse Paratore fece mettere a verbale che era un “NON PRECEDENTE” ed ebbe il coraggio civile di dimettersi e non aspirare più a incarichi politici. Ora sembra più sicura una riproposizione della questione di fiducia, un secondo precedente grave: la prima volta la Presidente poteva invocare la sua inesperienza di deputata di prima nomina, ora non più. Anche il Governo Gentiloni esce dalla sua iniziale proclamata neutralità. Non si può consentire che passi per una procedura ordinaria e normale, come richiesto dall’art. 72.4 Cost., contrariamente all’opinione di una grande, autorevole e sincera democratica Presidente della Camera, come Nilde Iotti, che nel 1980 definì procedura speciale l’iter legislativo, quando fosse posta la fiducia. L’illegittimità della procedura di approvazione è stata posta in luce come primo motivo nei 22 ricorsi, presto 23, proposti dagli avvocati antitalikum, ora occorre come implicitamente auspicato dalla Corte Costituzionale, quando non ha ammesso l’autorimessione sul punto, che un giudice la rimetta alla Corte Costituzionale in una delle prossime udienze.. Malgrado le autorevoli opinioni dei prof. Onida e Ainis il Rosatellum 2.0 è incostituzionale, ma sono nascoste meglio in norme particolari. Le liste corte che servono a far eleggere i candidati uninominali in collegi perdenti, ma pluricandidati nelle liste proporzionali , sono un formale omaggio ad un passaggio secondario della sentenza n. 1/2014. Lo scopo è di arrivare ad approvare la legge elettorale e sciogliere la Camere subito dopo il DEF, per votare al riparo di decisioni della Consulta, contando sulla rassegnazione del Presidente della Repubblica. Si deve impedirlo e ci sono strumenti per farlo in tempi brevi, basta assumersi la responsabilità di non lasciare nulla di intentato: la Costituzione non può essere violata in nome dell’autodichia del Parlamento, come se le norme regolamentari, dopo la caduta di quelle elettorali, siano l’ultima zona sottratta al controllo di costituzionalità. Nei gruppi parlamentari di opposizione e tra i giuristi e gli stessi funzionari parlamentari, fedeli alla Costituzione, ci sono le risorse e le competenze per sperimentare tutte le forma di tutela della Costituzione. Basta chiamarli a raccolta.. Felice C. Besostri

