martedì 5 dicembre 2017

Paolo Bagnoli: Alla ricerca della sinistra

Da Non Mollare alla ricerca della sinistra paolo bagnoli L’argomento non è certo di quelli nuovi, ma un recente articolo di Massimo Recalcati – “la Repubblica”, 28 novembre 2017 – l’ha riproposto in una fase convulsa e confusionaria della vita politica italiana quale la presente. Di cosa si tratta: della «malattia cronica della sinistra» a dividersi. Lo schema del ragionamento, sia in quanto viene esplicitato e in quanto va letto tra le righe, non è nemmeno esso nuovo. Si parte, infatti, da Filippo Turati e dal suo discorso al Congresso di Livorno del \1921 e si finisce a Matteo Renzi il quale «dichiara che il punto di riferimento ideale della sinistra oggi non è più Gramsci, Togliatti o Berlinguer, ma Obama», invitandoci, così, non «a cancellare il passato ma a incorporarlo per guardare avanti». In tutto il filo di questo ragionamento di Turati e del socialismo si perdono le tracce per ricadere nell’identificazione tra la sinistra e il partitico comunista italiano che, scioltosi e trasformatosi prima in Pds poi in Ds è finito, almeno quel che restava, nel Pd, ossia in un contenitore di centro che ama guardare a destra e non certo a sinistra. Tuttavia, grazie alla rappresentazione di un’Italia bipolare che avrebbe contraddistinto la transizione verso non si sa che cosa, ma che comunque avrebbe segnato il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, per sinistra si è inteso il polo che si contrapponeva a quello di destra incardinato su Silvio Berlusconi. L’antiberlusconismo è stato il collante di una situazione politica, storicamente contingente, ma non ha certo rappresentato lo sviluppo della sinistra come deve essere storicamente concepita dopo il suicidio del Psi e quanto è successo ai comunistipostcomunisti. Tramontata la stella Berlusconi e sorto il Pd ereditando tutto il senso di una stagione basata su un antiberlusconismo senza Berlusconi e fecondata dalle esperienze dell’Ulivo, prima, e dell’Unione poi. Ecco come si è arrivati a definire di sinistra un soggetto che voleva essere di centrosinistra e che, strada facendo, ha perso le presenze di sinistra faticando, nel contempo, a rimanere un soggetto di centro. Ma il Pd con la storia della sinistra che – concordiamo con Recalcati – non può essere ritenuta solo quella del Novecento, non c’entra assolutamente niente. Per cui, chi si pone alla sinistra del Pd, o per scissione o per cammino autonomo, non testimonia di una tragicità ideologica o di una incomprensione politica del momento storico, quanto di uno sbandamento dovuto a ragioni molteplici che possono essere riassunte in due punti: la liquidazione della categoria stessa della sinistra e al fatto che, il mancato approdo del postcomunismo su lidi socialisti, non poteva non implicare modi di salvaguardia dell’identità fondante la quale, per un verso, era stata frustrata dalla vicenda Pd oppure aveva ritenuto di resistere arroccandosi in gruppi più o meno grandi motivati da irrinunciabili motivi ideali. Aggiungiamo che su tutto ha gravato, e continua a gravare, il richiamo tanto costante quanto usurato al “centro-sinistra”; sinceramente, non riusciamo a capire di cosa si tratti, come se una formula fosse sufficiente a spiegare il mondo per cui ci si batte in un progetto rivolto al futuro che vorremmo. Insomma, un pasticcio pieno di furberie e confusionismi animato da soggetti che perseguono ognuno la propria affermazione in ragione del proprio essere fuori di ogni dimensione storica e conseguente necessità ideologica. Ognuno, così, fa il proprio gioco in un contesto che potrebbe essere geograficamente definito di centro-sinistra il quale, per esistere, abbisogna che la forza maggiore, il Pd, voglia non essere il solo a guidare la danza. Ma, siccome Renzi ha scelto il solipsismo politico come propria categoria espressiva, non si riesce a capire di cosa parliamo. Il quadro futuro non dipende né dai bonus caritatevoli della legge di stabilità, né dalla Leopolda che si sforza di essere sempre la solita start-up riuscendoci sempre meno, né dal giusto richiamo al tema del lavoro e alla reintroduzione dell’articolo 18 e di tanto altro che potremmo aggiungere. Esso dipende solo da come si esprimeranno gli italiani tra qualche mese. Tralasciando andare i sondaggi, tutto è possibile anche che sia veramente difficile arrivare a un qualche equilibrio di governo. L’asse rintracciabile della democrazia lo vediamo nella comune volontà di Pd e Fi di sbarrare la strada ai 5Stelle e forse questa è l’unica cosa saggia che emerge dall’arruffato presente. Eugenio Scalfari, novello Montanelli, ha invitato a turarsi il naso e a scegliere, tra i due