martedì 7 novembre 2017

Paolo Bagnoli: Un travaglio lacerante

Da Non Mollare la biscondola un travaglio lacerante paolo bagnoli I risultati delle elezioni regionali siciliane non sappiamo se anticipano la radiografia di quelle politiche. Di sicuro confermano le previsioni degli osservatori che davano per sicura la vittoria della destra e la sconfitta del partito democratico con in mezzo i 5Stelle che hanno cercato di vendere la pelle dell’orso prima di averlo preso. Il voto disgiunto ci dice che, almeno in Sicilia, la contestazione di tipo solipsistico al sistema che vogliono rappresentare, è in fase calante. Il voto siciliano è indicativo, ma non è detto preannunci l’esito nazionale. Ogni elezione fa storia a sé. Ciò che, da elezione in elezione, resta permanente è il trend negativo del Partito democratico. La batosta ricevuta, tuttavia, ci porta a dire che il renzismo, quale “filosofia” del fare politica è in fase di superamento. Il resto è patetica sceneggiata in un Paese che, circa a un quarto di secolo dall’inizio della crisi della politica democratica, quasi un drammatico girotondo, si trova al punto di partenza; ossia a Berlusconi il quale, benché non eleggibile, torna al centro del panorama nazionale come catalizzatore che batte i 5Stelle. Il populismo di ieri sconfigge la demagogia di oggi in un sistema che, se andiamo a guardare i voti reali, è una democrazia senza popolo; senza la gente che era il nerbo della democrazia italiana tramite i soggetti rappresentati dai partiti politici di un tempo. Ripetiamo che il voto siciliano potrebbe essere benissimo diverso da quello che, tra qualche mese, sarà quello nazionale. Oggi rimaniamo a questo che ci dice quanto non abbia pagato quello che appariva come uno degli aspetti principali della campagna elettorale: ossia l’assenza del Pd. Esso, infatti, sarebbe stato esercito solo ed esclusivamente dal suo segretario da giorni in viaggio su un treno per portare il verbo democratico al Paese; un messaggio che ha al proprio centro lui stesso in uno schema che lo vede in solitaria contro tutti. Tale canone non ha pagato. La Sicilia, ove Renzi si è appena affacciato, gli ha riservato, comunque la si voglia mettere, un cannolo duro da digerire.. Inizierà dalla Sicilia il processo di rottamazione del rottamatore? Al momento nessuno lo può dire; certo che non si è mai visto il massimo responsabile di una formazione politica muoversi in campagna elettorale in modo del tutto indipendente da essa. Confessiamo che siamo rimaniamo stupiti dal ragionamento che regge il comportamento di Renzi le cui radici affondano nella suggestione veltroniana del partito a vocazione maggioritaria che, in un passaggio importante quale quello delle elezioni europee quando il Pd raccolse il 40% dei suffragi, apparve essere confermata dai fatti. Ma fu un passaggio, appunto, che come apparve subito dopo scomparve e anche se Renzi mette in coppiola quel risultato con quello del referendum che fu, peraltro, leggermente più basso, solo un’allucinazione può ritenere i due risultati omologabili: che, quindi, ci sia uno zoccolo duro del Paese pari al 40% o vicinissimo a tale percentuale a favore del Pd ossia di Matteo Renzi. Evidentemente egli è più che convinto che sia così e su tale convincimento fonda la sua sfida rivolta a tutti, compreso il proprio partito. Forse, dopo l’indebolimento dovuto al responso dell’isola, ci potrebbero anche essere dei cambiamenti. Ora, al di là di ogni valutazione di ordine psicologico sull’uomo, il ragionamento evidenzia una solida mancanza di lucidità politica che ci dice, da un lato, quanto egli abbia sofferto la sberla dell’esito referendario e, dall’altro, come non abbia fatto i conti seriamente con quel risultato e sulla sua portata, ma l’abbia considerato alla stregua, né più né meno, di un mero incidente di percorso. Un inciampo da cui lo avrebbero riscattato le primarie, che cita a ogni piè sospinto, per dare ragione dei propri comportamenti. Va anche detto che, in una democrazia senza popolo, ma solo delegata a gruppi di comando, quanti lo hanno votato alle primarie, sono una fetta di popolo. Equiparare il voto europeo con quello referendario è come sommare le pere alle mele: fin dalle elementari, ci hanno insegnato che è impossibile. Infatti, mentre i suffragi europei hanno la caratteristica di conformità politica essendo stati raccolti da una lista partitica, quelli referendari ne hanno un’altra poiché ai referendum i voti sono trasversali e nessuno sa cosa c’è dentro quel voto come nessuno sa cosa c’è dentro il 60% che ha respinto la proposta di riforma costituzionale. Secondo Renzi, però, chi ha votato alle europee il Pd sono gli stessi elettori che hanno 4 nonmollare quindicinale post azionista | 008 | 06 novembre 2017 _______________________________________________________________________________________ poi espresso voto favorevole al referendum. Il ragionamento non sta in piedi politicamente poiché le pere non sono le mele. Quella di Renzi è una vera e propria sfida che lancia alle forze politiche, al Paese, a tutti insomma con un’ostinazione della quale gli va dato atto, ma in politica le sfide di solito non si vincono da soli. Gli esempi abbondano. Un atteggiamento, tra l’altro, in contraddizione con la realtà considerato che, senza Denis Verdini, la legge elettorale non sarebbe passata e di Verdini, tutto lascia capire, ci sarà ancora bisogno per la legge di stabilità. E mentre Verdini ha assicurato che non solo lui ci sarà, ma che c’è sempre stato, Pietro Grasso e Antonio Bassolino se ne sono andati con toni aspri verso il partito e il suo segretario. I due abbandoni sono il sintomo di un malessere più che profondo e il Pd dovrebbe ringraziare Grasso – a cui, come Presidente del Senato, non c’è proprio niente da rimproverare - per aver deciso di uscire dopo l’approvazione della legge elettorale. Pensiamo cosa sarebbe successo se avesse abbandonato la carica per rivendicare il diritto della Camera che presiede di dibattere la legge elettorale come sarebbe stato giusto? La legge sarebbe sicuramente decaduta, ma il gesto sarebbe stato sicuramente più significativo al fine di recuperare quella autorevolezza delle istituzioni continuamente calpestata. Forse l’intenzione di Grasso era veramente questa, ma forti freni lo devano aver trattenuto. Il Paese si trova di fronte a uno scenario del tutto nuovo i cui sviluppi non sono prevedibili; certa è la continuazione di un travaglio lacerante la tramatura di un sistema che imporrebbe di essere ricostruito, nello spirito della democrazia repubblicana, politicamente e nel significato morale di cosa significa l’ordinamento democratico in un Paese costituzionalmente motivato.

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