Franco Astengo: LA FIDUCIA SULLA LEGGE ELETTORALE: UNO SFREGIO ALLA DEMOCRAZIA REPUBBLICANA

LA FIDUCIA SULLA LEGGE ELETTORALE: UNO SFREGIO ALLA DEMOCRAZIA REPUBBLICANA di Franco Astengo La ministra per il Rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro, ha posto nell'Aula della Camera la questione di fiducia sulla proposta di legge di riforma elettorale nel testo licenziato dalla commissione Affari costituzionali. Si tratta di un atto inaccettabile sul piano democratico, un vero e proprio sfregio che arriva dopo tante dichiarazioni al vento che indicavano il senso di responsabilità, l’esigenza di una legge elettorale condivisa, non votata a maggioranza ristretta e – in ossequio anche a indicazioni provenienti dalla tanto celebrata Europa – non approvata in chiusura di legislatura. La legge proposta, inoltre e prioritariamente ripropone per l’ennesima volta (nonostante due bocciature della Corte Costituzionale alle leggi precedenti) un parlamento composto in gran parte di nominati. Avremo i “paracadutati” nei collegi che, grazie al voto unico obbligato, trascineranno i listi bloccati nella parte proporzionale. Questo Rosatellum 4.0 appare, ancor più dell’Italikum e del Porcellum, l’emblema dell’improvvisazione opportunistica che anima questo ceto politico. Assomiglia al cocktail mal riuscito in un bar di periferia: una spruzzata di maggioritario, due gocce di proporzionale, mescolare forte con una buona dose di liste bloccate. Un ceto politico incapace di vedere il tema delicatissimo della formula elettorale in una necessaria visione sistemica. Esistono infatti, in materia di legge elettorale, due grandi famiglie : quella del proporzionale e quella del maggioritario. Com’è ben noto al colto e all’inclita la destinazione di viaggio delle due famiglie è assolutamente diversa: quella del proporzionale si dirige verso la rappresentanza politica tenendo conto di tutte le “sensibilità” presenti in una qualche consistenza numerica; quella del maggioritario punta sulla stazione della “governabilità” tendendo – tutto sommato – a una vocazione presidenzialista, quella del governo eletto dal popolo (la famosa frase: “la sera delle elezioni si deve già sapere chi ha vinto per i futuri 5 anni”). Premesso che la Costituzione italiana è molto chiara su questo punto indicando come l’elettorato elegga il Parlamento e non il Governo e che proprio per questa ragione nell’assemblea Costituente prevalse l’idea della formula proporzionale (corretta, rispetto al proporzionale puro) . Questo orientamento mi pare dovrebbe essere rigidamente mantenuto proprio in ossequio alle radici più profonde ed essenziali della nostra democrazia repubblicana. Quello che francamente non si capisce al giorno d’oggi è il perché i nostri pasticcioni (non troppo simpatici, per la verità) non si addentrino al cuore della questione scegliendo, nei due campi, i sistemi più chiari e trasparenti allo scopo di favorire la scelta dell’elettorato. Se si pensa al maggioritario esistono due formule ben sperimentate: 1) Quella in uso nelle isole britanniche del collegio uninominale a turno unico; 2) Quella in uso in Francia del collegio uninominale a doppio turno (beninteso a doppio turno e non ballottaggio che invece si adopera nell’elezione diretta del Presidente della Repubblica). Vale la pena ricordare che Gran Bretagna e Francia non sono due democrazie parlamentari, bensì l’una una monarchia costituzionale, l’altra una repubblica presidenziale a regime di semi – presidenzialismo (a differenza degli USA in Francia, infatti, le figure del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio appartengono a due persone diverse). Nel caso, auspicabile, di una scelta verso il sistema proporzionale la formula meglio collaudata è sicuramente quella italiana usata tra il 1948 e il 1992: formula che ha garantito, attorno ad un partito pivotale come la DC, la governabilità (in quei oltre quarant’anni furono mutate soltanto tre formule di governo: centrismo, solidarietà nazionale per un brevissimo periodo, centro – sinistra con allargamento finale al pentapartito) contenendo sia un premio per i partiti più grandi sia un meccanismo d’esclusione per le frazioni insignificanti. Può essere preso in considerazione anche il sistema tedesco che però contiene un mix di maggioritario e proporzionale e una clausola d’esclusione abbastanza alta per consentire una rappresentanza adeguata. Si ricorda che in Germania il numero dei partiti presenti al Bundestag è mediamente di 4/5 (SPD, CDU – CSU, Liberali, Verdi, Linke forse si aggiungerà l’estrema destra) mentre alla Camera Italiana tra il 1948 e il 1987 erano presenti mediamente 7/8 formazioni politiche senza contare le micro – rappresentanze etniche. Nulla di straordinario quindi sia dal punto di vista della concentrazione della rappresentanza, sia della sua frammentazione, in un caso e nell’altro. In questo momento però non è il momento di indicare formule ma di ricordare con forza il principio fondamentale del valore sistemico e non episodico – strumentale della scelta del meccanismo di traduzione dei voti in seggi e della necessità di una scelta chiara: proporzionale o maggioritario. Mattarellum, Porcellum, Italikum, Rosatellum: oltre il latino maccheronico pessime prove di soluzioni surrettizie della volontà popolare che si reiterano pericolosamente nel tempo. La soluzione di porre la fiducia sulla legge che stabilisce la formula elettorale è di tale inaudita violazione della democrazia repubblicana da meritare immediatamente l’espressione di una forte opposizione ben oltre la stessa – pur necessaria –dimensione parlamentare. Certamente non sono più i tempi nei quali si scioperava per la legge elettorale: “Il 20 gennaio 1953 la CGIL proclamò uno sciopero generale e in piazza la polizia fu costretta ad intervenire con gli idranti per evitare il precipitare della situazione. In uno di questi scontri rimase contuso fra gli altri anche il deputato comunista e direttore de “l’Unità” Pietro Ingrao. Numerosi furono gli arresti”. Si trattava della legge cosiddetta “truffa” che poi non scattò alle elezioni politiche del 7 giugno 1953 per circa 50.000 voti. Una legge sicuramente più democratica e meno truffaldina di quelle escogitate ai giorni nostri. Altri tempi appunto..

sabato 7 ottobre 2017

Dare un senso nuovo alla parola “internazionalismo” | Left

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Basta con le leggi elettorali pensate per zittire gli elettori - Eddyburg.it

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Una tesi sulla sinistra - Eddyburg.it

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Portogallo. I socialisti vincono le amministrative | Avanti!