mali – Berlusconi e 5Stelle – 6 nonmollare quindicinale post azionista | 010 | 04 dicembre 2017 _______________________________________________________________________________________ quello minore, vale a dire il primo. Carlo De Benedetti lo ha severamente bacchettato. Ma perché, per tornare a Recalcati, non vi è unità? Semplicemente si può rispondere perché non c’è una sinistra se pur al plurale, come peraltro è sempre stato in Italia, ma non solo da noi. La verità è che in Italia sono stati recisi tutti, o quasi, i legami con la storicità della medesima e se non si ricrea culturalmente la categoria della stessa non sarà possibile nemmeno sperare in una ripresa politica. La questione non è organizzativa, come se una soluzione tecnica potesse risolvere un problema politico. Anche l’idea dei una modernizzazione astratta basata sulla messa in soffitta del Novecento non regge. Sicuramente non si possono trovare nel secolo passato le ricette per il presente e per il futuro, ma senza la cognizione vivente del passato il presente non ha senso e il futuro è solo una fumosa speranza da evocare nei discorsi, ma fuori dal concreto della storia. I secoli passati continuano a insegnarci che la sinistra e i suoi soggetti si formano e maturano nel conflitto sociale per una società più giusta, libera e democratica; ma oggi di tutto ciò non c’è traccia. Vediamo solo solchi di rabbia e di malessere. I secoli passati ci dicono, ancora, che solo guidandolo si può credere nella possibilità di un vero cambiamento, non subendolo rifugiandosi dietro a quella che potremmo definire l’ideologia del cambiamento tanto cara alla retorica Pd. È sicuramente vero che, se l’opposizione alla destra è divisa, questa è più forte. In Italia, tuttavia, la destra, o per meglio dire le destre, sono forti non tanto per le divisioni della sinistra, ma perché questa non c’è, anche se la si invoca di continuo insieme a un ritornante centro-sinistra. In Europa la sinistra è a larghissima maggioranza rappresentata dai socialisti ed è sotto gli occhi di tutti quale e di quanta portata sia la crisi del socialismo continentale, ma questa sinistra, storicamente più debole rispetto alla destra, è riuscita talora a vincere segnando lunghi cicli politici. Sarebbe ciò avvenuto se il socialismo non avesse avuto il senso di se stesso? Crediamo proprio di no. Massimo Recalcati ha ragione quando scrive: «il frazionamento politico a sinistra del Pd rileva il carattere elitario del narcisismo delle piccole differenze; ciascuno rivendica la propria maggiore coerenza ideale senza tener conto che nel frattempo il mondo è cambiato». Con tutto il rispetto per l’autore l’osservazione è banale. Ci domandiamo: se tale frazionamento non ci fosse, potremmo parlare di “sinistra” così come essa deve essere intesa? E se tale sinistra ci fosse, in che relazione sarebbe con il mondo che è cambiato e quale analisi dovrebbe fare per centrare il cambiamento, dotarsi di una ideologia identitaria e promuovere una ficcante azione politica? Inoltre, problema sul problema: che profilo dovrebbe avere: quello derivante dal postcomunismo, da un aggregato di centro-sinistra oppure quello di un socialismo nuovo che, a nostro avviso, è la via che dovrebbe essere perseguita non solo per una battaglia politica contingente, ma per una riguardante la Storia e, con essa, per la libertà, la democrazia e la giustizia sociale; per cambiare gli assetti di potere nella società italiana. Oltre le parole riportate di Turati a Livorno quando l’unità dei socialisti era fondamentale per difendere la democrazia, sarebbe opportuno anche aggiungere che, per Turati, il socialismo è “rivoluzione sociale”. Questa rimane la ragione e la sfida del socialismo, di quello di ieri, di oggi e di domani; questa rimane la strada maestra della sinistra senza bisogno di ricordare quale sia stato il fallimento del comunismo. Certo che le considerazioni di Recalcati sono da riflettere, ma se si rimane ad esse non si va da nessuna parte. Il titolo dell’articolo è Cara sinistra, per guarire rileggi Turati: una lettura o rilettura, quella di Turati, che, per chi è di sinistra, male non fa; ma certo non basta. Rimaniamo nel secolo scorso e rimandiamo a quanto Carlo Rosselli scrive su Turati nel 1932 quando il padre storico del socialismo italiano muore nell’esilio di Parigi. La lettura di Turati, tuttavia, continua ad avere un senso se la logica dell’intenzione politica è socialista e, con ciò, consustanzialmente di sinistra. Se non lo è, tanto vale leggere un buon romanzo. In Italia, al momento, non c’è né sinistra né intenzione di socialismo; i buoni romanzi, invece, abbondano

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