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“Ius soli, subito la legge”. L'appello dei docenti universitari - micromega-online - micromega

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Marco Marzano: La crisi del socialismo europeo

Dall'Eco di Bergamo, 30 settembre 2017 La pesante sconfitta dell’SPD in Germania rappresenta l’ennesima conferma della crisi profonda del riformismo socialista europeo. Quello che si sta chiudendo è un lungo ciclo storico iniziato negli anni Cinquanta del secolo scorso e contraddistinto dalla capacità del movimento socialista di governare a lungo e con successo le società occidentali capitaliste. I fattori che, soprattutto in Germania, indussero il movimento socialista ad imboccare questa via furono essenzialmente due: la strabiliante crescita delle economie capitalistiche nei decenni seguiti alla fine del secondo conflitto mondiale e l’universale popolarità della cultura della programmazione e dello statalismo, la simpatia diffusa verso la robusta redistribuzione egalitaria della ricchezza che solo la mano pubblica avrebbe potuto garantire. Rimanere legati al marxismo e alla sua vena apocalittica e catastrofistica in quel contesto sarebbe equivalso, questo pensarono i dirigenti socialdemocratici tedeschi alla fine degli anni Cinquanta, ad un autentico suicidio politico, alla rinuncia perpetua ad assumere ruoli di governo. Quando, alla fine degli anni Settanta, la situazione è cambiata e la cultura della regolazione politica dell’economia ha iniziato a cadere in disgrazia, i partiti socialisti europei si sono ovunque riciclati, dopo un periodo di opposizione più o meno lungo, in una versione completamente post-ideologica basata su una diagnosi che potremmo riassumere così: le società occidentali ad economia di mercato, se ben governate, sono destinate ad una crescita senza limiti, nel corso della quale spariranno tutte le antiche distinzioni di classe e si formerà un immenso ceto medio, composto da persone mediamente colte e mediamente abbienti. Questo grande blocco sociale sarà relativamente compatto dal punto di vista degli interessi materiali e quindi chiederà sostanzialmente una sola politica economica e sociale, quella garantita dall’espansione e dalla libertà dei commerci, dallo sviluppo dei sistemi di istruzione e delle opportunità di mobilità sociale. Le uniche divisioni che persisteranno saranno quelle relative ad alcune opzioni culturali, soprattutto quelle che riguardano l’espansione o la contrazione dei diritti civili delle minoranze, l’accoglienza dei migranti, l’apertura al multiculturalismo, etc. In questo quadro, i socialisti rappresentavano se stessi come i migliori rappresentanti delle componenti più avanzate, progressiste e “riflessive” del grande ceto medio europeo. Di qui, le battaglie sul matrimonio degli omosessuali, sul fine vita, sulle droghe leggere, eccetera. Il dominio che insomma veniva messo ai margini in questa rassicurante e ottimistica visione dello sviluppo delle nostre società era quello che un tempo fu centralissimo e prioritario: ovvero quello dell’economia. In questo campo, le scelte non potevano essere divisive, dal momento che gli interessi di classe di tutte le componenti del grande ceto medio unificato erano sostanzialmente identici. Questa diagnosi, che in Italia abbiamo conosciuto già dai tempi del PSI di Bettino Craxi, ha esaurito oggi la sua validità. Per effetto non solo della crisi, ma anche del mostruoso ampliamento delle diseguaglianze sociali, il ceto medio si è ridotto di dimensioni e riempito di paure, di angosce relative al futuro. L’insicurezza sociale derivata dalla violenta americanizzazione dei nostri sistemi sociali è dilagata al punto da affliggere anche l’elettorato del grande Paese più ricco e sviluppato del continente, appunto la Germania. Siamo lontani dall’immiserimento di massa delle profezie marxiane, ma siamo dentro una situazione sociale nella quale la botola verso il precipizio pare sempre aperta e il vertice, la zona della sicurezza esistenziale, sembra completamente irraggiungibile, appannaggio di un élite sempre più ridotta e invisibile. Il rinascimento socialista, se mai avverrà, deve fare i conti con questa nuova realtà. Forse il tempo non è ancora scaduto.

Franco D'Alfonso: Città metropolitana

Oggi siamo riusciti a scrivere il numero "zero" nella casella del deficit di previsione 2017 della Città Metropolitana di Milano. Soprattutto, abbiamo potuto mantenere, come annunciato dal sindaco Beppe Sala, in servizio 33 persone precarie da oltre dieci anni e far ripartire le procedure di bando per i lavori di manutenzione su scuole e strade, finanziate da anni e bloccate dai meccanismi delle varie finanziarie. Come delegato al bilancio dovrei essere contento del risultato ed in parte effettivamente lo sono per i lavoratori che non hanno perso il posto di lavoro, per il servizio ai cittadini che prosegue, per la collaborazione e la fiducia di dirigenti e lavoratori tutti della Città Metropolitana senza i quali non sarebbe stato nemmeno immaginabile riuscirvi. Ma non posso non vedere come questo risultato non corra il serio rischio di restare, come altri, fine a sè stesso ed inutile al fine di dare prospettiva politica ed istituzionale ad un nuovo ente che tutti blaterano essere "fondamentale" e nessuno, tranne quanti vivendoci all'interno sono presi da Sindrome di Stoccolma, invece considera realmente rilevante. Nessuno, a partire dal Governo per proseguire con la Regione, i partiti politici (tutti, destra, sinistra, centro, alternativi, senza distinzione) e perfino i Comuni, non hanno nemmeno provato, fino ad ora, a dare seguito politico alle parole dette per lo più in favore di taccuini e telecamere. Lo "schwarz null" mi fa sentire per un giorno come un piccolo Schauble, ma il ritorno allo stato di Paperino è già per domattina... Franco D'Alfonso

Labour has a once-in-a-generation opportunity, and the Tories know it | Larry Elliott | Opinion | The Guardian

Labour has a once-in-a-generation opportunity, and the Tories know it | Larry Elliott | Opinion | The Guardian

martedì 3 ottobre 2017

Def, tagli alla spesa pubblica e sostegno al PIL | Avanti!

Def, tagli alla spesa pubblica e sostegno al PIL | Avanti!

Falcone: andiamo avanti con il programma e non entriamo nelle polemiche sul leader - nuovAtlantide.org

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Moneta legale o moneta bancaria? | Economia e Politica

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Social Democracy Is Good. But Not Good Enough - Democratic Socialists of America

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Come Attlee e la Thatcher prima di lui, Corbyn trasformerà completamente la Gran Bretagna – L'Argine

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“Un nuovo senso comune”: il discorso di Jeremy Corbyn alla conferenza annuale del Labour – L'Argine

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La flessibilizzazione del mercato del lavoro francese secondo Macron - Menabò di Etica ed Economia

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I problemi di lungo periodo dello sviluppo economico italiano - Menabò di Etica ed Economia

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Germany: What Happens Next?

Germany: What Happens Next?

Paolo Bagnoli: Apprendere dalla lezione tedesca

apprendere dalla lezione tedesca paolo bagnoli Da Non Mollare Era naturale che l’esito delle elezioni tedesche fosse atteso con particolare trepidazione. Le interpretazioni che di esso sono state date oramai si sprecano, ma in fondo, a ben vedere, se terremoto è stato, esso era in qualche modo nell’aria compresa la frana più grande e preoccupante: vale a dire, quella dei socialdemocratici che rischia, se non vengono prese iniziative strategiche di peso, di divenire strutturale. Certo che l’entrata in Parlamento della destra nazionalista e xenofoba è un dato più che preoccupante, ma se di populismo si tratta, come tutti dicono, la politica democratica è nelle condizioni di piegarla. Crediamo che possa trattarsi di un episodio grave e inquietante considerata la storia della Germania; ma solo di un episodio la cui soluzione non si può rimandare in toto e in esclusiva all’Europa perché, per prima, alla prova è messa la Germania stessa. Essa, da grande democrazia quale è, non può più avere timori nel fare i conti con se stessa; quei conti che con la riunificazione andavano reimpostati e riaggrediti. La Spd è, di par suo, messa a una prova vera e dura. Il cambio del leader alla soglia delle elezioni ha dimostrato che gli uomini politici pesano se hanno delle idee e netti profili identitari. Non ci sembra, sinceramente, che Martin Schulz avesse nemmeno uno di questi requisiti. Aveva di sicuro un sogno: diventare cancelliere invertendo i ruoli fino ad oggi ricoperti dal suo partito e dalla Cdu e, quindi, continuare nella grande coalizione, ma con la Spd sopra e la Cdu sotto. In politica tutto è possibile, ma il sogno era solo l’anticamera dell’incubo. L’annunciato passaggio all’opposizione è una scelta obbligata. Come tale, in sé e per sé, non ha niente di strategico. Qualcuno ha scritto che ora occorre una Bad Godesberg all’incontrario; se certo non è riproponibile una Spd prima di Bad Godesberg è vero che, con quella svolta, la socialdemocrazia tedesca segnò un orizzonte strategico che, senza nulla perdere della propria grandezza, la portò ad essere un forte soggetto di governo. Ma mentre a Bad Godesberg la Spd lasciava un profilo, ne usciva però subito con un altro dopo aver fatto i conti il ruolo che deve avere una forza socialista la quale, naturalmente, può cambiare con il trascorrere delle stagioni della storia senza alterare la propria funzione. Il tratto caratterizzante quel nuovo profilo era che il cambio non implicava subalternità culturale ne di soggettività sociale; di conseguenza, si poteva dialogare e collaborare con le forze democratiche antagoniste rimanendo se stessi, marcando in maniera politicamente forte il proprio ruolo socialista. Tutto questo è andato perso e l’Spd ha dovuto amaramente riconoscere di non essere più il “partito del popolo”. Essa ha pagato la subalternità alla Merkel, all’ala moderata del Paese, ha scontato pure la blairizzazione causata dal cancellierato di Gerhard Schroder tra il 1998 e il 2005 che aveva addirittura ribattezzato il partito “neue mitte” – nuovo centro – e poi abbiamo scoperto che, per lui, il centro vero stava a Mosca! Il blairismo ha fatto al socialismo europeo danni storici, ma come dimostra Jeremy Corbyn basta fare i socialisti per far rinascere il socialismo. Se ce ne fosse uno in ogni Paese il socialismo non sarebbe ridotto così come lo è adesso anche se in Italia il Corbyn di turno dovrebbe essere capace di realizzare addirittura una resurrezione. Intendiamoci non è che a livello amministrativo di governo i socialdemocratici tedeschi siano rimasti inoperosi; anzi, su alcune questioni di grande rilevanza – salario minimo, abbassamento dell’età pensionistica, fondi per la scuola, agevolazioni per le famiglie – hanno ottenuto risultati che vanno a loro merito, ma ciò non è valso a impedirne la caduta. La ragione è molto semplice: il buon governo non basta a connotare l’identità socialista perché il socialismo è trasformazione profonda della società; mutazione continua verso nuovi livelli di società democratica unendo la mobilitazione sociale all’azione politica. Il socialismo è un progetto di società e di rapporti sociali, 7 nonmollare quindicinale post azionista | 006 | 02 ottobre 2017 _______________________________________________________________________________________ economici e politici. Tale progetto l’Spd non ce l’ha; se non se lo dà, quello che abbiamo visto è solo l’inizio della frana. La lezione dovrebbe servire anche ai socialisti degli altri Paesi; eccetto i portoghesi che lo hanno capito da soli sfidando l’Europa con le sue troike e ragionieristici teoremi riguardanti solo e quasi esclusivamente la liberalizzazione dei mercati. Auguriamoci che, per la democrazia tutta e non solo per i socialisti, la lezione tedesca serva. Infine, sullo scenario, non è mancata l’uscita di Walter Veltroni che, nel commentare l’ennesimo segno di una crisi generalizzata del socialismo, ha avuto l’ardire di dichiarare: «Per fortuna l’Italia dieci anni fa ha fatto la scelta coraggiosa del Partito democratico». Ci domandiamo: ma che c’entrano Veltroni e il Pd con il socialismo che, come comprovato dalla storia, appartiene alla sinistra? Se crisi del Pd ci sarà essa riguarderà un altro ambito storico, politico e culturale.

Franco Astengo: La crisi spagnola

LA CRISI SPAGNOLA (OVVERO DELL’INDIPENDENZA DELLA CATALOGNA) di Franco Astengo Sono molteplici i fattori che stanno alla base della gravissima crisi che sta attraversando l’unità nazionale spagnola (ovvero dell’indipendenza della Catalogna): elementi di natura storica, politica, istituzionale, economica. La crisi spagnola (ovvero dell’indipendenza della Catalogna), così come tante altre situazioni sparse principalmente sullo “storico” territorio europeo (ma anche fuori, come nel caso del Kurdistan e di diverse situazioni africane), rappresenta anche (e forse soprattutto) il nuovo punto di espressione di quell’arretramento dell’entità politica denominata “Stato – Nazione” che, in relazione al processo di globalizzazione economica, molti pensavano potesse essere risolto all’intero di nuove dimensioni denominante appunto “sovranazionali”. In questo momento alcuni pensano che questa crisi esplosa violentemente in uno dei maggiori paesi dell’Unione Europea potrebbe essere vista proprio dal lato dell’indipendenza catalana per costruire, più facilmente, un’Europa di “piccole patrie” non vincolate alla rigidità dei grandi Stati (questa è l’opinione anche del Ministro degli Esteri della Generalitat catalana, Raul Romeva). Sorprende (ma non troppo) l’utilizzo “a sinistra” della teoria delle due “tigri di carta”, utilizzata per esprimere una pilatesca equidistanza. In realtà l’analisi sulla quale si potrebbe lavorare è quella che ci troviamo di fronte ad una situazione creata per certi versi da un intreccio di contraddizioni del tutto inedite mai affrontate nel tempo recente, almeno dalla fase post – caduta del muro di Berlino. Si sono connessi, infatti, a questo punto sia l’arretramento del fenomeno che è stato definito come “globalizzazione” e che ha provocato l’arresto o almeno il rallentamento nel processo di disfacimento dello “Stato – Nazione” e, insieme, quella che è stata definita “fine della società liquida”. Quella “società liquida” che Bauman aveva teorizzato a suo tempo (“Modernità liquida”, Laterza 2000). A sostegno della tesi sulla”fine della società liquida” il filosofo docente alla Normale Roberto Esposito in un suo saggio utilizza molti autori: da Kenichi Omae (Il mondo senza confini, il Sole 24 ore), Carlo Bordoni (Fine del mondo liquido, il Saggiatore) a Daniele Giglioli (Stato di minorità, Laterza). La tesi che si sostiene nell’intervento di Esposito, è quella che la già definita “geniale metafora” mostra il suo tempo, non solo perché troppo indeterminata, ma perché incapace di dar conto di un ulteriore passaggio che sembra spingerci del tutto fuori dalla modernità così come questa è stata concepita facendola coincidere con il trionfo del “pensiero unico” e la “fine della storia”. Due punti questi ultimi sui quali sarà il caso di ritornare. Secondo Esposito infatti: “Gli stati sovrani dichiarati anzi tempo finiti rialzano la testa, mentre la geopolitica ridisegna vecchie e nuove zone d’influenza. Nel linguaggio dell’inclusione torna a lavorare la macchina dell’esclusione. I confini che sembravano dissolti riprendono a suddividere quanto si era immaginato di unire. Non solo ma fuori da ogni metafora liquida, si solidificano muri di cemento, in barriere di filo spinato, in blocchi stradali. Un mondo terribilmente solido, striato di frontiere materiali, subentra a quello liscio, promesso dai teorici dell’età globale”.. Riemergerebbe, in sostanza, un forte richiamo identitario che troverebbe la sua espressione non tanto e soltanto in richieste di tipo economico, ma anche e proprio (come accade nel caso ispano/catalano) da una molteplicità di elementi fra i quali reciterebbe un ruolo fondamentale quello della “identità storica” ( riassumibile nel caso in questione della Spagna /Catalogna nelle “fratture” ancora in atto dalle vicende della guerra civile edalla contrapposizione Monarchia / Repubblica). Nel caso ispano / catalano si nota, infatti, l’elemento del confronto tra monarchia accentratrice (come si è visto nell’uso della forza nel giorno del referendum) versus repubblica popolare: ed è questo un elemento che sul piano politico ha dimostrato comunque di mantenere un peso molto rilevante. Il richiamo identitario si sviluppa proprio a livello di grandi masse sul terreno storicamente e culturalmente più prossimo, quella della propria immediata dimensione territoriale: quella della riconoscibilità della “propria patria” in questo caso fieramente repubblicana. Tanto è vero che l’UE (costruita mille miglia lontano da questo tipo di tensioni) e le cancellerie europee si sono palesate quanto mai perplesse nell’assumere posizione al riguardo se non con espressioni di mera circostanza. Torniamo però al tema più generale: quello della fine della “società liquida” e, insieme, dell’inaspettato ritorno sulla scena dello “Stato – Nazione” ( fattore alimentato anche dalla vicenda dei migranti) e della “geopolitica” (con accenti, in questo caso, addirittura da “nuova guerra fredda”). Nel corso di questi ultimi anni abbiamo verificato l’evolversi di nuove dimensioni dell’agire politico sviluppatesi in particolare in Occidente e poste in relazione a profondi mutamenti avvenuti sul piano dell’innovazione tecnologica nel campo della comunicazione di massa, della struttura della società e della modificazione nel rapporto tra forme di gestione del potere da parte delle classi dominanti e il concetto stesso di rappresentatività politica. E’ stato analizzato il fenomeno di una globalizzazione economica velocizzata al massimo dall’uso di nuove tecnologie e sono sorti movimenti testi a contrastarne gli effetti più dirompenti al riguardo delle stridenti diseguaglianze sociali che – a livello planetario – il fenomeno definito come “globalizzazione” ha provocato. Nel frattempo hanno acquistato grande peso quelle contraddizioni definite post –materialiste “in primis” quelle ambientale e di genere; si è sviluppato fortemente il processo di finanziarizzazione nel ciclo di gestione capitalistica; la “politica” è stata sempre più esercitata nel segno del “comando” e dell’interventismo sulle sfere della vita quotidiana ( è questo l’elemento di maggiore difficoltà della cosiddetta “democrazia liberale”, nella dimostrazione di una sempre più crescente incompatibilità tra di essa e il capitalismo iperfinanziarizzato che non lascia margini al pluralismo politico e al welfare ma si intende come totalizzante nell’accentramento della gestione del potere). Addirittura, sulla spinta della fine dell’esperienza sovietica si parlò, da parte di politologi conservatori come Fukuyama e Huntington di “fine della storia” e addirittura di unico confronto possibile quello dello “scontro di civiltà” tra l’Occidente e l’Islam. Del resto questo esito della “fine della storia” non coincideva altro che con il trionfo dell’ideologia capitalista travestita da non-ideologia era apparso possibile grazie all’egemonia assunta dal concetto neo-liberista insito nella ventata conservatrice propiziata dall’offensiva di Reagan negli USA e di Margaret Tachter in Gran Bretagna: USA e Gran Bretagna. USA e Gran Bretagna si dimostravano ancora una volta dopo la fine della seconda guerra mondiale i paesi-guida nell’economia e anche nella riflessione politica, campo nel quale il sociologismo di marca USA pareva ormai sopravanzare l’idealismo del modello renano. Insomma: era il tema del “pensiero unico” sul piano economico, politico e soprattutto filosofico:. Una sola strada sembrava tracciata e l’unico scontro possibile era dunque quello “di civiltà” versus i “nuovi barbari” dell’islamismo terrorista (salvo, ovviamente, gli affari con i sauditi, ecc.). Ora la fine della società liquida sta mandando in una difficoltà forse definitiva il “pensiero” ed il “mercato” unico, con grande fastidio di coloro che detengono il potere in quella “plutocrazia” ancora così definita da Noam Chomsky nel suo fondamentale “Le dieci leggi del potere” recentemente apparso anche in Italia. Oggi, nel relativamente “piccolo” della crisi spagnola (ovvero dell’indipendenza catalana) è proprio questo punto del pensiero e del mercato unico che va in discussione. In questo quadro di visione complessiva schematicamente riassunto , sul piano più strettamente politico, emergono alcuni fenomeni molto importanti : quello della già richiamata evidente crisi di quella già classicamente definita come “democrazia liberale” e, di conseguenza, in Occidente della completa dismissione di identità da parte dei partiti socialisti e socialdemocratici (compreso il PDS, poi DS italiano, che proveniva da una storia affatto diversa). In questo quadro emergono evidenti : 1) Il passaggio degli ex- socialisti e socialdemocratici nel campo liberista attraverso la scorciatoia del blairismo e dell’ulivismo (certo con contraddizioni, ma nella sostanza della schematicità di un intervento di questo tipo il giudizio di fondo non può che essere quello appena pronunciato) 2) la marginalizzazione, non solo elettorale ma soprattutto di radicamento sociale, delle forze rimaste antagoniste, soprattutto di quelle di matrice comunista costrette a nascondersi, in pratica, in Francia, in Spagna, in Italia, in Grecia all’interno di generiche alleanze “di sinistra” e prive della capacità di affrontare, a livello di masse, il nuovo quadro di contraddizioni che si sta presentando. Due punti di riassunto per concludere. 1) la globalizzazione, così com’era stata intesa negli ultimi 20 anni si è arrestata; 2) così come ha sicuramente rallentato, rispetto alle previsioni, quel processo di cessione di sovranità dello “Stato – Nazione” che pure era stata considerato alla base di ipotesi politiche di grande portata come quella della costruzione dell’Unione Europea. Concetto di “Stato – Nazione” attaccato dunque non in dimensione sovranazionale ma all’opposto dall’emergere di specificità territoriali di tipo economiche e culturale sbrigativamente definite nel linguaggio giornalistico corrente come “regionaliste”. Si è così dimostrato che, in sintesi, il laissez-faire e la tecnocrazia internazionale non forniscono una valida alternativa allo Stato-nazione eppure i popoli premono per affermare una più diretta vocazione alla piena espressione della loro volontà. Forse ci sarebbe da riflettere su di una frase dell'economista e premio Nobel Amartya Sen che parla infatti di "identità multiple" (etnica, religiosa, nazionale, locale, professionale e politica), molte delle quali oltrepassano i confini nazionali o stanno dentro a quei confini forzatamente tracciati nell’epoca dei nazionalismi e degli imperialismi, in quel secolo definito “breve” da Eric Hobsbawm. “Identità multiple” che l’internazionalismo marxista risolveva declinando come l'avversario dell'internazionalismo fosse il nazionalismo borghese e considerando la divisione del mondo in classi il vero ostacolo allo sviluppo della società umana. Ci troviamo di fronte a contraddizioni evidentemente stridenti non affrontate dal punto di vista del pensiero politico. Un pensiero politico quello corrente mai apparso, come in questa fase, legato esclusivamente nelle sue espressioni maggioritarie a esigenze contingenti di sopravvivenza per ceti privilegiati. Forse è proprio quest’ultimo il punto, quello della sopravvivenza dei ceti privilegiati: come sempre il punto riguardante l’egoismo, la conservazione, lo sfruttamento, la disuguaglianza . Una situazione che reclama urgentemente una proposta di modello alternativo naturalmente rivolta non solo alla Catalogna.

Mimmo Merlo: Indipendenza e Autonomia | lavocemetropolitana

Indipendenza e Autonomia | lavocemetropolitana

domenica 1 ottobre 2017

Il DEF 2017 e la sanità - nuovAtlantide.org

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Anna Falcone: Mdp deve smetterla di pensare al Pd

Mdp deve smetterla di pensare al Pd

CETA, TTIP e altri fratelli

CETA, TTIP e altri fratelli

Referendum catalano: tutti i limiti del principio di autodeterminazione | ISPI

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Il futuro dell’economia dopo la crisi secondo Robert Reich | Avanti!

Il futuro dell’economia dopo la crisi secondo Robert Reich | Avanti!

Felice Besostri: Non basta il voto per fare una democrazia costituzionale

NON BASTA IL VOTO PER FARE UNA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE di Felice Besostri Distinguere tra Catalogna repubblicana e nazionalismo. Il nazionalismo indipendentismo catalano è stato ad egemonia borghese nelle Città da un lato e della Catalogna rurale ed etnicamente pura dall'altra. La classe operaia catalana era in gran parte proveniente da altre regioni, compresa l'Andalusia. Tu che sei un esperto di elezioni guarda all'andamento, dopo la prima delle elezioni della Generalitat, del voto per comunali, autonomiche e nazionali. La sinistra era forte nelle comunali e nelle nazionali, e in quelle autonomiche i popolar-democristiani autonomisti, semplicemente perché i non catalani di origine non andavano a votare elezioni autonomiche. Con gli anni grazie alla svolta del PSC e alla tradizione del PSUC si è ridotta questa differenza di comportamento elettorale e la sinistra conquistò anche la Generalitat, ma la maggioranza aveva bisogno di Esquerra Republicana, che quando dovette scegliere tra sinistra e indipendentismo non ebbe dubbi. Ho difeso la Costituzione il 4 dicembre e con essa l'art. 1.2, per il quale la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Alla luce di tale principio la democrazia plebiscitaria è esclusa: non basta il voto popolare per legittimare tutto in nome della democrazia. Per fare un esempio non si può introdurre la pena di morte con referendum, anche se partecipasse la maggioranza degli elettori e ci fosse l'80% favorevole. Grazie a quell'articolo abbiamo potuto far dichiarare illegittime perché incostituzionali due leggi elettorali. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. In base allo stesso principio in Italia sarebbe illegittimo un referendum per l'indipendenza del Nord o della sola Lombardia o Liguria.

Franco Astengo: Sulla Catalogna

SULLA CATALOGNA CON IL CUORE IN GOLA PER LA CATALOGNA: SEMPRE E COMUNQUE “VIVA LA REPUBBLICA” di Franco Astengo E’ l’alba del 1 ottobre 2017, il giorno dello scontro per l’indipendenza catalana: ci troviamo con il cuore in gola per il timore del precipitare di una situazione che potrebbe assumere aspetti drammatici. La folla di considerazioni lette e ascoltate in questi giorni rimbalza nel pensiero e nella memoria rendendo difficile una valutazione. La monarchia ha garantito, con l’unità spagnola, una transizione dal franchismo verso le forme della democrazia borghese. Si presentano, nel caso dell’indipendenza, problemi enormi sul piano economico e politico anche in relazione alla questione europea che si trova in una fase delicatissima. Sul piano più generale, dell’impronta del mondo ben dentro al XXI secolo: cosa può significare il distacco di un paese tutto sommato periferico come la Catalogna dentro al complesso e convulso quadro del post- globalizzazione, dell’invasione dei mercati, dei trattati commerciali intercontinentali, nel mondo della Banca Mondiale, del Fondo Monetario, di J.P. Morgan e di Billdeberg, di chi tira le fila del capitalismo finanzia rizzato? Il pensiero però corre anche alla storia, soprattutto verso il ’36: Tierra e Libertad che non è soltanto il titolo di un film di Ken Loach, ma un emblema, un simbolo di un’alba diversa. L’Alba della Repubblica Spagnola, degli eroismi e degli eccessi che in suo nome si compirono: di una sconfitta che, nella storia, ha assunto l’aspetto di un altro eroico “assalto al cielo”. Si può fare politica pensando alla storia oggi in questo freddo, glaciale 2017 laddove l’agire collettivo sembra sempre essere mascherato da opportunismi e carrierismi? Non c’è dubbio che nel comportamento dei “politici” che hanno portato il popolo catalano a questa prova si trovano elementi negativi, così come la stessa impostazione del referendum soffre di aspetti di strumentalità, forzatura, di messa in un angolo delle grandi contraddizioni sociali che pure si agitano in quel pezzo di mondo. Questa non è la secessione nazionalista delle piccole patrie balcaniche o della Slovacchia. Un’idea corre nella folla delle contraddizioni che agitano anche il ragionamento di questa mattina: la Catalogna è repubblicana. Ostinatamente vogliamo ancora pensare che Repubblica significhi ancora qualcosa: tensione verso la democrazia come espressione del popolo, tensione verso l’uguaglianza naturale, in economia come in politica. Sicuramente utopie in questa fase terribile, ma utopie sincere. Per questo motivo di ricerca dell’utopia e di memoria di quello che è stato un passato cui ancora guardare oggi che, con il fiato sospeso e il cuore in gola, non si può che esclamare: Viva la Catalogna Repubblicana.